Il card. Menichelli a Miglianico: l’arcivescovo della mia gioventù dà una lezione straordinaria in un’omelia vibrante!

È stato l’arcivescovo della mia tarda adolescenza e della mia prima gioventù, quello dei campi scuola dell’Azione Cattolica e degli happening, delle partite a biliardino in montagna e dell’impegno serio in diocesi, l’arcivescovo con cui mi sono confrontato tante volte come giornalista in interviste, articoli e dibattiti, non sempre… pacifici: ieri pomeriggio servire messa al cardinale Edoardo Menichelli in occasione della nostra festa patronale di San Pantaleone è stato un onore come è stato ritornare a quegli anni risentire la sua potente e tagliente omelia che non fa mai sconti e impegna ciascuno ad una coerenza non solo di vita ma anche di pensiero, di parola e di azione… un dono prezioso per la mia vita e per la Chiesa tutta!

Con un lavoro di trascrizione meticolosa, ho “sbobinato” l’omelia di ieri di mons. Menichelli, lasciando per quanto possibile l’impronta di dialogo che lui sempre dà ai suoi interventi, correggendo pochissime cose, dovute al parlato e inserendo naturalmente la punteggiatura e la divisione in paragrafi e gli “a capo”, che sono da attribuirsi a me e non alla volontà del cardinale.

 

Carissimi, io sono molto lieto di essere qui nel giorno in cui questa vostra comunità è raccolta in preghiera e in festa per la solennità liturgica di San Pantaleone, vostro patrono. Sono lieto, ma anche abbastanza commosso. Sono qui dopo 19 anni, da quando cioè ho riaperto – nei tempi in cui, nei mesi in cui servivo questa arcidiocesi e quella di Ancona – venni a riaprire la chiesa nuova. Sono lieto di pregare con voi e permettete che dica anche nel ricordo del caro Don Vincenzo che molto mi ha aiutato e che tanto ha servito con impegno, con la Carità, questa vostra comunità. Naturalmente anche gli altri parroci che hanno esercitato questo ministero di fraternità. Saluto e ringrazio anche don Gilberto – battetegli le mani, così è contento! – che ha festeggiato poco fa, il 29 di giugno, i suoi 25 anni di sacerdozio. Bontà sua, l’ha ricevuto attraverso le mie mani e la mia preghiera.

 

Del santo patrono Pantaleone sappiamo poco: è nato da un padre ed una madre cristiana che lo educa alla fede e addirittura lo battezza. Studia da medico ed esercita la professione con grande carità e senza ricevere compenso. Lo chiamavano anche “anargiro”, cioè senza argento. Poi è scoperto come cristiano, viene denunciato e imprigionato e a fronte del rifiuto di abiurare è sottoposto a tormenti terribili e fatto decapitare. È festeggiato, oltre che qui, in questa ridente cittadina, anche a Crema e a Ravello. Potete fare anche qualche gemellaggio. Ci sono! Sono contento, alimentateli!

 

 

Adesso arrivo alla predica, abbiate pazienza. Cercherò di essere breve, ma spero di riuscirci.

 

 

I santi chi sono? Dove sono? I santi sono un dono di Dio e sono dati come esempio da imitare. Come protettori, patroni, e anche come intercessori. Immagino per esempio, che in questa cittadina qualcuno sia affidato alla intercessione di San Pantaleone. Questo santo, così lontano da noi nel tempo, come ci può essere d’esempio? Come possiamo imitarlo? Certamente non possiamo pensare di imitare la sua vocazione, è la sua, è il suo tempo, la sua famiglia, la sua fedeltà a Dio, il suo martirio. Solo questo possiamo pensare, per esempio, di imitare le modalità con cui Lui ha costruito la sua santità allora, alla fine del III secolo, inizio del IV secolo.

 

Su cosa ha posto le fondamenta della sua santità? Ci dobbiamo dire una cosa, carissimi, accoglietela così come la parola di un padre. Cosa sappiamo della santità? Non è privilegio di qualcuno, è vocazione di tutti. Ed è l’attenzione che tutti abbiamo ricevuto il giorno del battesimo. E a questa vocazione dobbiamo rispondere per dare significato e gloria alla nostra vita. Ora, per dirvi un pensiero – poi lo affido a don Gilberto perché ve lo spieghi in modo più concreto – mi affido alla Parola di Dio che abbiamo letto; questa Parola ci aiuta a trovare altre strade di santità e quindi altrettanti impegni di vita.

 

Queste tre strade le riassumo così. La centralità di Dio e delle sue regole nella nostra vita. La seconda strada: l’amore come seme e frutto delle nostre relazioni di figli con Dio e di fratelli tra loro. La terza strada: sapere della compagnia fedele di Dio e questo dà forza di fedeltà e fiducia nella sua provvidenza. Su queste tre strade San Pantaleone ha costruito la sua santità nelle modalità di quel tempo e voi siete stati, noi siamo stati chiamati a costruire la nostra santità e a rinnovare la nostra società. Ci batto. La società non si rinnova con le leggi. Ci sono altre strade per rinnovare la società.

 

 

Ci provo a concretizzare queste idee che vi ho detto. Per prima mettere Dio al centro della nostra vita. Lo dico così, con candore: che fine ha fatto Dio? Ne sentite dire più il nome pubblicamente? Sembra che oggi nel dire Dio si crei una divisione. I padri – e Lui è padre – non creano mai divisione. Che pensa Dio di noi oggi? Carissimi,  mettere Dio al centro della nostra vita ci aiuta a rinnovare la coscienza, le nostre coscienze che oggi patiscono fratture etiche gravi e soprattutto inquietudini culturali, che annebbiano ogni vincolo di bene. Vi dico solo una cosa – quanto vorrei che ci pensassimo tutti! -: qual è la nostra relazione con la sacralità della vita? Ma che mondo è questo in cui uno uccide l’altro? Ma che mondo è questo, carissimi? Voi dovreste diventare missionari! Ora uccidono una donna per amore: ma questa è pazzia e tutti tacciono! Recentemente, purtroppo, è stata uccisa un’altra donna che aspettava un bambino: quanti omicidi ha fatto quel signore? Quanti? Due! L’avete sentito in giro? Mi riferisco alla sacralità della vita tanto violata. E c’è un’altra cosa, mi riferisco ai giovani: veramente se avessi tempo parlerei a lungo con voi giovani che siete qui! Quella frase che dicono: si dice così, fanno tutti così… Noi abbiamo l’etica e la cultura di massa che fa dimenticare la scelta personale della vita, la scelta personale da operare. Se posso farvi una domandina, mi rispondete come facevate una volta? La fate una preghiera in famiglia, insieme? Cosa ci vuole, prima di mangiare, fare “Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”? Cosa ci vuole? Si spegne l’allattatrice quotidiana che spesso dà anche latte acido e si fa questa preghiera, in famiglia.

C’è una seconda strada per il tempo che viviamo nella via della santità. La riassumo così: liberarci dalle misure dell’egoismo e dell’interesse e impegnarci a crescere nelle relazioni di fraternità. E noi cristiani abbiamo una ragione, noi abbiamo una fede, come ha detto la Parola di Dio: Lui è Padre. Io sono Figlio. Voi siete i suoi figli. Guardate che la fraternità deriva dalla figliolanza riconosciuta. Io so di essere figlio di quel Padre, io so di essere figlia di quel Padre, io so di essere figlio di quel Padre, quindi noi cosa siamo? Ditela voi questa parola… Fratelli! È diventata una parola inusitata. Faccio un esempio per farmi capire. Nell’immaginario collettivo uno scende dalla Pandina, è povero, scende dalla Mercedes, è ricco; può fare le vacanze quattro mesi… se la passa bene, oppure quello è di colore nero, è africano… e l’altro? Ma perché? Io, quando incontro una persona, prima di tutto a lui non dico parole che vengono dallo sguardo, ma dal fatto che è mio fratello e mia sorella; cambierebbe la storia?
E voi sapete chi è che fa la guerra adesso? Non mi dite un nome! La guerra la fanno i cristiani! Gli ortodossi sono cristiani. I latini sono cristiani. I cattolici sono cristiani. I veterocattolici sono cristiani. Loro fanno la guerra, cioè noi! E poi ognuno di noi dice: “Dacci la pace”! Io ve l’ho data la pace! La pace si fa con la Misericordia perdonando perché nessuno al mondo è padrone della coscienza degli altri.
Nessuno è padrone di un territorio degli altri! Nessuna provvidenza al mondo ha dato un territorio a lungo! Dio lo ha dato a tutti e per tutti! Cari figlioli, tutti noi siamo alloggiati in questo creato e non paghiamo l’affitto: se Dio ci facesse pagare l’affitto, quanto si dovrebbe pagare? Io sto in questo contesto e me lo ha insegnato non la teologia, ma me lo ha insegnato mio nonno e ora ve lo racconto. Dopo la morte dei miei genitori, io ero col nonno, mi accompagna nei campi e mi dice: “Vieni qua. Questa terra – dice il nonno – ora è mia, poi di tuo zio, suo figlio, e poi sarà tua”. Poi si ferma e dice: “No, non è vero. Questa terra è di Dio, è giusto per un po’ mia, poi c’è tuo zio per un po’, poi ci sei tu per un altro po’”. Perché siamo dentro questa logica dell’egoismo e dell’interesse? A che serve? Siamo dentro una storia di controversie e di ingiustizie sociali e culturali che non producono mai pace, ma acuiscono conflitti rovinosi. Essendo cristiani, abbiamo un senso della storia dove conta non comandare ma – ricordate – servire.

Se vi è rimasto un pezzetto di tempo e di voglia di ascoltare, dico l’ultima cosa: è la terza strada di fedeltà e di santità. È la fedeltà a Dio e fiducia in Dio provvidente. Questa fedeltà passa attraverso la vocazione che abbiamo accolto e scelto. Vale per me rispetto rispetto al mio ministero di pastore. Se c’è da fare un funerale, io non posso andare in vacanza. Se c’è da fare un battesimo, non posso andare in vacanza. Mi comprendete? Fa parte del ministero pastorale! Vale per voi sposi, che non vi siete sposati per caso. Qualcuno ha fatto anche delle prove, prima, e poi: “Tesoro non ti sento più”… Che cos’è? Una canzonetta? Che cos’è? Una trombetta? E cos’è la fedeltà alla vocazione? Vale per voi genitori rispetto ai figli. I figli mi hanno diritto ad avere quel padre, non un altro; quella madre, non un’altra! Chi guarisce le distorsioni mentali dei nostri ragazzi che sembrano sopportare le cosiddette libertà dei genitori? Perché dobbiamo ricordare, figlioli, e vale per me e per tutti: quando ti sposi, perdi la libertà, quando c’hai un figlio, ne perdi due di libertà, non ce n’hai più! Vale per voi, giovani, chiamati a non sciupare la vita, ma a scoprire la bellezza e il mistero. Figlioli, vi prego, non ciondolate nella vita! “Che faccio oggi? Boh! Dove vado questa sera? Là!”, quello è un ciondolare della vita. Il vostro San Pantaleone non ha ceduta al ciondolare: ha servito come medico e poi martire, perché ha detto: “Questa è la mia fede!”. Vi direbbe papa Francesco: “Cari giovani, scendete dal balcone!”, perché chi sta sul balcone guarda… Scendete giù! Sporcatevi le mani, non la coscienza! Le mani si possono sporcare perché si lavano. La coscienza non si deve sporcare. Vale per i responsabili della vita sociale, dove deve dominare il servizio, non il potere, la giustizia, non i privilegi. È uguale per noi, avanti con l’età, gli anziani, dando testimonianza di gratitudine, non di lamento.
Queste sono tre strade. E poi c’è questa fiducia nella Provvidenza, liberandoci dalla tentazione dell’onnipotenza e della sicurezza, oggi tanto predicate e offerte a buon mercato. Né onnipotenza né sicurezza ci appartengono. Parlo di me: devo tornare a casa stasera – duecento chilometri! – ci arriverò? Potete fare tutti gli scongiuri, ma ci arriverò? Cosa vuol dire fiducia nella Provvidenza, braccia conserte, non faccio più nulla, ci pensa Lui? No, no! Vi trasmetto una cosa che mi ha insegnato la nonna. Quanto è stata utile per me la frase di mia nonna in cui diceva: “Se Dio vuole…”!

Queste, carissimi, sono strade di santità che hanno illuminato la vita di San Pantaleone. E quanto vorrei che fossero luce per la mia vita e la vostra, carissimi! Il Santo ci aiuti a ritrovare in pienezza queste strade.

Non dico Amen perché devo salutare lei, signor sindaco: le devo chiedere scusa, perché mi sono dimenticato! La vecchiaia fa anche questi scherzi qua. Attraverso lei, saluto tutti coloro che abitano in questa ridente cittadina così laboriosa e così – immagino e penso – di fratelli che si vogliono bene. Amen.

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