“Transumanze”: il mio nuovo inner-blog all’interno del rinnovato portale di Intercity Magazine

Che il buon cibo, le belle scampagnate e le salde tradizioni fossero tra le mie scelte preferite credo che tutti gli assidui frequentatori di questo blog lo abbiano capito da tempo, per questo quando Intercity Magazine, il quindicinale di musica, teatro e arte che dirigo da oltre dieci anni, ha deciso di inserire nella sua nuova veste di quotidiano telematico (da oggi on line all’indirizzo www.intercitynet.it) anche una sezione di blogger, non ho avuto dubbi sull’argomento da trattare (a tempo perso, ma piacevolmente perso): le tradizioni storiche, popolari e culinarie della mia terra d’Abruzzo.

È nato così “Transumanze” (il nome è dovuto ad una intuizione della mia cara amica Michela Toro, che pubblicamente ringrazio per un suggerimento che mi è subito entrato nella mente e nel cuore) che da stamattina propone alcuni viaggi che chiunque può fare in lungo e in largo per il mio Abruzzo.

Il primo racconto è relativo alle tradizioni del Primo Maggio in Abruzzo, tra devozione e gastronomia, con il cuore diviso tra Teramo e Cocullo. Eccolo:

 

Maggio è il primo mese interamente adatto per una vera transumanza tra i borghi d’Abruzzo, sin dal primo giorno, per il quale sarebbe bene avere anche il dono dell’ubiquità. Da quando infatti, per ragioni turistiche, la tradizione dei serpari di Cocullo, piccolo borgo di 232 abitanti in provincia dell’Aquila, nel punto più alto della Valle Peligna, è stata spostata dal primo giovedì del mese al Primo Maggio, ogni anno si pone il problema di scegliere tra i piaceri della tavola e il fascino di una tradizione antichissima, che rimonta a ben prima dell’avvento del Cristianesimo nelle nostre terre.
Se si dà ascolto alla pancia, allora non si può che arrivare a Teramo, dove il Primo Maggio è il giorno (unico secondo la rigida tradizione, ma alla fine ogni giorno di primavera è buono) dove si assaggiano le “Virtù”, l’antico piatto propiziatorio con 50 ingredienti di stagione.
Una minestra molto particolare, che viene preparata da intere famiglie che danno una mano anche ai ristoratori per tenere viva una tradizione che ricorda le antiche pratiche legate al culto della Madre Terra e coincide con il Calendimaggio, festeggiato in tutte le civiltà contadine europee. Il piatto esige una lunghissima preparazione: alla base della ricetta c’è una grande varietà di verdure novelle e di erbe, legumi freschi e secchi e poi aromi, carni miste di maiale, sugo di carne e spezie. Al tutto si uniscono diversi formati di pasta, secca e fatta in casa, più, al momento di servire, un filo d’olio e pecorino grattugiato finemente.
Qualcuno lo potrebbe definire un grosso minestrone, visto che è pure in brodo, ma mai chiamarlo così! È davvero un insieme di sapori e di consistenze miracolosamente equilibrato grazie al segreto gelosamente custodito dai teramani.
Attorno alla nascita di questo piatto ci sono diverse leggende, come è normale: la più accreditata lo vuole nato agli inizi del XIX secolo, quando le massaie alla fine di aprile pulivano le credenze dai resti degli alimenti stipati durante l’inverno. Un leggenda narra che le Virtù dovessero contenere sette tipi di legumi, sette tipi di pasta, sette tipi di erbe, che il tutto dovessere essere cucinato da sette vergini per ben sette ore, sette proprio come le virtù cristiane. Si chiamano Virtù forse proprio dalla virtù della massaia di mettere da parte durante l’inverno pasta, legumi e altri ingredienti per non lasciare mai vuota la dispensa, altri sostengono che il nome derivi proprio dagli ingredienti che lo compongono e che vengono dal duro lavoro dei campi.
Se invece si è immuni dai profumi della buona tavola, occorre trasferirsi in provincia dell’Aquila, attraversando la Valle Peligna grazie all’autostrada A25 (o usufruire del panoramico treno regionale che da Pescara o da Roma e Avezzano giungono alla stazione di Cocullo, con circa due ore di percorso lento ma affascinante) e arrivare a Cocullo, 232 abitanti in tutto, dove si svolge una delle feste più antiche della tradizione abruzzese: quella in onore di San Domenico di Sora, in onore del quale i “serpari” adornano la statua dell’abate che gira per tutto il paese a mezzogiorno in punto.
Nella sua semplicità, la cerimonia ha un fortissimo impatto visivo ed emotivo: i serpenti che non trovano posto sulla statua (e che non devono mai coprire gli occhi del santo, pena – secondo gli abitanti – un anno di disgrazie) sono trasportati a braccia dagli abitanti, che iniziano a catturarli già nelle settimane precedenti la festa.
La festa ha origine pagana al pari di quasi tutte le celebrazioni popolari in Abruzzo. I Marsi, fiera popolazione italica, avevano il culto dei rettili per onorare la dea Angizia, fiera insegnante dell’uso dei veleni e controveleni. La tradizione afferma che ella avesse dimorato in una grotta ai limiti del lago Fucino e che fosse una donna esperta in pratiche di magia e medicina ed in seguito mitizzata e innalzata al rango di dea protettrice.
L’avvento del Cristianesimo non modifica le tradizioni popolari, anzi, la Chiesa le assume e dà loro una veste religiosa: così al posto della dea Angizia, ecco San Domenico Abate. Secondo le storie che si tramandano oralmente, il santo cavandosi il dente e donandolo alla popolazione di Cocullo, fece scaturire in essa una fede che andò a soppiantare il culto pagano della dea Angizia. Del resto, incastonata nella statua del santo c’è proprio un dente, che può anche richiamare il dente avvelenatore del serpente. Non a caso il primo atto di pietà e devozione che si compie alla festa è quello di tirare coi denti la campanella della cappella di San Domenico, all’interno della chiesa omonima perché secondo la tradizione, questa cerimonia servirebbe a proteggere i denti dalle malattie che li potrebbero affliggere. Dopo il terremoto dell’Aquila del 6 aprile 2009 che ha reso inagibile il santuario di San Domenico, le cerimonie si svolgono nella trecentesca chiesa di Santa Maria delle Grazie, quasi all’imboccatura del paese.
Per comprendere quanto questa tradizione dei serpari sia antica, basti pensare che Virgilio inserisce nell’Eneide la figura di Umbrone, giovane serparo appartenente alla popolazione dei Marsi, che è alleato di Turno nella guerra contro Enea, che lo ucciderà personalmente.
I serpenti, rigorosamente non velenosi, che tutti gli abitanti di Cocullo (dai più vecchi ai più piccoli) portano in processione, vengono catturati quando inizia a sciogliersi la neve, mediante le tecniche dei serpari antichi, anche se allora i rettili venivano posti in recipienti di terracotta, ora in cassette di legno. Al termine della festa i serpenti vengono liberati nelle campagne circostanti.
Un altro paese d’Abruzzo che è legato, per il nome e per una tradizione culinaria, ai serpenti è Casalanguida (letteralmente “abitazione del serpente”), in provincia di Chieti, a metà strada tra la Val di Sangro e la Val Sinello: qui il dolce tradizionale è il “cervone”, dolce di mandorle a forma di serpente arrotolato, che prende il nome da una specie di ofide non velenoso molto diffuso nella zona.

 

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