Quando i delfini si trasformano in un problema…

Sinceramente non l’avrei mai immaginato, prima di parlare, qualche giorno fa, con una delegazione di pescatori di Francavilla al Mare, preoccupati per la loro attività economica, in continuo declino da qualche anno: anche i delfini, quei bellissimi e simpaticissimi cetacei che rallegrano i parchi acquatici di tutto il mondo, che sono sinonimo di intelligenza e di fedeltà, che vengono presentati da tutta una serie di telefilm e film prodotti in tutto il mondo quasi come i “migliori amici dell’uomo”, possono diventare davvero una sciagura!

È una delle storie che ho avuto modo di raccontare su “Il Tempo”, nell’edizione di ieri:

 

Antonello Antonelli

Sono certamente belli e simpatici, una gioia per i bambini che li vedono sempre di più quasi a ridosso delle nostre coste, ma i delfini, la cui presenza si è moltiplicata negli ultimi due anni, stanno mandando in crisi uno dei comparti economici più attivi e più caratterizzanti dell’intero litorale adriatico, quello della piccola pesca: nella sola Francavilla, le 23 famiglie che vivono esclusivamente del ricavato di questa attività sono ridotte quasi sul lastrico, dopo la polverizzazione, fino al 90%, dei ricavi delle battute notturne di pesca, che non hanno l’obbligo del fermo biologico, in quanto svolte con le reti da posta (e non a strascico). L’intraprendenza dei delfini, infatti, supera ogni timore: né le reti resistono ai loro «attacchi» né i meccanismi ad ultrasuoni li distraggono, poiché la loro innata intelligenza ha permesso loro di riconoscerli come innocui, così ogni notte fanno razzia di pesce anche a pochi metri dagli scogli, rovinando il lavoro dei pescatori che vedono andare in fumo ore di lavoro e soldi investiti. «In tutto l’Adriatico – ci hanno confermato in coro in un incontro svoltosi proprio sulla riva del mare – la storia si ripete uguale: prima ogni sera, in questo periodo, ricavavamo 150-200 euro netti dal nostro pescato, soldi che ci servivano anche per mettere da parte qualcosina per l’inverno quando non sono molte le notti di pesca, oggi a stento arriviamo a 20-30 euro. I costi fissi aumentano, i ricavi scendono, il pesce è sempre di meno». Neppure il consorzio avviato con i colleghi di Ortona, alle prese con i medesimi problemi, sta funzionando e lo spettro della crisi è dietro l’angolo: «Non abbiamo soldi neppure per pagare i contributi. Per questo ci autodenunceremo all’Inps, sperando che qualcuno si accorga di noi. In Regione ci avevano promesso un sostegno, almeno per ricomprare le reti danneggiate dai delfini, ma da nove mesi nessuno si fa sentire».

 

 

Quella uscita nel “pezzo” di ieri è solo una sintesi, costretta dallo spazio (1830 battute, poco più di una cartella) necessario al giornale, ma dietro questa storia, che appare strana ed inusuale (e per questo assume un “valore-notizia”), c’è molto di più, c’è il dramma di 23 famiglie che vivono di questa sola attività, c’è la sufficienza di coloro che, pur percependo una pensione maturata in anni di lavoro, per divertimento se non per noia escono in mare la notte e si disinteressano se il pescato sia maggiore o minore poiché esso è solo una “integrazione al reddito”, c’è una sottile e strisciante “guerra tra poveri”, che costringe pescatori di marinerie vicine (Pescara e Montesilvano su tutte) a “sconfinare” e “razziare” tutto quanto sia pescabile con il risultato di impoverire sempre di più le specie classificate come “piccola pesca” (tra cui le mie amatissime lumachine di mare). «Ci vorrebbero – mi hanno detto accorati questi pescatori che davvero vivono di pesce e che della simbiosi con il mare sono intrisi sin nelle pieghe delle mani e del volto – almeno due anni di fermo biologico continuativo per ristabilire un minimo di ripascimento di queste specie».

Tra questi pescatori, spunta a sorpresa un giovane, avrà una trentina d’anni e l’età lo porta ad essere il più esasperato: «Ho investito tutto nella barca e nelle reti, ho una famiglia da sfamare, come faccio? Devo forse portare la mia barca in mezzo alla strada e bloccare tutto per farmi sentire? Perché nessuno si preoccupa di noi? Perché veniamo trattati come figli di nessuno?». Gli “anziani” lo rimproverano, anche se si vede che pure loro vorrebbero protestare più rumorosamente. Pensano che già fare uscire questo articolo sia sufficiente… C’è chi ancora crede nella potenza dei giornali, beati loro!

Però in effetti un dubbio mi assale: se gli agricoltori hanno cospicui indennizzi per una invasione di animali selvatici (i cinghiali qui da noi, gli orsi più verso l’interno), perché i pescatori non potrebbero avere un ristoro economico per queste invasioni non meno… invasive? Forse perché i delfini non sono considerati così “selvatici”?

Non so se i giornali hanno ancora la forza di agire da stimolo su una politica spesso sorda a tutto, ma credo proprio di insistere su questa storia. Lo devo a questi pescatori che hanno pensato di non fare proteste clamorose ma semplicemente di segnalare il problema attraverso i giornali. Un piccolo segnale di fiducia verso la nostra categoria, che non è che stia messa poi così bene!

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