Equo compenso, l’oggetto misterioso…

Faccio una nuova pausa dai miei impegni delle ultime settimane, per segnalare, come già fatto dai colleghi (anche della “commissione ombra”) Vittorio Pasteris e Stefano Tesi, l’intervento del sottosegretario all’Editoria, Giovanni Legnini, al Circolo della Stampa di Torino: 25 minuti di discorso a tutto campo, in cui c’è stato anche un accenno all’equo compenso, che lunedì prossimo, 15 luglio, torna al centro dell’attenzione con l’audizione dei coordinamenti dei precari presso la commissione della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Questo il passaggio del sottosegretario sul problema dell’equo compenso:

 

Sull’equo compenso noi abbiamo istituito formalmente la commissione prevista dalla legge, finalmente. Io ho detto a tutti che quella legge non è perfetta, ed è molto complicata da applicare. Nessuno sa con precisione cosa sia l’equo compenso. Non è una tariffa non è un contratto collettivo. Vi è una resistenza degli editori che stiamo cercando di superare. Vi è un’aspettativa di migliaia di giovani e persone, professionisti che nel frattempo sono sempre meno giovani e che da molti anni lavorano in condizioni di estrema precarietà a volte di indigenza. Ci siamo fatti carico. La commissione sta lavorando, ci saranno consultazioni con il mondo editoriale e sindacale e con i giornalisti. Arriveremo ad una conclusione che io mi auguro sia la più negoziata possibile e la più equa possibile fra le parti. Se sarà così durerà. In caso contrario una forzatura o un’imposizione non funzionerà per nessuno.

 

Un’ammissione non da poco quella del sottosegretario, che dimostra come in realtà siamo ancora “in alto mare” nei lavori di una commissione che la lettera della legge avrebbe previsto operativa in tre mesi al massimo (anche perché ha una durata appena triennale e nulla si dice del rinnovo). Giustamente l’on. Legnini predica il negoziato (quello è il suo compito) e rifiuta “forzature” (tipo quella dell’accordo presunto Fnsi-Fieg?) o “imposizioni” (tipo la nostra sacrosanta posizione di voler addivenire ad un risultato nel più breve tempo possibile?), ma questo potrebbe dare adito alle tattiche dilatorie degli editori che già nel corso della formazione della legge hanno puntato a far terminare la legislatura allungando i tempi. Ora si vorrebbe allungare fino al 2016, quando la commissione sarà per legge sciolta?

Ma cos’è in effetti questo equo compenso? Una tariffa, un minimo retributivo, una previsione contrattuale? Semplicemente è un parametro di dignità e di sussistenza (almeno), che è importante almeno come principio, nella speranza che tutti vi si adeguino (soprattutto i colleghi che si credono furbi perché offrono prestazioni giornalistiche a prezzi assolutamente improbabili, che da soli rovinano il presunto “mercato”, costringendo tutti ad una corsa al ribasso che nessun equo compenso può mai frenare).

Anche se, lo ribadisco, la strada maestra per uscire dal pantano sarebbe quella di non permettere più alcuna prestazione giornalistica resa al di fuori del contratto nazionale, nel quale, come mi faceva giustamente osservare il collega Salvatore Spoto in un suo commento al post di ieri, ci sono diverse tipologie di collaborazioni che tutte le testate potrebbero tranquillamente adottare. Costa troppo? Certo, se si parametra l’attività giornalistica a dopolavoristi ed aspiranti giornalisti illusi dalla prospettiva del “tesserino”. Se qualcosa di buono l’equo compenso porterà, sarà una radicale riduzione degli spazi per queste tipologie di articolisti: il ragionamento, virtuoso secondo me, che ne parlai già un anno e mezzo fa su questo blog, è quello secondo cui “se devo pagare di più, pretendo un professionista del settore”.

2 commenti

  • Venendo al dunque, leggendo il testo della legge sull’equo compenso, mi viene da chiedermi qualora essa abbia un effetto sia sugli editori che attingono dal denaro pubblico (che mi pare un aspetto congruo e coerente) sia sugli editori che non usufruiscono di questo denaro (poco coerente, anzi, molto incoerente). Mi pare infatti impossibile pensare che un “piccolo editore” come me debba corrispondere salari paritetici a quelli di un quotidiano a caso, come ad esempio Il Corriere della Sera, non le pare? Se loro godono di contributi per milioni di euro, ed io godo di un bello zero, se non i miei fondi privati, come si fa a parificare le due situazioni? Vorrei quindi capire meglio se anche io dovrò adeguarmi sin da subito a questo tariffario, oppure se, come ho capito di primo acchito, la “punizione” per chi risulta inadempiente a tale normativa sarà quella dell’esclusione dalla possibilità di ricevere i finanziamenti/contributi dallo Stato (dei quali io, ripeto, non usufruisco già ora)?

  • Lei non dovrà assolutamente adeguarsi alle tariffe dell’equo compenso. Sono d’accordo nell’affermare che i compensi del Corriere della Sera non possano essere paragonabili a quella di una piccola testata, del resto non penso che qualche collega possa pretendere di “campare” con i proventi degli articoli di un piccolo giornale.

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