Il diritto all’oblio, non ancora normato, porta alla condanna di un giornale on-line: dov’è finito il diritto di cronaca?

Può un disegno di legge non ancora approvato essere la base di una condanna per un direttore responsabile? Può una notizia vera, certa e verificata – e quindi pubblicata – portare alla chiusura di un giornale on-line? Dove finisce il diritto di cronaca, il diritto dei cittadini ad essere informati, ed inizia il diritto alla privacy?

Sono tante le domande che da questa mattina qui in Abruzzo noi giornalisti ci poniamo dopo aver appreso della sentenza del Tribunale di Ortona (la seconda del genere e sempre nei confronti dello stesso quotidiano) che ha condannato Prima da Noi, storico e primo quotidiano on-line della regione, diretto dal valente collega Alessandro Biancardi, per non aver rimosso dagli archivi on-line la notizia (vera) di un fatto di cronaca, avvenuto all’interno di un locale di Pescara, che ha avuto dei risvolti penali.

Il riassunto della vicenda, con l’amaro commento del collega Biancardi, lo si trova cliccando qui.

In sostanza, il giudice ha ritenuto che dopo alcuni anni, la presenza nell’archivio del quotidiano on-line della notizia (che può essere dunque ripescata facilmente attraverso i motori di ricerca, sia interno di Prima da Noi sia esterno, come Google) sia «una lesione al diritto alla riservatezza e della reputazione in relazione alla peculiarità dell’operazione di trattamento, caratterizzata da sistematicità e capillarità della divulgazione dei dati e alla natura degli stessi dati trattati, particolarmente sensibili attenendo a vicenda».

Il che significa, se la logica della sentenza fosse da applicare estensivamente a tutta la stampa, che occorrerebbe distruggere tutte le copie dei giornali cartacei in cui si trova una notizia simile o tutte le videocassette e i dvd dei tg locali e nazionali. Possibile? Vero è che con il web la reperibilità dell’informazione è molto più semplice e veloce, ma come si può permettere che la tracciabilità di un fatto vero si possa cancellare? Sarebbe come cancellare la storia. Potrebbero invocarlo – che ne so? – gli eredi di Gavrilo Princip, l’assassino dell’arciduca Francesco Ferdinando, il cui gesto innescò la miccia già pronta per lo scoppio della Prima Guerra Mondiale? O gli eredi di Gaetano Bresci, l’assassino di Umberto I, re d’Italia? E perché non gli aventi diritto di Robin Hood, indicato come “principe dei ladri”?

Certamente, una legge, non solo italiana, ma mondiale sul diritto all’oblio sul web è necessaria, nelle forme e nei limiti del rispetto del diritto alla privacy e del diritto di cronaca.

Recentemente la Cassazione ha riconosciuto il diritto all’oblio ma il caso specifico di cui la Suprema Corte si è occupata riguardava un amministratore prima arrestato e poi riconosciuto innocente: comprensibile, ma anche in questo caso, il soggetto può essere titolato a chiedere la cancellazione dagli archivi elettronici? O non è meglio obbligare il giornale on-line ad aggiungere in calce del pezzo la conclusione della vicenda? Altrimenti, se si riconosce il diritto alla cancellazione degli archivi on-line in questi casi, perché parallelamente non ordinare la distruzione di tutti i giornali cartacei che hanno riportato la notizia errata, la cancellazione di tutte le registrazioni radiofoniche, la sparizione di tutti i lanci di agenzia, l’annullamento di tutte le immagini montate dai telegiornali? Non abbiamo forse l’obbligo di rettifica? Un obbligo sostanziale, da esercitare nelle stesse forme, nella stessa posizione, con lo stesso risalto della notizia “sbagliata”!

Il diritto all’oblio non è ancora normato, ma se questa è la tendenza che si va consolidando a suon di sentenze, non so quale sarà lo sbocco del disegno di legge che ora è decaduto con lo scioglimento delle Camere e che dunque dovrà ricominciare il suo iter nella prossima legislatura.

Personalmente, la mia solidarietà ai colleghi di Prima da Noi, scesi in sciopero ad oltranza dopo la sentenza, è massima e così quella dell’Ordine dei Giornalisti d’Abruzzo, che ha emesso questa nota:

 

Per la seconda volta lo stesso Tribunale, quello di Ortona (Chieti), con due sentenze di due giudici diversi, nello spazio di poco meno di un anno, ha condannato la stesso testata on line, primadanoi.it, per aver conservato una notizia di cronaca nel suo archivio elettronico. Per la seconda volta l’ Ordine dei giornalisti d’ Abruzzo, nell’ esprimere solidarietà non formale ai colleghi della testata, ribadisce il concetto che in assenza di norme di legge sul diritto all’ oblio nel mondo di Internet, il vuoto legislativo non può essere colmato da una giurisprudenza territoriale che finora non ha trovato riscontri di sorta a livello nazionale. Se anche primadanoi.it avesse tolto la notizia il giorno successivo alla sua pubblicazione i motori di ricerca l’ avrebbero indicizzata ed oggi sarebbe comunque nella disponibilità dei fruitori della rete. Se anche primadanoi.it avesse accolto immediatamente la richiesta degli interessati ad oscurare la notizia dal proprio sito essa sarebbe comunque rintracciabile in rete nei siti di altre decine di organi di informazione. Come si comporterebbe il tribunale di Ortona di fronte agli archivi elettronici che, a pagamento, consentono di accedere alle notizie di decenni addietro? Il diritto dei cittadini ad essere informati sui fatti della vita è un valore universale indiscutibile, come lo è quello del dovere dei giornalisti a non nascondere le notizie in loro possesso. Nel caso specifico tale diritto-dovere non è neppure mitigato dal vulnus alla persona o alla riservatezza del dato sensibile poiché si è trattato di un fatto di cronaca nera che attiene al più generale interesse pubblico. Siamo, dunque, in presenza, di una sentenza, reiterata, che colpisce con una certa ostinazione un mezzo di informazione che sta svolgendo correttamente la sua funzione pubblica.

 

Ovviamente, la questione non può finire qui. Occorre ancora discuterne non meno che dell’equo compenso. Si tratta dei fondamenti della professione e della sua libertà, che è anche e soprattutto il non poter essere condizionati da azioni legali risarcitorie che puntano a fare pressione sui giornalisti (come capita per la diffamazione).

Un commento

  • E’ vergognoso, ammesso che esista un diritto all’oblio non può essere un giudice a decidere discrezionalmente cosa può essere dimenticato. E poi chi decide dopo quanti anni scatta questo diritto? Mi sembra che la condanna sia stata comminata sulla base di un principio molto vago e non sulla base di una legge adeguata, e che forse non potrà mai esserci perchè sarebbe anticostituzionale. Non sono un avvocato ma credo che in appello la sentenza sarà riformata.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *