I precari con tre articoli portano a casa lo stipendio? Beppe Grillo stavolta l’ha fatta fuori dal vaso…

Vai a vedere quanto pagano i loro precari, i giornalisti: 5, 6, 10 euro ad articolo. È chiaro che un ragazzo che prende dieci euro ad articolo non va a controllare le fonti dei suoi articoli: fa un articolo, lo sbaglia, fa un altro contro-articolo, poi fa una smentita, fa tre articoli e porta a casa uno stipendio. È questa l’informazione.

 

Queste, secondo le agenzie, le parole che ieri Beppe Grillo avrebbe pronunciato in uno dei suoi comizi del suo Tsunami Tour: non faccio fatica a riconoscerne lo stile proprio del personaggio, che pure ha avuto il merito di aver sollevato, in tempi non sospetti, il velo sul problema dei precari del giornalismo. Purtroppo però stavolta davvero sembra che il comico-politico genovese l’ha detta grossa, anzi no: l’ha proprio fatta fuori dal vaso!

In parte, Grillo denuncia un problema reale, che più volte ho segnalato in diverse occasioni, anche recentemente nell’intervista televisiva di approfondimento rilasciata a Telemax ad inizio febbraio: i compensi ridicoli ai collaboratori innescano una pericolosa spirale che inducono a volte i precari ad “accontentarsi” delle dichiarazioni ufficiali, dei testi dei comunicati stampa, senza il giusto approfondimento, che sarebbe a proprio esclusivo carico, ma non certo a minare ciò che è la base del nostro mestiere, cioè il controllo delle fonti. Anche perché – forse questo Grillo non lo sa perché probabilmente con i precari del giornalismo non ha mai avuto modo di parlare – un collaboratore che “sbaglia” un articolo, con tanto di proteste della parte offesa in redazione, viene subito sbattuto fuori da qualsiasi testata per evitare il rischio di querele che coinvolgono il giornale. E se pure venisse “graziato”, la rettifica gli sarebbe pagata sempre lo stesso misero prezzo (che la maggior parte delle volte è inferiore ai 5 euro fissati da lui): occorrerebbero non meno di cento rettifiche (quindi 50 articoli “sbagliati”) per raggiungere non dico uno stipendio, ma un barlume di guadagno (lordo, s’intende!).

Quel che Grillo neppure sa è che i collaboratori generalmente non trattano questioni di desk e comunicati, ma sono “sul campo” per cercare e riportare notizie che una testata poi valuta se pubblicare o meno (quindi con il concreto rischio che il lavoro fatto in una intera mattinata o giornata vada alla malora): il loro lavoro è il più esposto di tutti e per forza di cose deve essere accurato, pena l’impossibilità di scrivere e quindi di guadagnare quei pur pochi spiccioli che lui sa che vengono riconosciuti ai precari.

L’informazione in Italia presenta molti problemi, uno di questi sicuramente è il trattamento che gli editori riservano ai collaboratori, che però non sono la chiave del problema quanto piuttosto la conseguenza di un sistema editoriale ormai chiuso ed autoreferenziale. Non si possono usare i collaboratori, la vera spina dorsale del giornalismo italiano, che produce l’80% dei pezzi nelle redazioni locali, per non parlare della incidenza sulle testate nazionali, per colpire l’informazione nel suo complesso: il bersaglio è sbagliato e il tiro sbilenco.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *