“Freelance – Il giornalismo tra precarietà e passione”: questa sera a Forte Marghera un confronto a cinque voci

 

Precarietà e passione sono due termini che inevitabilmente fanno parte dell’esperienza professionale del freelance dei nostri giorni e sono i due pilastri dell’incontro-dibattito che alle 18.00 di oggi si aprirà a Forte Marghera, in quel di Mestre, e che mi vedrà protagonista insieme a validissimi colleghi che condividono la mia scelta di vita (professionale) e la mia condizione (lavorativa).

Tra precarietà e passione si inserisce un terzo termine “fantasma” ed anche un po’ goliardico, che non dimentico mai di citare quando parlo del mio lavoro: malattia. Il giornalismo è un virus, spesso inestirpabile e dalle conseguenze imprevedibili, che ha un’insidia particolarmente letale: quando è stato scoperto, ormai è troppo tardi, è praticamente ineliminabile, non ci sono anticorpi o antidoti particolarmente efficaci (se non forse una dose massiccia di realismo).

Tuttavia, continuo a ritenerlo il più bel mestiere al mondo e, tra l’altro, l’unico che sono capace di fare. Che comporta sacrifici, rinunce, scelte… ma quale percorso non li prevede?

Torno serio. Anche perché vorrei che questo post fosse quasi una traccia di lavoro per il mio intervento di stasera, aperto ai contributi di coloro che avranno la bontà di commentare questa mia riflessione ad alta “voce” (che poi non è detto che si riverserà in toto sul palco di Forte Marghera).

La passione è un elemento importante dell’esercizio del giornalismo, è ciò che fa superare le difficoltà, ciò che aiuta a vincere lo scoramento, ciò che dona quella spinta per accettare la precarietà e renderla un vantaggio competitivo, piuttosto che una condizione di inferiorità. La passione è il raggio di sole che illumina una giornata di pioggia e rende possibile l’arcobaleno, è il solido appiglio di una scalata difficoltosa, è il fulcro di un instabile equilibrio (generalmente, quello tra presente e futuro).

La passione è il desiderio di raccontare, di informare, di incontrare. La passione è quella che mi fa prendere oggi il treno, anzi due, visto che c’è il cambio a Bologna, fare cinque ore e mezzo di viaggio, trovare una stanza d’albergo in un momento di totale sold out causa Coppa America, per essere insieme a persone divorate dalla mia stessa passione e comunicarla agli altri.

Ma la passione non è un elemento essenziale, non è la condicio sine qua non, non è l’imprescindibile requisito del giornalista.

Quella del giornalista è una professione e quindi presuppone essenzialmente l’acquisizione di determinate competenze (si può discutere delle modalità migliori, se cioè tramite un corso universitario o una gavetta in redazione) e di un modus operandi che ha come prima, importante, stella polare la responsabilità. Responsabilità di ciò che si scrive, garantendone l’attendibilità e la rigorosa verifica; responsabilità verso il pubblico che legge, assicurando continenza e precisione nel linguaggio; responsabilità nei confronti di coloro che sono i soggetti degli articoli scritti, dimostrando apertura alle rettifiche e alle repliche.

Ora, questa responsabilità non è ovviamente garantita ipso facto dall’ottenimento di una tessera professionale (tra l’altro i pubblicisti non devono neppure sostenere un esame per ottenerla, almeno fino al 13 agosto prossimo, e al netto dei “colloqui” di deontologia introdotti in alcune regioni, come l’Abruzzo), tant’è che ci sono gli obblighi deontologici a ricordarla e le sanzioni disciplinari a riportarla al centro.

La sola passione non basta, non fa il giornalismo. Il solo occhio che si posa su un fatto e lo documenta così com’è non è sufficiente ad essere inquadrato come giornalismo. L’immediatezza, nel senso etimologico e non cronologico della parola, è nemica del giornalismo. L’ansia da scoop mal si concilia con il giornalismo. Il giornalista non deve semplicemente raccontare un fatto, ma deve dare una notizia.

E la cosa è ben diversa.

Il cosiddetto “citizen journalism” non è da bandire, quasi fosse un “attentato” alla professionalità dei giornalisti: può anzi fornire spunti importanti, punti di vista inespressi, contributi originali e fuori dagli schemi. Ma da solo non basta. La notizia va elaborata e “mediata”, contestualizzata e presentata: è questione per giornalisti. È vero pure che ci sono giovani che sono molto scrupolosi e attenti ma che per le regole ormai bizantine di una legge vecchia quasi di cinquant’anni non possono vedersi riconosciuta una professionalità di fatto, ma è vero pure che accanto ad essi ci sono schiere di “dilettanti allo sbaraglio”, molto più numerosi dei primi, che per il solo fatto di avere una telecamerina portatile o un blog pensano di essere titolati a diventare o peggio autonominarsi giornalisti.

Certo, non aiuta affatto la “causa” dei giornalisti sia la mancanza di una formazione continua nei colleghi, sia i sempre più numerosi casi di clamorosi granchi presi per una semplice mancanza di verifica (come il caso delle ostie allucinogene che ho raccontato qualche mese fa sul mio blog e che ha suscitato un giusto scalpore), ma almeno i giornalisti sono soggetti alla giurisdizione disciplinare dell’Ordine, devono rispondere a qualcuno per l’esercizio della professione e non credo sia poco, sebbene la fiducia nella capacità di autogiudizio della categoria non sia proprio ai massimi livelli.

Senza passione, però, difficilmente si riuscirebbe a tenere duro in un tempo storico in cui la precarietà è il segno distintivo, ormai ampiamente maggioritario, della professione giornalistica. La precarietà è un nemico mortale per il diritto all’informazione: rendendo infatti precari gli operatori dell’informazione si può controllare l’informazione. La precarietà dell’informazione è anche figlia del malinteso di cui parlavo prima: se il giornalismo “scade” a racconto puro e semplice dei fatti, senza mediazione, perché investire risorse sulla qualità dei giornalisti?

La passione, in questo caso, è ciò che sorregge le decine di migliaia di colleghi precari (me compreso), convincendoli a non piegarsi, nonostante le difficoltà economiche e il continuo confronto con veri e propri “perturbatori del mercato” che svendono ciò che in realtà è prezioso, alla sciatteria tipica di questa realtà che abbiamo – ahinoi – sotto gli occhi.

La passione è quella che ci sostiene nel rivendicare il nostro diritto ad un equo compenso, che si tradurrà in un drastico ma salutare restringimento delle possibilità lavorative, e il dovere della categoria di punire i colleghi che chiudono gli occhi di fronte alle situazioni di sfruttamento sottopagato.

Riflessioni sparse, anche scollegate. Ma certamente sentite. Vediamo cosa uscirà questa sera a Forte Marghera dialogando con i colleghi Nicola Chiarini, Jacopo Venier, Mario Azzalini e Giovanni Pascoli.

4 commenti

  • E poi com’è andata? Racconta!

    • Antonello Antonelli

      Non so dove ho riposto i miei appunti della serata, per questo sto tardando nella scrittura della sintesi del dibattito… Inoltre attendevo che il collega Venier pubblicasse su Libera Tv l’audio della nostra tavola rotonda, che è stata anche registrata su video. Un po’ di pazienza e tutto arriva!

  • GiusyB

    Diritto/dovere d’informare; battaglie sindacali; impegno nel promuovere una cultura giornalistica interna ed esterna al settore, allo scopo soprattutto di portare alla conoscenza dei non addetti al settore la natura della nostra professione.
    Ho sempre pensato che alcuni ingredienti per preparare l’antidoto che possa curare i mali del sistema dell’informazione nostrano si trovassero in questi 3 elementi.
    La cronaca dell’ultimo fine settimana mi ha impegnato molto e avrei voluto che quel che è accaduto, non fosse mai accaduto, ma sono comunque rimasta in trepidante attesa di sapere tue nuove!

  • Liberatv.it ha pubblicato il file audio integrale della nostra conversazione. Lo trovate qui: http://www.libera.tv/audios/55/freelance—il-giornalismo-tra-precarieta-e-passione.html

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