La riforma si autoriforma: il Ministero della Giustizia pronto a rimandare la palla agli Ordini?

Mentre non filtrano né buone né cattive notizie dall’incontro dei presidenti degli Ordini regionali tenutosi ieri a Roma (in sostanza, nessun accordo sul regolamento della formazione professionale continua, bersagliato di critiche ed osservazioni, anche se sostanzialmente accettato a patto che ci siano modifiche), un articolo di Benedetta Pacelli apparso questa mattina su “Italia Oggi” (che ne ha fatto l’apertura di prima) anticipa una probabile mossa del Ministero della Giustizia, che si sarebbe reso conto del ritardo con cui si procede verso la scadenza del 12 agosto. Entro quella data, occorrerebbe emanare il Decreto del Presidente della Repubblica (Dpr) con le linee guida per la riforma di tutti gli Ordini professionali, stante la delega del decreto di Ferragosto dell’anno scorso.

Come il “Governo dei tecnici” intende risolvere questo ritardo? Nella più classica delle maniere italiche, che il “new style” montiano avrebbe dovuto mandare in soffitta: il rinvio. 

Che sia questo l’orientamento del ministro Paola Severino, la collega di “Italia Oggi” lo chiarisce senza mezzi termini a metà del suo informatissimo pezzo:

 

Una cosa sembra comunque certa: per agosto nulla (o quasi) sarà cambiato, perché è lo stesso provvedimento a ripassare la palla della riforma di nuovo alle categorie.

 

Insomma, tutte le incertezze di questi mesi, le centinaia di domande postatemi in ogni modo dai colleghi, le ipotesi sul tappeto, la fretta di capire dove si sarebbe andati a finire dopo il 12 agosto verranno semplicemente prorogate di sei mesi: questo infatti sarebbe, a detta delle anticipazioni di “Italia Oggi”, l’arco temporale, a partire dal 12 agosto, che il Ministero darebbe agli Ordini professionali per emanare specifici regolamenti per l’autoriforma delle categorie.

Quindi la riforma diventa autoriforma.

Lo spettro del 12 agosto si muta nello spettro del 12 febbraio (2013).

Con quali conseguenze? Temo di una riforma non riforma, di un maggiore annacquamento delle norme che si sarebbero dovute mettere in campo. O, peggio, di una riforma drastica, in assenza di un regolamento: secondo l’articolo di Benedetta Pacelli, in questo caso infatti, sarebbero tout court abrogati gli ordinamenti in contrasto con i principi europei (per noi significherebbe la cancellazione dei pubblicisti innanzitutto).

Una postilla non meno preoccupante per i giornalisti, di cui si è anche discusso animatamente ieri nella riunione dei presidenti degli Ordini regionali: nel pezzo di “Italia Oggi” si fa preciso riferimento agli elementi attorno ai quali deve essere articolato il regolamento di autoriforma e tra essi figura anche la famigerata “assicurazione obbligatoria”.

Ebbene, pare che, nonostante qualche mese fa ci siano state rassicuranti parole da parte del ministro sulla “specificità” della professione giornalistica e quindi sull’esonero per la nostra categoria in merito all’obbligo di assicurazione, quest’ultima la dovremo proprio stipulare e sarà fatta – così sembra essere l’orientamento dei presidenti regionali dell’Ordine – collettivamente, andando a pesare – guarda caso – sulla quota annuale di iscrizione che potrebbe essere maggiorata di circa 35-40 euro. Un salasso, non c’è che dire.

Ovviamente, parliamo ancora di ipotesi e di ragionamenti. Tuttavia, sarebbe bene iniziare a verificare l’impatto che tutto ciò avrà sull’intera categoria.

5 commenti

  • GiusyB

    Io spero che si possa trovare una soluzione di compromesso, nel caso non si arrivi in tempo all’approvazione della riforma. L’eliminazione del categoria dei pubblicisti è impensabile (anche per una questione di diritti ormai acquisiti, oltre che fiscali, previdenziali, ecc), ma è anche vero che, nonostante il più che probabile rinvio di 6 mesi, la nostra legge istitutiva dell’Ordine potrebbe essere giudicata “viziata” ed in contrasto con la riforma delle professioni. Non essendo un avvocato, in questo momento non ho abbastanza elementi per inquadrare meglio la situazione. Sta di fatto che, per evitare la cancellazione dell’elenco dei pubblicisti, si potrebbe consentire a chi lo voglia di sostenere l’esame da professionista, dopo un lungo, lunghissimo periodo di preparazione a chi lo voglia ed eserciti la professione in via esclusiva. E’ una possibilità. Una preghiera: accedere ad una redazione, ma da praticante, lasciando comunque all’esame finale la facoltà di stabilire se si è giornalisti oppure no. Ho sempre pensato infatti che il diritto di accesso alla formazione e alla professione non potessero passare attraverso l’andamento del mercato editoriale (e delle assunzioni), visto che, mentre i pubblicisti, essendo iscritti all’albo, giornalisti lo sono già, i praticanti inseriti nel registro, giornalisti non lo sono ancora diventati; non possono essere i compensi che ci pagano gli editori e le formule contrattuali a stabilire se un cittadino abbia oppure no il diritto di formarsi per diventare un giornalista. La legge del’63 oggi è come un chiodo storto da raddrizzare: ma il lavoro non può esser fatto alle spese di quei pubblicisti che non possono esercitare il diritto a diventare giornalisti. Perché, se è vero che esistono le norme europee, la riforma Monti e l’art 32 della Costituzione, come scrivevo ieri, esiste anche l’articolo 3 della nostra carta costituzionale da rispettare.
    Non si può cancellare un’intera categoria di giornalisti. Né gli si può imporre questa specie di meccanismo ad orologeria per poter sopravvivere. Non voglio essere allarmista, ma il sospetto forte che l’unico nodo che non si riuscirà mai a sciogliere di questa riforma (la questione della formazione, legata alla possibilità d’accesso), potrebbe portare a conseguenze insopportabili.
    (grazie per la segnalazione: vado a rileggere l’articolo…)

  • GiusyB

    …”Né le si può imporre”.
    In quanto ai master e alle scuole: dopo aver imparato ad apprezzare il carattere incisivo ed intelligente del nostro Stefano Tesi, direi che tali istituti, altro non sono che un modo di “pagare per fare il giornalista”.Personalmente però, non disprezzo né respingo l’idea della formazione continua: vorrei solo che fosse rispondente alle mie aspettative, degna delle competenze già possedute e soprattutto all’altezza delle promesse: professionalizzare la categoria (senza livellare il sapere professionale di tutti, lasciando che i giornalisti meno aggiornati e competenti raggiungano livelli di conoscenza accettabili, mentre chi si trova già “più avanti”, se ne resti lì, a fingere di imparare, perché deve aspettare che arrivino gli altri).

  • Mah, se l’odg non è stato capace (ormai è evidente che non lo sarà) di predisporre una bozza praticabile di riforma nonostante la pressione dell’ultimo semestre, dubito che riuscirà a vergare il regolamento autoriformatorio nel semestre successivo. In ogni caso, i problemi rimarranno gli stessi e non credo siano dipesi dal tempo disponibile.
    Quanto all’assicurazione, la questione mi pare innanzitutto di incongruenza logica. si chiede infatti ai giornalisti di assicurarsi contro i danni procurati ai clienti. Ma i clienti dei giornalisti sono gli editori. Quindi dovrei assicurarmi per i danni (es. querele perdute) procurati al soggetto che con me condivide verso i terzi la responsabilità dei reati a mezzo stampa? E’ un chiaro qui pro quo visto che, in questo caso, la “specificità” della professione giornalistica è davvero innegabile. La battaglia dunque va combattuta fino in fondo, perchè non è certo questa la copertura assicurativa obbligatoria di cui i giornalisti hanno bisogno (cfr mio post sull’argomento qui: http://blog.stefanotesi.it/?p=1133).
    Quanto alla questione pubblicisti, mille volte affrontata (GiusiB, grazie degli apprezzamenti), è una faccenda anch’essa affrontata a mio parere dal punto di vista sbagliato: il problema è la soglia di accesso, non l’abolizione dei pubblicisti. La soluzione trovata non era male (prima si fa l’esame, poi si sceglie se fare i professionisti o i pubblicisti), salvo l’assurda durata del regime transitorio. Trovo del tutto normale che per accedere a un ordine ci siano prove da superare.
    Sull’assicurazione, dimenticavo: mica male invece l’idea dell’odg di fare una polizza collettiva il cui costo sia poi spalmato sulle quote. Avete idea del costo che una polizza avrebbe se stipulata individualmente? Piuttosto la guerra facciamola sull’oggetto dell’assicurazione, anzichè sulla polizza!

  • Premesso che vanno salvaguardati i pubblicisti che svolgono con continuità la professione di giornalista, ho qualche perplessità di lasciare libertà di scelta, dopo aver superato l’esame professionale, tra l’iscrizione all’albo dei professionisti o dei pubblicisti. Gli Ordini professionali prevedono l’esclusività: il giornalista professionista non può fare l’impiegato o il commerciante, anche perchè si possono verificare situazioni perniciose (è già accaduto) di possibili interessi personali nella scrittura della notizie. Si verificherebbe anche una discriminazione tra giornalisti professionisti (tenuti all’esclusività) e pubblicisti (che non sono tenuti). Come dire ci sarebbero figli e figliastri. Chi esercita la professione di giornalista, dunque,
    deve essere esclusivamente tale. Via gli aggettivi “pubblicisti” e “professionista”, con le dovute garanzie normative per la tutela dei “liberi professionisti”.

  • GiusyB

    In effetti è vero: la questione dell’assicurazione è completamente illogica. Ed è per questo che credo che sarà sistemata con la riforma. Oggi possiamo solo sperare che il provvedimento possa arrivare in tempo. Poiché, oltre quello specchietto per le allodole che è la questione della formazione, credo che le questioni dell’attività libero professionale (di pubblicisti e professionisti) vadano ridefinite in termini contrattuali, e alla luce dell’obbligo assicurativo (e perciò, per restare nella “logica”, hanno rallentato l’iter dell’approvazione delle norme sull’equo compenso). Se tutto restasse com’è adesso, gli unici a non avere problemi saranno i giornalisti con contratto, i dipendenti, soprattutto. Per quel che riguarda la soglia d’accesso dei pubblicisti: dopo la vanificazione della norma del 2007 (da un’idea di Catricalà), che avrebbe dovuto rendere le lauree magistrali in “Informazione e Sistemi editoriali” abilitanti (o al limite, avrebbe dovuto prevedere un post laurea e/o l’accesso diretto all’esame d’abilitazione), noi pubblicisti patiremo tutti come agnellini in un macello. La nostra condizione reale è quella di lavoratori sottopagati e invisibili. Ciò che ancora non è noto sta emergendo grazie alle nostre battaglie, ma la selezione naturale che sarà operata su di noi sarà cieca ed insensata. Ed io – che questo mese ho vanificato persino il mio lavoro, perché i miei servizi non sono stati pubblicati da alcuna testata (articolo non pubblicato=articolo non pagato) – credo di essere una delle prime vittime designate in questo meccanismo contorto. A meno che da agnello sacrificale mi trasformi in cibo per quei polli che organizzano i master. “Regalando” loro i miei soldi e destinando la mia laurea in giornalismo ad altri usi (almeno la carta, perché almeno nella sostanza fortunatamente posso dire d’aver appreso, mentre la pratica l’ho acquisita lavorando come collaboratrice e pubblicista per conto mio), potrei accedere definitamente a quest’esame, riuscendo a salvare la mia vita professionale.
    Le Università – dicono – non hanno saputo presentare un progetto: ma ciò è vero solo in parte, perché le lauree “preordinate alla professione giornalistica”, secondo quanto stabilito dal’art. 10, comma 4 del DM 270/2004, hanno rispettato tanto l’obbligo della selezione iniziale per titoli ed esami, quanto il numero di quest’ultimi (o almeno nel mio caso, per quel che riguardava le materie giornalistiche, era stato così, nonostante i tagli della Gelmini e la necessità di ridurre/accorpare i corsi). Ora, per potermi salvare la vita professionale, dovrei andare a “fare la ripetente” in un master costosissimo (almeno per le mie tasche) e che sia almeno qualitativamente superiore a quella mia vecchia classe multimediale, collegata con le agenzie stampa attraverso internet, dov’ero al cospetto d’insegnanti e giornalisti professionisti, mentre simulavamo il lavoro di una una vera redazione. Ma oggi, come ieri, lavoro poco, troppo poco, e tutto ciò non basterà a fare di me una giornalista professionista. A meno che non vada ad ingrassare i polli suddetti: colleghi “maggiori” ed insegnanti delle scuole di “Alta Qualità”, che hanno tutti gli gli interessi a svilire la professionalità e la preparazione di noi comuni e miserabili laureati delle università statali (il mio “esame per i pubblicisti”, perché l’ODG della mia regione ne ha istituito uno “con tanto di verbalizzazione”, è stata una delle esperienze professionalmente più degradanti, essendomi state rivolte delle domande degne di un programmino di educazione civica di seconda media!).Oggi molti della nostra categoria attendono speranzosi che tutto cambi affinché tutto resti così com’è, in una sorta di tacito accordo corporativo.
    Per tornare alla questione dell’assicurazione: anch’io penso che sia più conveniente stipularla collettivamente, ma soltanto nel rispetto dei principi deontologici riguardanti l’autonomia professionale.

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