Oggi compio 20 anni di giornalismo: due decenni splendidi ma… di precariato!

Oggi è il mio “compleanno professionale”. Oggi in particolare, perché oggi sono trascorsi ben 20 anni dalla pubblicazione del mio primo articolo su un giornale, su “Il Tempo”, dove ancora collaboro (ovviamente ancora come co.co.co., come nel 1993 quando avevo 18 anni e mi andava più che bene questo tipo di contratto).

Il mio primo articolo è questo qui che vedete in testa al post: partita di Coppa Italia dilettanti, il “mitico” derby tra Miglianico e Tollo, prima gara della stagione 1993-1994. Un’emozione unica quando acquistai il giornale solo per vederlo pubblicato, anche se non c’era ancora il nome “in testa” (era troppo piccolo per questo, ma avrei dovuto aspettare poco, il 4 ottobre successivo, per il primo articolo firmato). Ancor di più quando lo ritagliai e lo incollai sul mio diario che tenevo giornalmente (dal 1989 e che avrei scritto regolarmente fino al 2005). È infatti da lì che questa scansione è tratta.

A dir la verità, era già un anno che mi occupavo del Miglianico Calcio: tra l’altro la prima volta fu sempre il 31 agosto, ma del 1992, anche allora partita di Coppa Italia Dilettanti. Ma, come accadeva sempre allora (e troppo spesso ancora, ma per molto più tempo), io affiancavo e più spesso sostituivo il corrispondente dell’epoca: io prendevo le formazioni, seguivo la partita e scrivevo il resoconto e lui prendeva i soldi e ci metteva la firma. Però avevo 17 anni e già potere entrare gratis al campo sportivo senza pagare le 5 mila lire del biglietto era per me una cosa grande. E poi stava iniziando il mio sogno, quello accarezzato fin da quando ero alle scuole elementari e componevo i primi giornalini di classe o scrivevo i “temi liberi” sotto forma di articoli di attualità (e parlavo di politica internazionale, di cronaca, di sport già da allora: rimase storico un temino libero in cui raccontavo delle bombe libiche su Lampedusa, lanciate il 15 aprile 1986, e in calce al quale avevo messo una bella cartina con l’indicazione della Sicilia e di Lampedusa con il disegno di due grosse bombe come proiettili, bombe che poi in realtà erano missili Scud).

Insomma, ero un entusiasta, come lo sono ancora… e il giornalismo era, come lo è ancora, la mia vita e la mia passione.

Sono trascorsi vent’anni: bellissimi anni nei quali da corrispondente sportivo sono poi diventato il “ragazzo di redazione” a Chieti, sempre a “Il Tempo”, con veri maestri (Giampiero Perrotti, Peppino Vincolato, Adriano Ciccarone, Alfredo D’Alessandro, Massimo Pirozzi) che mi hanno insegnato tutto di questo mestiere che già amavo. Mi sembrò assurdo sostituirli quando nel 1999 chiusero la redazione e licenziarono tutti, lasciando noi collaboratori a coprire l’intera città e provincia, ma fu l’inizio della mia fortuna: cronista politico, già collaboravo nell’ufficio stampa del Consiglio regionale in uno dei gruppi consiliari; poi venne l’esperienza in Senato, poi l’Unione dei Comuni delle Colline Teatine, poi capoufficio stampa in Provincia. Nel mentre, la direzione di Intercity Magazine, i progetti intrapresi e poi appassiti (Castel Frentano Punto Net su tutti), le società di servizio giornalistico (Co-munica e Kairòs Media). Infine il praticantato, riuscito a strappare come freelance grazie ad un contratto generoso di un anno, e l’esame professionale, dopo il quale mi aspettavo molti cambiamenti. Invece nulla.

Questo perché tutte le belle esperienze che mi hanno formato e che mi hanno reso il giornalista di oggi sono state tutte sotto una insegna ben precisa: quella del precariato. Venti anni bellissimi, ma di precariato: possibile che una professione come questa possa offrire solo questo a chi le si dedica totalmente per venti anni? Eppure è così. Questo è l’unico sapore dolceamaro di questo “compleanno professionale”, che prelude, probabilmente entro un anno, alla fine stessa del mio essere giornalista, inteso come professione esclusiva.

Rimarrò sempre giornalista anche quando salirò su una cattedra, ma sicuramente moltiplicherò il mio impegno, per quel che potrò, affinché nessun altro dopo venti anni dedicati al giornalismo si ritrovi costretto, dalle esigenze della vita, a cambiare mestiere.

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