La disillusione e la forza di andare sempre avanti: il mio intervento di ieri al Concorso “PoetaMI” – XII “Premio Paride Di Federico”

Come ogni anno, è toccato a me proporre l’introduzione alla premiazione degli alunni vincitori delle due categorie del XII “Premio Paride Di Federico”, che da quest’anno è una parte di “PoetaMI – Miglianico Borgo in poesia”, il nuovo contenitore che punta alla creazione di un vero e proprio museo della poesia all’interno delle mura del centro storico di Miglianico.

Questo è il testo del mio intervento:

È significativo, in un momento in cui segniamo la ripresa dell’attività sociale, che la prima occasione in cui Miglianico si ritrova in piazza è per la poesia, quasi un ideale trait-d’union con l’ultima manifestazione pubblica del 2020 che è stata proprio l’edizione speciale del Premio Paride Di Federico. In quella sede avevamo annunciato un salto di qualità di questa manifestazione ed è davvero una soddisfazione, lo dico da presidente del Gruppo di Studio per la Promozione della Cultura ma ancor di più da semplice cittadino miglianichese, vedere dopo un anno come questo premio, che ha segnato significativamente la nostra comunità, abbia dato origine a qualcosa di cui probabilmente il nostro concittadino Paride Di Federico sarebbe stato entusiasta: il Borgo della Poesia.

Ed è in suo nome e tenendo presente il suo esempio che vediamo l’inizio di questo piccolo e grande sogno che oggi teniamo a battesimo raccogliendo in questa piazza il meglio della produzione poetica nazionale e abbracciando idealmente uno dei poeti viventi più importanti per la nostra cultura contemporanea: il sogno di raccogliere in queste mura un vero e proprio museo della poesia italiana, dove tutti coloro che hanno nel cuore la versificazione possano vedere accolta in uno speciale luogo i propri afflati poetici.

Proprio per questa progenitura, in questa serata i bambini e i ragazzi delle scuole che da 12 anni si sono misurati nella composizione poetica sulla base di una delle liriche contenute nelle due sillogi che Paride Di Federico ci ha lasciato, precedono la premiazione degli adulti.

Quest’anno è stata particolarmente interessante la proposta fatta ai ragazzi, che si sono trovati di fronte questi scarni versi, che solo apparentemente hanno una comprensibilità immediata, come del resto abbiamo imparato tutti noi sui banchi di scuola studiando le liriche ermetiche e simboliche di autori come Giuseppe Ungaretti ed Eugenio Montale:

DISILLUSIONE

Ho assaggiato

uno spicchio

di Sole:

aveva il gusto

d’un acre limone

I cinque versi di Paride Di Federico hanno una potenza speciale: dapprima si apprezza immediatamente una metafora che è comune all’esperienza poetica universale con l’accostamento del sole, verosimilmente nel suo sorgere o nel suo tramontare, quando cioè il disco solare è non pienamente visibile, allo spicchio di un agrume, nello specifico non la più comune arancia, ma il limone, per sottolineare la sensazione agra del gusto non appena le labbra entrano in contatto con esso.

Ma quando si entra all’interno dei versi, si inizia a intravedere quello che il titolo della poesia rivela senza mediazioni: il sole a cui si accenna è, con una metafora anch’essa classica, il giorno cronologico che si svolge nello spazio di due albe o di due tramonti e per estensione la vita in generale. Quindi lo spicchio gustato da Paride rappresenta chiaramente la porzione di vita che fino a quel momento il giovane poeta ha vissuto e in esso si risente l’eco del catulliano fulsere quondam candidi tibi soles, dove “sole”, anzi “soli”, indica una serie di giorni, un periodo. Quindi l’assaggio di Paride è l’assaggio dell’adolescenza e della gioventù: ed è questo che ha il gusto di un acre limone, ossia non ha trasmesso a lui quella promessa di gioia e di pienezza che il crescere sembra prospettare a chiunque. Da qui ci riconnettiamo al titolo che è la chiave della poesia, disillusione: nonostante la giovane età e la considerazione che ancora tanta parte di quella gioventù doveva essere vissuta, Paride sembra ricordarci che troppo spesso la nostra vita procede per illusioni e che coloro che più di ogni altro sentono chiara la natura delle illusioni, i poeti cioè, con evidente citazione dello Zibaldone di Leopardi, sono coloro che si accorgono della sostanziale differenza della realtà da quel che si spera, immagina, ama…

C’è un’altra spia, stavolta fonetica, che indica il progressivo ripiegarsi della poesia verso la conclusione che ne rivela l’amara realtà: se si analizzano le vocali toniche delle ultime parole dei singoli versi, cioè quelle che nel sistema della poesia sono le vocali principali, quelle che danno origine alle rime e alle assonanze, si può notare che esse si vanno via via chiudendo, dalla “a” di “assaggiato”, alla “i” di spicchio, poi alla “o” di “sole”, fino alla “u” di “gusto”. Poi l’ultimo verso, quello rivelatore, ha “limone”, termine centrale della metafora che racchiude tutta l’asprezza dell’esperienza di Paride.

Anche il nostro mondo viveva in un’illusione, che si è alimentata negli ultimi due secoli, ma che è vieppiù cresciuta negli ultimi trent’anni, segnati da un progresso sfrenato: l’illusione di poter controllare facilmente la natura, di avere sempre la risposta pronta, la cura per ogni male, la fiducia assoluta nelle capacità della ragione umana. Ecco, se qualcosa di positivo ha portato la pandemia, essa è la consapevolezza che ci vuole poco a mettere in crisi l’umanità in generale e l’essere umano in particolare e che quindi non possiamo avere il totale controllo del mondo: una constatazione che spero faccia modificare i nostri stili di vita e le nostre priorità.

Anche Leopardi, il poeta delle illusioni, irrideva le magnifiche sorti e progressive, ossia l’illusione che l’uomo potesse solo progredire, e vedeva chiaramente il deserto nel quale si sarebbe cacciato per la sua volontà di sopraffazione: ne La Ginestra, il penultimo suo componimento, scritto un anno prima di morire, vedeva chiaramente come l’unica possibilità che aveva l’uomo per stare di fronte ad una natura indomabile fosse quella di unirsi, essere fraternamente uniti, per darsi forza e coraggio e magari trovare insieme la capacità di superare le difficoltà poste dalla natura. Non è forse quello che abbiamo riscoperto nei giorni cupi del lockdown? E pur in quella situazione, non abbiamo pensato che insieme ce l’avremmo fatta? E oggi, nonostante tutto, non abbiamo voglia di ricominciare?

Certo che ce l’abbiamo e anche Paride ce l’aveva: nonostante il limone agro, la voglia di assaggiare quello spicchio di sole non manca… perché, come Leopardi, più conosce l’amaro della vita e più la ama, così come anche Giuseppe Ungaretti in un suo celebre componimento che appare quasi un ossimoro:

Un’intera nottata

buttato vicino

a un compagno

massacrato

con la sua bocca

digrignata

volta al plenilunio

con la congestione

delle sue mani

penetrata

nel mio silenzio

ho scritto

lettere piene d’amore

Non sono mai stato

tanto

attaccato alla vita.

Anche Paride non era mai così attaccato alla vita di quanto ha scoperto la sua asprezza, anche noi non siamo mai stati così attaccati alla vita di quanto abbiamo scoperto che era così fuggevole.

Come sempre, la poesia ci riattacca alla vita, alla speranza, alla prospettiva che domani potrà sempre essere migliore solo perché, anzi proprio perché un domani c’è.

 

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