“E se fosse successo ad un collaboratore?”: le condizioni attuali consigliano ancora di fare il giornalista?

«Se invece che a me tutto questo fosse capitato ad un collaboratore senza tutela, che conseguenze avrebbe potuto avere? Un giovane può facilmente considerare che non valga la pena correre rischi simili per fare questo lavoro».

Dichiarazioni rilasciate dal collega Marco Patricelli, caposervizio de “Il Tempo” a Pescara (e per un breve periodo nel 1999 anche mio caposervizio a Chieti), che si è ritrovato indagato per violazione del segreto istruttorio e querelato dal Questore di Pescara per aver portato alla luce una storia di una multa con rimozione che ha coinvolto lo stesso capo della Questura (la vicenda la si può leggere sul quotidiano abruzzese on-line Prima da Noi, cui Patricelli rende le sue dichiarazioni).

Al di là della vicenda in sé, che comunque appare grave per la libertà di informazione, sono le riflessioni di Marco che sollecitano una presa di coscienza generale sulle condizioni dei collaboratori degli organi di informazione, che rappresentano ormai la stragrande maggioranza dei giornalisti che garantiscono l’uscita dei prodotti editoriali in Italia.

Mal pagati, senza una vera coscienza collettiva che li porti a lottare insieme per un obiettivo comune, mal rappresentati (e in alcune realtà per nulla rappresentanti) da un sindacato unitario, senza tutele legali, senza diritto a ferie pagate e ad indennità di malattia, con la concreta possibilità di essere sbattuti fuori (o  meglio lasciati fuori del tutto, visto che le redazioni, già pochissime, non li accolgono mai o quasi mai tra le loro comode pareti con telefoni e connessioni) per una qualsiasi motivazione anche banale, quindi ricattabili sia dall’interno (editori) sia dall’esterno (pressioni di vario genere e minacce di azioni legali): questo il quadro, sconsolante, del 70% dei giornalisti italiani.

E non è né retorica, né esagerazione, né distorsione, ma solo un quadro reale di quella che è la situazione. Questo dovrebbero sapere al Governo, questo ho/abbiamo detto all’onorevole Giovanni Legnini, oggi sottosegretario all’Editoria, alle prese con le lungaggini sull’equo compenso, imposte da chi da tre anni sta lottando strenuamente contro un provvedimento che è poco più di un pannicello caldo per un malato cronico, ma che evidentemente è ritenuto lo stesso pericoloso perché afferma un principio e costituisce un precedente.

Vale ancora la pena fare questo lavoro per un giovane collaboratore? O anche non giovane, visto che io stesso, a 38 anni, sono un collaboratore da 21 anni… senza aver avuto mai una possibilità concreta di passare “dall’altra parte della barricata”!

Molti giovani con cui mi confronto amano ancora questo mestiere per il suo innegabile fascino “investigativo”, ma se esso si infrange su una realtà dura e insostenibile, che spesso gli idealisti non vedono o non vogliono vedere, è possibile consigliare ancora di fare i giornalisti?

Se poi capita che pure le istituzioni ci si mettano di traverso… Ecco come chiosa Marco Patricelli la sua intervista a Prima da Noi:

«Sono colpevole sicuramente: di aver fatto il mio dovere e di aver scritto la verità. I fatti raccontati sono veri, circostanziati e supportati da prove. Assistere a gesti di intimidazione – posso interpretarli solo così – come la perquisizione-sequestro e la querela, mi avvilisce come cittadino, non solo come operatore dell’informazione che risponde alle leggi, alla deontologia e alla sua coscienza».

2 commenti

  • caro antonello, bentornato tra noi! la questione, come ricordi, è vecchia e…tale è rimasta, vista non solo l’inerzia della categoria, ma la dura cervice di buona parte dei suoi componenti. le sfaccettature sono parecchie: ruolo (legale, etico e deontologico) dell’editore e del direttore, funzione e raggio dell’eventuale assicurazione, non assicurabilità dei reati, limiti del rapporto di subordinazione e di committenza tra testata e giornalista, tipo di attività svolta dal collaboratore. tutta roba che fino a qualche tempo fa sarebbe stata musica per le mie orecchie, se nel frattempo nonm i fossi quasi del tutto disilluso sulla solubilità di questioni professionali divenute, per le cause dette in apertura, inestricabili. se fosse successo a un collaboratore? beh, l’80% di quello che viene oggi scritto sui giornali è scritto da collaboratori, quindi si tratta solo di aspettare: prima o poi (tempo più prima che poi, visto anche il caso di Amalia De Simone, vedi qui: http://blog.stefanotesi.it/?p=1579) succederà…

  • Francesco Blasi

    Proprio perché i collaboratori sono la fonte dell’80% dele notizie, l’ansia compulsiva di privare i giornalisti non assunti di ogni comfort professionale residuo rischia di trasformarsi nel medio-lungo termine in un clamoroso autogol per i risparmiosi e lungimiranti editori.
    Il timore di incorrere in conseguenze giudiziarie, infatti, si traduce in minore impegno nella ricerca delle notizie più interessanti e dunque dal maggiore potenziale di vendita.
    Prevedo un deciso consolidamento della svolta minzoliniana e ondate di sbadiglio collettivo che perorreranno di ogni buon mattino la nazione da Tarvisio a Lampedusa.
    Sono già al lavoro su un pezzo che parla degli effetti tranquillizzanti della coltre nevosa (caduta in abbondanza stanotte in questo scorcio d’Abruzzo) sullo stato d’animo degli ipocondriaci.
    Domani seguirà un pezzo “di servizio” su come spalare correttamente la neve da balconi, ballatoi e viali d’ingresso. Con il contributo di numerosi esperti del settore… Da non perdere!

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