Un tempo la chiamavano “Mamma Rai”, ma ora per i giornalisti precari è “matrigna”

C’era una volta “mamma Rai”, la buona emittente radiotelevisiva che sotto la sua ala protettrice riparava colleghi e politici, attori e cantanti ed entrati nella quale si diceva “stai in una botte di ferro”. Altri tempi, davvero!

Oggi si vivono tempi duri anche in Rai, specie i giornalisti: se vengono assunti, lavorano come giornalisti ma non hanno il più delle volte il riconoscimento contrattuale come tali; addirittura, nelle clausole (che definirle vessatorie è far loro un complimento), è prevista la risoluzione immediata del contratto in caso di infortuni, malattie e… udite udite… gravidanza!!!

Lo hanno evidenziato, in due documenti distinti, i colleghi precari romani di Errori di Stampa, anche loro, come me, aderenti a SottoPRESSione, la rete nazionale dei coordinamenti regionali dei precari dell’informazione

Questa è la prima storia, presentata giovedì scorso in conferenza stampa:

 

In Rai da “consulente” e “presentatrice” senza qualifica giornalistica né contributi


Nell’agosto del 2009 fui chiamata da Monica Setta a collaborare allo start up e alla realizzazione di una nuova trasmissione di attualità politica che sarebbe andata in onda su Rai Due: “Il fatto del giorno”. Provenivo da 6 mesi come redattrice ordinaria (assunta ex art. 3 con CNLG) dal quotidiano “L’Unità”, allora diretto da Concita De Gregorio. Il quotidiano andò in stato di crisi nel maggio dello stesso anno, i contratti a tempo determinato non vennero rinnovati, insieme a cococo e borderò, e mi ritrovai senza lavoro.Accettai, dunque, di buon grado, la proposta e iniziai a lavorare al progetto. Monica Setta, ideatrice e autrice del programma, mi disse che avrei svolto il ruolo di “caporedattore politico”.Entrai a viale Mazzini il 26 agosto del 2009. Da quella stessa mattina cominciò un lavoro molto duro, di 10-12 ore al giorno, che prevedeva mansioni di ogni tipo: rassegna stampa, costruzione di un’agenda contatti della trasmissione, collaborazione alla costruzione delle scalette insieme agli autori (Monica Setta e Giuseppe Tortora), presa dei primi contatti con i politici che avrebbero dovuto essere gli ospiti delle prime puntate. Per tre settimane rimasi senza contratto. Il 14 settembre venni convocata presso l’ufficio scritture di viale Mazzini. Mi aprirono una matricola Rai (il codice identificativo di ogni lavoratore Rai) e mi dissero che avrei lavorato “a partita Iva”, con la qualifica di “consulente esperto”. In fattura avrei dovuto segnare l’Inps al 4% e non l’Inpgi, che non mi veniva riconosciuta perché la testata “Il fatto del giorno” (come Presa Diretta, Ballarò, Annozero, Report) non era registrata come “testata giornalistica” bensì come “programma di rete” e questo impediva il riconoscimento formale della mia professionalità. Avrei percepito una cifra fissa per ogni puntata andata in onda. Il lavoro di start up durato quasi un mese veniva considerato dall’azienda, sostanzialmente, un omaggio.Firmai e iniziai a prestare la mia “consulenza”, che prevedeva un impegno quotidiano di lavoro dalle 9 alle 19 circa presso la nostra redazione in via Oslavia 12 e, de facto, lo svolgimento di un lavoro strettamente giornalistico che, oltre alle mansioni che ho citato in precedenza (rassegna stampa, curatela dell’agenda contatti e dei rapporti con gli ospiti, collaborazione alle scalette) prevedeva la quotidiana realizzazione di una o più schede per i contributi rvm che andavano in onda durante la diretta. In particolare, mi occupavo sempre, ogni giorno, della realizzazione della scheda di presentazione del politico ospite dell’intervista “faccia a faccia” condotta da Monica Setta a inizio o fine trasmissione. Con correttezza, Monica Setta ha sempre lanciato le schede a mia firma,riconoscendomi la quotidiana attività giornalistica svolta di cui, però, continuava a non esserci ombra nelle scritture tra me e l’azienda. All’inizio non potevo speakerare le schede da me scritte, né condurre interviste in esterna con una troupe, poiché sono mansioni non previste in un contratto da consulente.Mi fu fatto, quindi, grazie alla positiva pressione di Monica Setta e della produzione, intenzionate a riconoscere equamente il mio lavoro, un upgrading di scrittura e mi fu attivato un contratto supplementare come “presentatore-regista”, con un plus economico a puntata per ogni servizio speakerato o in esterna da me eseguito, coperto previdenzialmente, questa volta, dall’Enpals (il sindacato dei lavoratori dello spettacolo). Ma io continuavo a offrire alla Rai una quotidiana prestazione professionale né come consulente esperta né come presentatrice-regista! Ero “solo” una giornalista che faceva il suo lavoro, servizi in esterna inclusi, a cui però l’azienda non riconosceva formalmente alcunchè.Dopo 5 mesi pieni di lavoro 5 giorni su 7 e 82 puntate realizzate, la mia collaborazione con la trasmissione si è interrotta (fine gennaio 2010) e sono passata a lavorare a The Blog Tv per il progetto Citizen Report a cura di Federica Cellini e Giovanni Minoli (in onda dall’aprile 2010 su Rai tre). Un’azienda sicuramente più piccola come The Blog Tv, “subappaltatrice” di servizi per la Rai, mi ha contrattualizzato in modo sicuramente più decente: con un cococo da “redattore”, con il regolare versamento dei contributi Inpgi 2, con la presenza nei titoli di coda per quello che ero: una redattrice e non un consulente.La Rai, invece, mi ha riservato il trattamento che spetta anche a tutti i colleghi impiegati nei “programmi di rete”, ovvero in tutti i servizi di informazione che non sono tg o prodotti legati ai tg: nessuna contrattualizzazione di tipo giornalistico, nessuna qualifica giornalistica, nessun pagamento di contributi previdenziali giornalistici, nessun riconoscimento dei miei mesi in Rai ai fini del praticantato giornalistico. I precari a partita Iva e con nomina di “consulenti” o “presentatori-registi” abitano nella misura di 2-3 unità in media ogni redazione dei “programmi di rete” (vanno inclusi anche i programmi radiofondici Rai) e si sommano agli altri “precaRAI” che sono i programmisti-registi che popolano il bacino dei precari dell’azienda e che migrano mese dopo mese da una trasmissione all’altra del servizio pubblico, in un interminabile stop-and-go professionale, con programmi di assunzione stabile ancora lontani nel tempo.E’ un precariato di cui si parla poco, perché una partita Iva Rai guadagna anche 2500-3000 euro al mese e questo fa meno notizia dei precari a 4 euro al pezzo della carta stampata. E’ vero, però, che un contratto a partita iva Rai dura il tempo di una produzione: pochi mesi, dopo i quali il precario si ritrova senza stipendio e senza garanzie di riuscire ad essere arruolato e cooptato per una nuova produzione.

 

Ma dove veramente si tocca il fondo, in un calpestamento della dignità umana prima che professionale, è nella seconda storia, che è stata resa nota oggi pomeriggio e che sta già facendo il giro del web. I colleghi di “Errori di Stampa” l’hanno presentata come lettera aperta al direttore generale della Rai, Lorenza Lei:

 

Cara direttrice,

a scriverle è un gruppo di giornalisti precari riuniti nel coordinamento “Errori di stampa”.

Quando è stata nominata come direttore generale della Rai abbiamo sperato che questo cambio al vertice nella più grande azienda editoriale italiana potesse essere il segno di una volontà di miglioramento rispetto al passato. Più precisamente, abbiamo sperato che la sua nomina fosse l’inizio di un’inversione di rotta nelle politiche interne all’azienda, anche e soprattutto nei confronti di chi, di questa azienda, è l’anima e lo scheletro insieme: i suoi lavoratori. Molti dei quali, circa 1600, sono precari.

Sappiamo che più della metà dei “precaRAI” sono giornalisti, ma è impossibile conoscere il numero esatto. La politica di via Mazzini, infatti, da anni, è quella di assumere i giornalisti che lavorano per i programmi di rete e non di testata con contratti-truffa come quelli da “consulente”, “presentatore-regista” o “programmista-regista”. Etichette dietro alle quali, nella gran parte dei casi, si celano redattori che svolgono attività puramente giornalistica. Assunti però senza uno straccio di tutela, pagati a partita iva e a puntata, a fronte di fatture in cui è vietata inserire la voce Inpgi, l’istituto di previdenza sociale giornalistica.

Non dimentichiamo la sua firma sull’accordo sindacale che stabiizza i bacini A e B di precari interni, segnale in sè positivo e rivoluzionario rispetto al passato. Ma crediamo che per parlare davvero di miglioramento nel servizio pubblico nazionale qualcosa in più debba essere fatto.

Per questo le chiediamo di porre fine al proliferare di contratti “ultraleggeri”, di sostituirli con scritture più’ serie, realisticamente rispondenti alle mansioni del lavoratore. E di stralciare dal testo la penosa “clausola gravidanza” contenuta al punto 10 del contratto di consulenza.

Sull’interpretazione di quel punto non ci sono dubbi: se una donna rimane incinta la Rai potrà valutare l’incidenza della gravidanza sulla produttività  della lavoratrice e, se questa ne risultasse compromessa, si riserva sostanzialmente di risolvere il contratto.  In Rai, quindi, l’azienda editoriale che lei dirige, non solo i giornalisti sono “consulenti”, pagati a cottimo e costretti a versare Inps o Enpals al posto dell’Inpgi. Ma hanno anche l’umiliazione di sapere che scegliere un figlio potrebbe implicare la rinuncia coatta al lavoro.

Noi riteniamo che quella clausola sia retrograda e illegale. È un ostacolo formale vergognoso al raggiungimento di condizioni di reale eguaglianza fra lavoratori (precari) e lavoratrici (precarie): una palese violazione dell’articolo 3 della Costituzione. Siamo convinti che lei non può non essere d’accordo con noi.

Per questo, Direttrice Lei, le chiediamo non solo di eliminare i contratti-truffa di consulenza, ma anche di cancellare da tutti i contratti Rai l’insopportabile “clausola gravidanza”. Sarebbe un gesto di civiltà concreto e tangibile di un direttore-donna nei confronti delle tante lavoratrici già sufficientemente umiliate da un’azienda che le paga a gettone. 

Direttrice Lei, in riferimento ad Adriano Celentano presente sul palco dell’Ariston, lei ha chiesto che l’ultima sera del Festival prevalessero “buon senso e correttezza”. Noi crediamo che buon senso e correttezza debbano prevalere non solo in una serata, ma in tutte le trasmissioni e per tutti i contratti della Rai.

Restiamo in attesa di un suo positivo riscontro.

I giornalisti del coordinamento “Errori di stampa”.

Una storia allucinante, incredibile se non fosse vera al 100%.  Scovata, verificata e pubblicata da colleghi precari, con i loro magri stipendi ma con la loro grande professionalità e la loro passione.
I colleghi “blasonati”, contrattualizzati e in un certo senso “ricchi” (certo più dei precari), invece di indagare, si limitano a registrare l’evento e citano la lettera di Errori di Stampa per rilanciare la notizia.
Almeno…
Ma può un’azienda statale, pagati con i contributi di tutti ed in particolare con quel canone che proprio in questi giorni, in virtù di un Regio Decreto (a firma, nientemeno che di Vittorio Emanuele III, nel 1938, l’anno delle leggi razziali, per capirci) geniale dal punto di vista di chi l’ha scritto, si pretende debba essere pagato anche dai possessori di videofonini, smartphone e computer, comportarsi in questa maniera con la “manovalanza” giornalistica, coloro che reggono l’impianto delle trasmissioni televisive così amate dal pubblico?

 

Un commento

  • enrica

    a questa giornalista è andata ancora bene, anche se sembra ridicolo dirlo. Io sono stata presa come consulente per una trasmissione di Rai3: le prime quattro puntate gratis, poi 150 euro lordi a puntata che includono due giorni di lavoro da 10-12 ore, telefonate, materiali, tutti a carico mio. Ho dovuto anche anticipare le spese di viaggio, non essendo residente a roma. La paga ultra-minima l’hanno giustificata con l’assenza di precedenti esperienze analoghe.
    Dopo 6 mesi e quasi al termine del programma, non ho ancora visto un euro. Se chiedi troppo, ti interrompono il contrario, e se non chiedi se ne approfittano per non pagare o rimandare all’infinito i pagamenti.
    Morale: finora ho anticipato un paio di migliaia di euro di spese, non ho ricevuto nessun pagamento e ho un contratto che dice che se non rispetto le scadenze date dalla redazione, sono punibile con una sanzione per il disagio creato.
    Questa è la Rai.

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