I giornalisti alla fiera delle occasioni perse: il gruppo di lavoro costituito dall’Ordine non ha trovato l’unanimità (sulle poltrone, soprattutto)

Niente: anche l’ultimo tentativo di dare un contributo di categoria al decreto sulle professioni (approvato senza preavviso il 15 giugno scorso e contenente norme ad hoc per notai, avvocati e professioni sanitarie, ma non per i giornalisti), la famosa commissione creata in seno al Consiglio nazionale dell’Ordine (che tante polemiche sollevò per la sua composizione, con la maggioranza di pubblicisti), è andato a vuoto.

Nella riunione dei giorni scorsi del mini-organismo che, secondo le parole del presidente Enzo Iacopino, avrebbe dovuto mettere a punto un maxi-emendamento che il ministro della Giustizia, Paola Severino, si era impegnato a far approvare in sede di conversione in legge del decreto, non si è trovata l’unanimità sulle proposte in campo e così, mestamente, il Consiglio nazionale dell’Ordine si è visto costretto a non confermare la prevista seduta plenaria di metà luglio che sarebbe stata convocata ad hoc per dare il via libera alla proposta della commissione.

La prossima riunione prevista del Consiglio? In ottobre. Quindi bandiera bianca su un pur minimo tentativo di “guidare” il processo riformatore degli Ordini con norme studiate per le nostre peculiarità.

Su che cosa si sono confrontati i componenti della commissione? Questi i punti all’ordine del giorno:

1. composizione e metodo di elezione del Consiglio Nazionale;
2. durata della consiliatura;
3. limite dei mandati consiliari;
4. norme sulla incompatibilità con la carica di consigliere nazionale;
5. ridefinizione delle attribuzioni e delle competenze del Consiglio Nazionale e del Comitato Esecutivo.

Nulla, dunque, di estremo e diretto interesse dei colleghi in attesa di un chiarimento relativo alle proprie posizioni.

Dove si è arenata la discussione? Sulle poltrone, of course!

Non essendoci stata unanimità sulla composizione del Consiglio nazionale (da tempo si chiede un drastico dimagrimento di un organismo ormai pletorico, le cui norme risalgono al 1963, quando non si poteva immaginare il boom del “giornalistificio” ormai imperante… mi sono convinto a prendere a prestito la terminologia del lucido e preveggente Stefano Tesi, che, al di là di ogni spigolosità, si è dimostrato ottima Cassandra), i lavori si sono arenati e tutto è finito con un nulla di fatto.

A questo punto, che succede?

Non un granché.

L’accesso all’Ordine dei Giornalisti come pubblicista rimane identico. Quindi allarme rientrato per chi ha iniziato già il percorso dei 24 mesi previsti dalla legge 69/63. Quindi nessun miglioramento del percorso professionale dei pubblicisti, nessuna maggiore selezione “alla fonte”, nessun argine alla deriva del “giornalistificio”, nessuna professionalizzazione della categoria.

L’accesso al praticantato rimane identico. Cioè praticamente impossibile a quei pubblicisti che in realtà vivono di solo giornalismo e giustamente aspirano ad avere il titolo professionale. Cioè praticamente aperto a chi frequenterà le costose scuole post-laurea (senza avere un reale mercato alle spalle).

Non servirà la laurea per diventare giornalisti. Anche con la terza media ci si potrà presentare all’esame di Stato (previo colloquio innanzi al Consiglio dell’Ordine per valutare le conoscenze minime). Una cosa – questa – che mi lascia perplesso: come si può così bellamente ignorare il dettato dell’Unione Europea, per cui tra l’altro era stato messo a punto il decreto di Ferragosto, che ha generato incubi in tutti i giornalisti italiani?

Dal 2013 tutti i giornalisti però dovranno affrontare il percorso di formazione permanente: 60 crediti da conquistare in tre anni. Un aspetto positivo, almeno. Certo, non si sa bene come si valuteranno le proposte formative di ciascun Ordine regionale e soprattutto non è chiaro a quali sanzioni va incontro chi si dimenticherà o ignorerà l’obbligo di formazione (una leggera e, alla fin fine, del tutto innocua censura o l’insignificante avvertimento? Oppure, meglio, la sospensione? O addirittura la radiazione?).

I Consigli di disciplina ci saranno, ma ancora si sa quando e come. Per ora si va avanti con le vecchie norme.

Un punto ignorato nei commenti è quello sull’assicurazione: il decreto la rende obbligatoria, nessuno pare parlarne, ma non si scappa, la legge è chiara su questo punto.

Risultato evidente per i colleghi? Presto le quote associative dell’Ordine saranno elevate (e non di poco): mettete insieme l’effetto dell’assicurazione obbligatoria (per risparmiare l’idea è di stipularne una collettiva da pagare attraverso appunto la quota annuale), il costo da sostenere per i nuovi Consigli di disciplina (a carico dei Consigli regionali) e la previsione della gratuità per almeno due terzi degli eventi formativi da organizzare (chi li paga? L’Ordine, quindi noi, quindi i soldi delle quote annuali).

Insomma, un anno di discussioni, di analisi quasi chirurgica dei decreti “di Ferragosto” e “Salva Italia”, di allarmi, di voci contrastanti, di speranze, di mail arrivate e scambiate, di previsioni, di critiche, di confronti a cosa è servito?

Ai posteri l’ardua sentenza.

9 commenti

  • grazie per averci dato notizie, come sempre puntuali e precise, su ‘sta tragedia greca in corso.
    allora mi toccherà pagare la quota – ero rimasta “in sonno” nell’attesa di lumi – ma resto perplessa sulla “formazione”. Innanzitutto quanto mi costerà questa “formazione permanente” e poi chi saranno i formatori? cioè se devo pagare certi personaggi che girano dalle mie parti allora lascio perdere e saluti a tutti.
    ciao
    Marina

  • Francesco Blasi

    Consentimi una riflessione, caro Antonello: la madre di tutti i problemi non è l’accesso alla professione, ormai specchietto per le allodole su cui si affannano tutti i più leziosi analisti del nostro campo. Il “giornalistificio” impera e dai suoi fumaioli si alza giorno e notte una densa fuliggine.
    La questione autentica, ma ben mascherata dagli scienziati dell’Ordine e dai bizantini ricercatori provetti del nostro sindacato, è piuttosto l’accesso allo stipendio per tutti quanti svolgono di fatto la professione di giornalista -pubblicisti, professionisti e aspiranti a uno dei due status.
    Al sindacato dovrebbero dire un netto e chiaro “basta!” agli editori che riempiono pagine e pagine di cronaca, attualità, economia, cultura e sport (cioè gli interi giornali che escono ogni giorno che Iddio fa sorgere su questa terra) con i pezzi dei cosiddetti “collaboratori”. Qualifica, questa, surrettizia perché prodotta da un pauroso scivolamento semantico: i collaboratori erano figure prestigiose che i giornali prendevano a prestito da altre professioni per accreditare posizioni e linea editoriale.
    I giornali vanno sottratti all’economia surreale che tiene bassi i costi con una sperequazione di trattamento tra contrattualizzati e non contrattualizzati che raggiunge punte del 15 a 1. I giornali così fatti, e qualcuno di loro ha anche bilanci in superattivo, rappresentano una sfida alle leggi dell’economia, della gravità e della termodinamica.
    Si dia valore legale al vecchio tariffario e questo castello dello sfruttamento imploderà in un baleno. I vincenti, o quelli che vogliono a tutti i costi vincere -che sono la stessa cosa-, fanno scacco matto in una sola mossa.

    • Antonello Antonelli

      A questo infatti, caro Francesco, servirebbe la legge sull’equo compenso che – guarda caso – è bloccata in Senato proprio dai “buoni uffici” delle lobby degli editori. Quindi sono d’accordo con la tua impostazione, solo che il vecchio tariffario non è riesumabile, perché è stato cancellato (così come per la maggior parte delle professioni) dalla cosiddetta “legge Bersani” del 2007 sulle liberalizzazioni.

  • Saluti da Cassandra.
    I commenti a un momento meno cupo del presente…

  • Pingback: Mamma, ho perso il treno della riforma dell’Ordine… | Alta fedeltà

  • La vedo nera, non posso essere che pessimista. Bisognava salvare il salvabile, cioè i “pubblicisti” che, in effetti, svolgono attività di giornalisti a tempo pieno. C’è una realtà inconfutabile, quella del decreto dell’agosto 2011 che prescrive l’obbligatorietà dell’esame di stato per diventare giornalisti in forza delle direttive europee e, soprattutto, dell’articolo della Costituzione Italiana che prevede l’obbligo dell’esame di stato per esercitare una professione. Mi auguro che quel che sto dicendo si perda in fondo al mare…

  • Francesco, i tariffari non sono più legali e comunque erano ridicoli, perchè basati su una teoria scollata dalla realtà. Dirò di più: in sede di contenzioso, finivano per fare il gioco degli editori, in quanti gli incompetentissimi ordini regionali bollavano come “congrui” compensi basati sul tariffario, con tetti talmente bassi da favorire la controparte. Anche sui collaboratori il discorso è ampio. Ma finchè ci sono masochisti diposti a lavorare gratis o a prezzi simbolici, è dura. Anche l’equo compenso è più una questione di principio che altro: sia perchè, se approvato, fisserà un minimo destinato però ad essere considerato il massimo, sia perchè, se sufficientemente alto, farà piazza pulita dell’80% degli attuali collaboratori. A me la cosa andrebbe benissimo, ma forse loro non l’hanno capita.

  • GiusyB

    Grazie per la risposta privata: nutrivo pochi dubbi infatti che le cose sarebbero cambiate o migliorate. Le perplessità riguardanti questa riforma, come tutte le storture del sistema, evidentemente, restano in piedi, e non potrei aggiungere nulla a quanto è stato già espresso dai commentatori che mi hanno preceduta. E’ comunque evidente che la mancata selezione alla “fonte” ed i “giornalistifici” convengano a tutti gli ordini regionali. In più si è e meglio è: ci saranno più tessere annuali da pagare e più “clienti” per quei corsi di formazione che almeno – si spera – potranno servire a ridurre il gap conoscitivo di una categoria così eterogenea: “aggiornando” i giornalisti più “anziani” e professionalizzando i “giovani”, continuando ad arricchire i cosiddetti “formatori”, coloro che sono in cima a questo sistema gerarchico che è il nostro Ordine, persone alle quali non potremo nemmeno chiedere di rimborsarci e di risarcirci per l’eventuale tempo sprecato (se i contenuti offerti nei corsi di formazione non si dimostreranno all’altezza delle pretese di chi sarà obbligato a fruirne) e per le spese che dovremo sostenere.
    Per quel che riguarda la legge sull’equo compenso: penso che sarà approvata, sì, ma…alle calende greche…
    Infatti, la perdita dell’80% dei collaboratori causerebbe anche la perdita di un mucchio di potenziali tessere. Senza contare il fatto che editori e direttori di importanti quotidiani nazionali (cito Repubblica e le dichiarazioni di Ezio Mauro, ma non si tratta di un caso isolato: http://www.fanpage.it/festival-del-giornalismo-2012-il-reportage-di-fanpage-it-video/), opportunisticamente, trovino normale che “la gavetta” si faccia gratuitamente: in questo modo, tutti potranno fare i giornalisti, non ci saranno più barriere all’ingresso e la cultura dell’illusione, come il “mercato”, potrà continuare ad essere alimentata.
    Ho sempre creduto, invece, che se l’Ordine e il Governo non avessero voluto prenderci in giro tutti, avrebbero adottato un sistema riformistico basato sulla qualità professionale e capace di procedere in due direzioni: dal basso – ponendo una barriera all’accesso per gli aspiranti giornalisti non laureati – e dall’alto – abolendo il business dei master e rispettando i diritti delle persone, a cominciare da ciò che è sancito dagli artt. 3 e 32 della Costituzione. E poi, per un verso sarebbe giusto pretendere e consentire ai giornalisti con livelli d’istruzione più bassi di studiare, per l’altro, l’Ordine avrebbe potuto provvedere a “congelare” o a trasferire nell’elenco dei pubblicisti provvisori quelli che l’INPGI non sanno neppure cosa sia. I contributi economici poi, in nome del pluralismo dell’informazione, andrebbero dati soltanto a piccole o grandi testate “virtuose” a quelle intenzionate a creare occupazione e a prestarsi come “laboratorio” per la formazione e l’avviamento al lavoro di nuovi giornalisti, attraverso contratti di apprendistato/praticantato che, se non altro, avrebbero avuto l’effetto immediato di abolire il regime di schiavitù – legittimato dallo Stato – che consente agli editori di reclutare manovalanza gratuita direttamente nelle università, attraverso gli stages… Dubito, decisamente, che nemmeno l’ODG avesse pensato tutto ciò… Quel che è palese – e lo dico con la flemma che mi contraddistingue – è che abbiano vinto i giochi “politici” e gli interessi economici di quanti hanno bisogno di avere maggiori entrate per le casse (gli ordini, attraverso le quote versate annualmente dagli iscritti) e la necessità di estendere il bacino dei potenziali “clienti” per i master e i corsi di formazione.
    Da molti anni il motto è diventato: “vuoi fare il giornalista? Paga!” Dunque non mi sorprendono né il tacito consenso dell’Ordine all’opportunismo del “tesseramento fai da te”, né la situazione attuale, rimasta identica a sé stessa.
    Cioè: non potendo agire sull’articolo 21 o sulle libere aspirazioni delle persone, si creano ostacoli (antidemocratici) che dovrebbero convincerci a desistere dal proposito di svolgere questa nostra professione. Ma visto che è rimasto tutto com’era: non sarebbe il caso di ufficializzare i criteri d’accesso professionale che . da sempre – son tre: 1)Si diventa giornalisti se si è ricchi di famiglia (dato anche l’obbligo dell’esclusività professionale); 2) per “investitura editoriale” (caso mai avessi qualche amico potente); 2) ereditando la poltrona (se nasci “figlio d’autore)?
    In tutti gli altri casi, il cammino è lungo e difficile. E sempre meno frequentemente (ahimè) la tenacia si accompagna alla preparazione: non demorderemo. Ma siamo giornalisti italiani e come tutti gli italiani, quando veniamo toccati “nella pancia” (o nella borsa…) reagiamo…
    Tuttavia sono ottimista e credo che questa (non) riforma produrrà almeno un’evoluzione professionale qualitativamente importante. Per tutto quanto il resto, invece credo che una reale risistemazione dell’Ordine e delle professionalità giornalistiche (non è un caso che usi il plurale) si attueranno soltanto quando la legge 69/63 sarà riveduta, in tutte le sue anomalie, derive “incostituzionali” e contraddizioni, soprattutto alla luce di quella che è la realtà oggi, sia per la professione che per il sistema dell’informazione che pare si sia trasformato per “colpa” (concedetemi l’ironia “gattopardiana”…) della “rivoluzione tecnologica”.
    Occorrono tenacia e pazienza. Affrettarsi nel cambiare le cose ma con ponderatezza. I corsi di formazione ci faranno (devono per forza!) farci bene, perché l’ordine non può permettersi di trattarci come dei “clienti fessi” né d’incanalare le nostre professionalità e la nostra dignità in una risibile macchietta. L’equo compenso darà giustizia a quanti lo aspettano da tempo immemorabile. La questione dell’assicurazione obbligatoria invece, forse creerà degli immani disastri… ma finché non la sperimentiamo…non lo sapremo.
    Grazie infinite Antonello anche per il tuo impegno.
    Semper ad majora!

  • GiusyB

    ..perdonate la grammatica: ho scritto di getto e senza rileggere il contenuto.

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