L’estate nera del giornalismo abruzzese: se ne va anche Massimo Pirozzi

Per me, giovanissimo aspirante giornalista, era nei primi anni alla redazione teatina de “Il Tempo”, semplicemente “Pirozzi”, un’entità quasi mitologica paragonabile al megadirettore galattico di Fantozzi: si palesava solo attraverso burrascose telefonate all’apparecchio di Giampiero, il nostro caposervizio, e rarissimamente lo faceva direttamente con il “giovane apprendista”, come mi chiamava allora. Accanto alla figura fantozziana, gli accostavo quella del suo quasi omonimo Perozzi, protagonista della fortunata serie cinematografica “Amici miei”, grazie alle sue annuali partecipazioni, sempre gioiose, alla divertentissima festa di fine estate che organizzavamo ogni anno nel giardino della redazione di Chieti de “Il Tempo”, che è sempre stata una grande e meravigliosa famiglia.

Massimo Pirozzi, che si è spento vinto da una malattia proprio quando sembrava che si potesse riprendere, non era di Chieti, era marchigiano d’origine, ma ormai era teatino d’adozione e lo si vedeva passeggiare spesso in centro e quando mi incontrava voleva sempre sapere se continuavo imperterrito a sognare una carriera giornalistica e lo vidi sollevato, come d’altronde i miei genitori, solo quando gli dissi che avevo superato il concorso per l’insegnamento. Sì, era burbero, senza dubbio, ma mi ha sempre trattato come un figlioccio, a cui si deve rimproverare tanto per insegnargli come si vive. Non a caso, quando nel 2013 scrivevo della fine del mio rapporto contrattuale con “Il Tempo”, lo ricordavo con queste parole piene di affetto:

Massimo Pirozzi, “terribile” caporedattore regionale, capace di farti una sfuriata a pomeriggio inoltrato e farti rifare da capo il pezzo che ti aveva “miracolosamente” commissionato per la prima o le pagine regionali, nonostante fossi un “giovane collaboratore”, salvo poi chiamarti per farti i complimenti e dirti che aveva dovuto urlare “per insegnarti che significa lavorare bene”.

 

Me lo ricordo ancora quel primo pezzo commissionato per la prima pagina regionale de “Il Tempo”, che in estate dedicava una rilevante parte ai cosiddetti “articoli di costume”: probabilmente nessuno da Pescara voleva spostarsi al campo da golf di Miglianico, sede di una esclusiva festa a bordo piscina, allora Massimo pensò bene di spedire me, miglianichese, a scrivere un “pezzo di colore”, come diceva lui, su questo evento mondano. Io, che non avevo mai scritto nulla di questo genere, rimasi dubbioso, ma capivo di non potere dire di no a Pirozzi, che addirittura mi aveva chiamato direttamente al cellulare! Era un’occasione da non perdere e lui in maniera affettuosamente burbera mi disse, tanto per aumentare la pressione già notevole per me, che mai ero finito in prima pagina regionale, che da quel pezzo sarebbe dipesa la prosecuzione della mia collaborazione con il giornale. Finì come ho brevemente raccontato: scrissi il pezzo forse tre volte, ogni volta era stato demolito, ma alla quarta uscì – secondo me – un piccolo capolavoro (da notare che allora non c’erano i computer per inviare in presa diretta gli articoli sul sistema redazionale: occorreva battere a macchina il testo sulla carta centimetrata e inviare tutto via fax). La sua reazione alla lettura del quarto pezzo? “Proviamoci, vediamo che ci esce”. Ma poi, l’indomani, con l’articolo pubblicato in prima pagina, corredato da alcune splendide foto di Valerio D’Ettorre (il nostro mitico fotografo che meriterebbe un articolo a parte), mi chiamò per farmi i complimenti: per me fu come aver vinto la medaglia d’oro alle Olimpiadi. Ovviamente non fui allontanato dal giornale e la mia presenza sulle pagine regionali de “Il Tempo” si fecero via via più frequenti.

Sapevo da Giampiero che si interessava sempre dei collaboratori e che chiedeva informazioni su come lavorassimo: anche grazie alle sue sfuriate e alle sue correzioni continue, sono diventato il giornalista che sono stato (e che sono).

Domani sarà dura andarlo a salutare per l’ultima volta, ma non posso mancare per dirgli ancora una volta quanto l’ho stimato e quanto lo ringrazio.

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