Il “ricongiungimento” dei professionisti de facto: requisiti e polemiche

Un tema caldo ed interessante, quello del cosiddetto “ricongiungimento”, ossia la possibilità, data da una delibera del Consiglio dell’Ordine dei Giornalisti nell’ultima seduta, ai pubblicisti che svolgono attività giornalistica esclusiva di accedere all’esame professionale per diventare professionisti: non sono mancate perplessità e polemiche, mentre sono state molte le richieste di chiarimenti, specie in ordine ai requisiti essenziali per accedere a questa opportunità, che scatterà il prossimo 1 gennaio e durerà fino al 31 dicembre 2016.

Sul sito dell’Ordine dei Giornalisti è stata pubblicata la delibera contenente tutti i particolari e finalmente si può analizzare per bene quanto previsto dal Consiglio nazionale.

Innanzitutto l’iscrizione all’elenco pubblicisti (e fin qui nulla da dire), poi lo svolgimento di attività giornalistica retribuita, in maniera sistematica ed esclusiva per almeno 36 mesi (anche non continuativi) nel quinquennio precedente alla data della domanda stessa. Mi fa storcere il naso la questione dell’attività “anche non continuativa”, ma capisco che è una previsione inserita a tutela di chi ha avuto problemi di lavoro.

Importante è il requisito dell’esclusività professionale, visto che sarà quella la condizione dei futuri professionisti: vale la pena ricordare, infatti, viste le non poche domande che in privato mi vengono poste, che il giornalista professionista può svolgere solo il mestiere di giornalista e nient’altro. Una sottolineatura importante per far valutare bene la situazione a cui andrebbero incontro i pubblicisti che intendessero avvalersi di questa opportunità.

Altro requisito essenziale è la produzione della documentazione attestante le collaborazioni in essere (i contratti, per capirci), i compensi ricevuti (e qui è confermato che non ci sono limiti minimi) e i contributi versati. Ciò che manca, e a me appare molto strano, è il riferimento all’Inpgi: praticamente, e mi è stato anche confermato da un consigliere nazionale dell’Ordine, saranno accettati contributi versati a qualsiasi tipo di ente previdenziale. La cosa mi fa sorgere numerose perplessità: come è possibile che un pubblicista possa versare in una cassa previdenziale diversa dall’Inpgi i contributi relativi alla sua attività giornalistica? Non esiste forse una legge precisa del 1996 che obbliga qualsiasi giornalista ad iscriversi all’Inpgi ed a versare i contributi al proprio istituto di previdenza? Tra l’altro, l’obbligo non si può evadere, pena salatissime multe (oltre al versamento del pregresso). Corollario: se un pubblicista documenta il versamento dei contributi previdenziali ad altro ente che non sia l’Inpgi per la sua attività giornalistica ai fini del ricongiungimento, quest’atto non potrebbe trasformarsi una immediata autodenuncia che farebbe scattare le verifiche Inpgi e l’emissione della multa conseguente?

Mi è stato fatto osservare che non tutti i datori di lavoro sono disposti a versare i contributi all’Inpgi. Ma questa è violazione di una norma dello Stato! Personalmente, ho sempre preteso, non senza difficoltà e resistenze, che i miei datori di lavoro, tra cui diversi enti pubblici molto restii ad abbandonare le tranquille “strade contabili” di Inpdap ed Inps, versassero i miei contributi all’Inpgi: è la legge e siamo tenuti a rispettarla e farla rispettare!

Poi c’è la documentazione dell’attività giornalistica effettuata, ovviamente, e la necessaria dichiarazione di svolgere ancora l’attività giornalistica alla data della domanda. Tutto ovvio.

L’accesso all’esame professionale sarà decretato dai Consigli regionali dell’Ordine e sarà immediato, poiché si considera che i 18 mesi di praticantato siano stati svolti in precedenza.

Arriviamo all’iter precedente all’esame professionale. La formazione avverrà tramite un corso telematico di 40 ore realizzato tramite una piattaforma elaborata dal Consiglio nazionale, al quale si sommeranno 8 ore di aula con programmi che verranno definiti dai singoli Ordini regionali. Alla fine del corso verrà sostenuta una prova di valutazione superata la quale si potrà accedere all’Esame di Stato.

Anche qui nulla di nuovo: farraginoso, ma nulla di nuovo.

Ed ora arriviamo alle polemiche.

Personalmente, nonostante le perplessità già indicate, ritengo che questo provvedimento, che sicuramente non risolve alcuno dei problemi “pratici” dei pubblicisti, sia un vantaggio per chi vorrà usufruirne. Io stesso ho penato tanto per giungere ai requisiti per diventare professionista iscrivendomi nel registro dei praticanti come freelance e l’ho fatto sia per un malcelato orgoglio sia perché ho scelto di svolgere questa professione nella mia vita, sebbene il momento storico e il mercato lo sconsigliavano e lo sconsigliano fortemente. Per questo sono voluto diventare professionista.

Comprendo le perplessità del collega Stefano Tesi, che parla di “professionistificio” in un “pepato” intervento sul suo blog, ma ritengo che ciascuno dei pubblicisti che ha i requisiti per diventare professionista con il “ricongiungimento” sia capace di intendere e volere e sappia a cosa va  incontro se sceglie volontariamente di percorrere questa strada. Il mercato è quello che è, gli editori quelli che sono, i soldi non ci sono più per la maggior parte di noi, ma almeno si fa chiarezza su un punto: chi svolge attività giornalistica continuativa ed esclusiva è un professionista. Punto. Ed è giusto che ciò gli venga riconosciuto, se lo desidera.

Non mi addentro nelle considerazioni dietrologiche ed elettoralistiche: se pure ci sono stati calcoli elettorali, almeno è stata data una risposta positiva a chi da tempo vuole diventare professionista, essendolo de facto.

Si dice ancora dalle mie parti che le elezioni sono benedette (ed anche il Giro d’Italia, che per la manutenzione delle strade ha gli stessi effetti) perché fanno muovere i politici e gli amministratori e li fanno realizzare cose che forse non avrebbero fatto senza il pungolo della rielezione: se anche fosse accaduto questo in Consiglio nazionale, evviva le elezioni!

Non capisco proprio invece la polemica montata da sette associazioni di stampa regionali (e pubblicate sul sito FNSI) che affermano che tale provvedimento “alimenta le illusioni e il precariato”. A loro la migliore risposta, che faccio mia, l’ha data il collega Giulio Volontè: “L’esame professionale non serve per garantire agli iscritti all’elenco professionisti un lavoro ma serve per dare ai lettori una garanzia riguardo la preparazione professionale degli iscritti all’albo”.

Per questo mi sento assolutamente in linea con la replica del presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine, Enzo Iacopino:

 

AZZERIAMO L’ORDINE DEI GIORNALISTI. Sette associazioni regionali di Stampa “per un sindacato di servizio” (Veneto, Liguria, Trentino Alto Adige, Val d’Aosta, Puglia, Basilicata e Molise) affermano che la delibera “che ammette all’esame professionale i pubblicisti – a prescindere da quanto sia il loro guadagno annuale derivante da attività giornalistica – rappresenta uno degli ultimi atti da fine impero di un Ordine sempre più inutile e fuori dalla realtà”.
E aggiungono considerazione varie che non hanno alcun collegamento con l’accaduto, concludendo che occorra “rifondare l’Ordine dei Giornalisti in modo snello per cancellare un’istituzione pletorica e finalizzata solo al mantenimento di una struttura che replica se stessa. Di questo tipo di Ordine francamente non sentiamo il bisogno”.
La delibera rende centrale il ruolo degli Ordini regionali (che hanno visto accolte tutte le osservazioni che avevano formulato in una riunione) che potranno fare in relazione al reddito valutazioni autonome che tengano conto della realtà nella quale si muovono.
I colleghi potenzialmente interessati (dovranno dimostrare che nei precedenti 36 mesi “hanno esercitato in maniera sistematica ed esclusiva attività giornalistica retribuita”, con la relativa documentazione contrattuale, fiscale e contributiva) non sono nuove immissioni nel mercato. Sono pubblicisti di nome, professionisti di fatto.
Tali da anni, nell’indifferenza di troppi che si dicono al “servizio” dei colleghi solo per emettere, contro chi tenta di garantirne i diritti, giudizi (“intento elettoralistico”, “decisione demagogica”) che denunciano soltanto una volontà polemica che non trova, purtroppo, nelle realtà territoriali altrettanto vigore nella tutela dei colleghi. I casi di sfruttamento in molte di queste regioni sono clamorosi, nel silenzio o quasi di chi si dice al “servizio” dei colleghi. I coordinamenti dei precari possono, infatti, segnalare che una sola Associazione di stampa, quella del Friuli V.G. (che non firma il documento) ha segnalato all’Odg violazioni deontologiche da parte di direttori che sono sotto procedimento disciplinare. Il resto è polemica sterile, che fa già gongolare gli editori.
Questa scelta dell’Ordine consente a chi ne ha il diritto di formalizzare una posizione che con una adeguata assistenza “di servizio” sarebbe stata già regolarizzata, a volte da molti anni.
L’ODG SENTE IL BISOGNO DEL SINDACATO AL SERVIZIO DEI COLLEGHI, CON MAGGIORE ATTENZIONE PER GLI ULTIMI.
La speranza c’è. Viene non solo dal Friuli V.G., ma anche dal Lazio. E dal vertice della Fnsi. Saremo felici di dare conto di altri segnali concreti in questa direzione.

 

Non entro nella polemica Ordine-FNSI, tutti sanno che personalmente sono per il rafforzamento dell’Ordine, per la professionalizzazione del giornalismo, per l’abolizione dei pubblicisti (o almeno il ritorno a quello che era il loro iniziale ruolo, così come disegnato dalla legge del 1963), per la cancellazione di dopolavoristi e hobbysti. Nulla di nuovo per chi mi segue da tempo su questo blog.

Eleviamo la categoria, professionalizziamola, formiamola sempre di più e soprattutto sfrondiamola di chi giornalista non lo è da tempo: per questo sarei felice anche solo dell’abrogazione (che dovrà fare sempre il Parlamento) della norma che vieta la cancellazione di un iscritto all’albo per mancanza di attività se l’iscrizione rimonta ad oltre 15 anni e insieme inserirei una norma per l’obbligatorietà dei controlli periodici degli iscritti. Così si potrebbe facilmente e progressivamente assottigliare il numero dei giornalisti in Italia, davvero abnorme (a partire dai pubblicisti, che ormai riescono anche a controllare il Consiglio nazionale).

Succederà? Vedremo. Intanto, il “ricongiungimento” è un primo passo positivo.

6 commenti

  • secondo me è una buona notizia. come dicevo su FB stamattina lo scorso anno avrei fatto in salti di gioia, ora un po’ meno perché non so se presentare la domanda oppure no. mi frenano il costo – 1.500 euro a conti fatti – e anche mancanza di tempo, sto facendo altro e mettermi anche a studiare sarebbe un problema. quando alle polemiche degli ordini dei giornalisti, mi viene da dire che pochi protestano quando dalle costosissime scuole di giornalismo sponsorizzate dagli OdG escono carriolate di nuovi professionisti. comunque la risposta di Volontè mi sembra perfetta.

  • Pierpaolo

    Ho letto adesso il tuo post, credo che il tuo dubbio sull’Inpgi sia spiegato dal mio dubbio sull’Inpgi: se chi non è iscritto all’ordine – cioè sta facendo i due anni di lavoro retribuito per diventare pubblicista – non versa all’Inpgi ecco spiegata la ratio della norma…

  • Giusyb

    Ho letto la delibera e tra i requisiti è scritto che si può chiedere il ricongiungimento entro il 31 dicembre 2016 se alla data del 31 dicembre 2013 si è svolta attività per almeno 36 mesi nei 5 anni precedenti: ciò vuol dire che chi si sia iscritto all’ordine e all’inpgi dopo il 31 dicembre del 2010 non potrà avvalersi della norma?

    • Giusyb

      Questo era il commento sbagliato. Quello con l’errore delle date. Non intendo creare confusione. Perciò si può rimuovere. Il provvedimento non arriva come se fosse una manna dal cielo ma come un tentativo di risolvere una contraddizione normativa che una riforma dell’ordine avrebbe invece risolto: l’esame obbligatorio per tutte le professioni regolate da un ordine professionale e la posizione ambigua dei pubblicisti. Niente di più.
      I pubblicisti sono ben consapevoli della portata e di tutte le implicazioni di questa novità; molti di loro, avendo un’altra attività, decideranno di restare nell’elenco in cui si trovano adesso. Gli altri, che che s’iscriveranno in futuro, dovranno comunque affrontare un esame che, spero, sarà sempre più difficile e qualificante, allo scopo di elevare la qualità del giornalismo italiano.

  • Caro Antonello,
    magari fosse vero quello che dici. E cioè che i pubblicisti che decideranno di sfruttare l’opportunità del “ricongiungimento” sanno quello che fanno.
    Invece ho la sensazione che la maggior parte non abbia capito nulla o non sappiano di cosa parlano. Generalizzare è in sbagliato, è ovvio, ma dal tenore dei commenti e dallo spessore delle aspettative espresse nelle ultime 24 ore dal 90% dai diretti interessati direi che il provvedimento è proprio percepito (ed è spacciato) sia come l’occasione di un riscatto morale sia – purtroppo – come un’agognata conquista, un passo decisivo per l’avanzamento di carriera, uno step fondamentale per chi cerca un’assunzione (?!?) e i migliori compensi che sarebbero (?!?) riconosciuti ai professionisti.
    Ben comprendi che si tratta di un colossale abbaglio.
    Un colossale abbaglio aggravato dalla circostanza che il provvedimento non solo cade in sospetti tempi elettorali, ma è evidentemente maturato in un’atmosfera abbastanza omertosa, visto che praticamente nessuno – tranne ovviamente chi doveva votarlo –era informato nemmeno per sentito dire di quanto bolliva in pentola. Non una consultazione, non un dibattito esplicativo. Una cosa piovuta dall’alto.
    Una collega l’ha giustamente definito un “condono”. Un condono che l’OdG ha concesso a se stesso per mettere una pecetta sul giornalistificio che negli ultimi 15 anni esso ha incoscientemente coltivato.
    Giulio Volontè, con la consueta lucidità, ha colto il punto che la stragrande maggioranza dei colleghi non ha colto: l’iscrizione all’elenco dei professionisti dovrebbe costituire la garanzia prestata al lettore dall’Ordine della capacità professionale del giornalista e non un (presunto) strumento di più facile accesso al lavoro.
    E anche a me poco importa (ma non posso fingere di non vedere) della strisciante guerra tra Odg e sindacato, dello scambio di colpi proibiti e di strategie trasversali.
    Mi importa poco, ma mi secca molto esserne strumento.
    Vorrei sapere, ad esempio, perché all’OdG, improvvisamente così solerte nel difendere gli interessi dei pubblicisti-professionisti di fatto (come se il “fatto” escludesse la cosa più “fattuale” di tutto, cioè il reddito prodotto con l’esercizio dell’attività), non si è ricordato, prima, di procedere alle obbligatorie revisioni degli elenchi: ciò che avrebbe consentito di ripulire l’albo anche dai molti dilettanti di fatto che lo intasano e che invece – scommettiamo? – avranno gioco facile nell’accedere all’esame come i professionisti di fatto, quello veri.
    Insomma, mi pare un gran pasticcio per gettare fumo negli occhi e tentare di non affrontare i problemi veri di una professione in avvitamento.
    Ciao e grazie come sempre dello spazio e delle immeritate citazioni che mi concedi.
    A presto, S.

  • marco

    Io non credo ci sia un obbligo per i giornalisti che fanno uffici stampa di versare i contributi alla gestione separata Inpgi invece che Inps. In ogni caso, il tema è che l’attività giornalistica è indubbia e quindi va riconosciuta, a prescindere dalla cassa dove il committente versa (il contributo separato Inps è più basso di quello Inpgi, e molti vogliono versarlo lì). Rispetto alla incoerenza, allora dovremmo dire qualcosa anche sulla mancanza di un limite minimo al reddito, che è scandalosa. Uno che guadagna 2mila euro l’anno, e versa all’Inpgi, diventa professionista. Anche in quel caso bisognerebbe poi fare un’azione contro il datore di lavoro, no? Altrimenti stiamo legalizzando lo schiavismo.

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