La Carta di Firenze unisce la categoria, non la divide!

L’articolo 2 della legge istitutiva dell’Ordine dei Giornalisti, provvedimento certamente datato (1963) e per la maggior parte obsoleto di fronte alle nuove sfide aperte dai “giornalismi” che l’età contemporanea ha fatto crescere sempre più rigogliosi, da sempre costituisce una solida base etica per tutta la categoria, che ritrova in esso il significato stesso del suo essere:

È diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà di informazione e di critica, limitata dall’osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui ed è loro obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede.
Devono essere rettificate le notizie che risultino inesatte, e riparati gli eventuali errori.
Giornalisti e editori sono tenuti a rispettare il segreto professionale sulla fonte delle notizie, quando ciò sia richiesto dal carattere fiduciario di esse, e a promuovere lo spirito di collaborazione tra colleghi, la cooperazione fra giornalisti e editori, e la fiducia tra la stampa e i lettori.

In questo articolo sono contenute in nuce tutte le prescrizioni delle carte deontologiche finora emanate, che la categoria si è date per specificare al meglio i doveri della nostra delicata professione.
In esso sono contenuti anche i “semi” della Carta di Firenze, oggetto sempre più di dibattito, soprattutto nell’espressione, netta e senza compromessi, del terzo comma “Giornalisti ed editori sono tenuti (…) a promuovere lo spirito di collaborazione tra colleghi”.
Anche perché questo e null’altro chiede la Carta di Firenze: che i colleghi, specie ovviamente i contrattualizzati, non siano collaboratori di chi sfrutta i colleghi precari o comunque non contrattualizzati.
Nessuna guerra quindi tra colleghi, quanto piuttosto uno spirito unitario che possa far percepire la categoria unita dagli editori, da sempre nostra controparte.
In questo è illuminante la lettera aperta dei colleghi Maurizio Bekar e Fabrizio Morviducci, che fanno parte del coordinamento dell’Ordine dei Giornalisti che ha lavorato per arrivare alla stesura della bozza della Carta di Firenze.
Una missiva che vuole rispondere alle troppe perplessità e ai troppi fraintendimenti da parte di colleghi che non ancora comprendono, forse, il vero spirito di Firenze:

Abbiamo letto e sentito in queste ultime settimane le opinioni di chi vede la “Carta di Firenze” come uno strumento per portare la guerra in redazione, per aprire una “caccia ai contrattualizzati”.

Abbiamo ugualmente sentito definire “aria fritta” dei principi costituzionali essenziali del mondo del lavoro, come il diritto al giorno di riposo e a un’equa retribuzione, espressamente richiamati nella “Carta”.
Una “Carta” che, ricordiamolo, reca un sottotitolo (“Della deontologia sulla precarietà nel lavoro giornalistico”) che dovrebbe immediatamente richiamare alla mente di tutta la categoria quanto grave, diffusa, crescente e insostenibile è questa condizione nella nostra professione.

Quando abbiamo pensato e scritto questa nuova carta deontologica, insieme a 400 colleghi per lo più freelance, precari e autonomi arrivati a Firenze da tutta Italia, e a 4000 che hanno assistito all’evento in diretta streaming su web, l’abbiamo fatto per descrivere dall’interno i mutamenti di una professione che negli ultimi vent’anni è cambiata profondamente.
Lo abbiamo fatto per creare da una parte un spartiacque etico, e dall’altra uno strumento che dia seguito concreto all’articolo 2 della legge istitutiva dell’Ordine dei Giornalisti, che vincola “a promuovere lo spirito di collaborazione tra colleghi”, rendendo esplicito che ciò riguarda necessariamente anche il lavoro autonomo e precario.

La “Carta di Firenze” afferma innanzitutto dei principi, che crediamo dovrebbero essere condivisi con convinzione da tutta la categoria. Ma cerca anche di porre un freno a delle condotte deontologicamente ed eticamente disdicevoli, attuate purtroppo da alcuni colleghi in danno di altri colleghi, quando non si rispettano o tutelano principi base come un’equa retribuzione e un equo trattamento nell’ambito dei rapporti di lavoro e colleganza.

Come chi viola la “Carta di Treviso” viene sottoposto a procedimento disciplinare ordinistico, non capiamo perché chi permette o avalla in vario modo lo sfruttamento di un suo pari (tutti i giornalisti hanno infatti pari dignità) non debba nemmeno essere censurato per questo. Ma in questo ci sentiamo confortati dal sostegno espresso alla “Carta di Firenze” da vari giornalisti contrattualizzati, pensionati, membri di Cdr, dirigenti sindacali e di categoria.

Per queste ragioni noi riteniamo che la “Carta di Firenze” sia uno strumento da supportare e utilizzare, per rinsaldare un legame in vista della difficile stagione che attende il giornalismo.
Per una vera alleanza e solidarietà tra contrattualizzati, freelance e pensionati, partendo dal fatto che sono le regole e la correttezza lo strumento essenziale contro lo sfruttamento e i contratti capestro fin troppo diffusi, e per la tutela della dignità di tutta la nostra professione.

Assieme, e non in contrapposizione, tra contrattualizzati e non contrattualizzati, tra “garantiti” e “non garantiti”.

 

Credo che si sia ben poco da aggiungere, se non sottoscrivere ogni parola di questo testo.

Chiederò al collega Fabrizio Morviducci di illustrare questa posizione anche nel corso dell’intervento che lo vedrà protagonista, insieme al presidente dell’Ordine dei Giornalisti, Enzo Iacopino, del “Premio Polidoro” che venerdì prossimo, 16 dicembre, sarà dedicato proprio alla Carta di Firenze.

 

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