L’importanza dell’ufficio stampa (e la pigrizia dei giornalisti)

Dalle mie ultime due esperienze di ufficio stampa (per un candidato sindaco nelle amministrative di primavera e per la Mostra del Fiore) ho tratto alcune importanti considerazioni relative al ruolo sempre più importante della figura dell’addetto stampa, ma a causa soprattutto della pigrizia che si sta impadronendo letteralmente della categoria dei giornalisti.

Ne ho potuto discutere, con piacere e confrontandomi in maniera particolarmente stimolante, con i miei allievi del corso di Giornalismo Culturale ed Organizzazione di Eventi che da un mese sacrificano i loro week-end per una profonda full immersion che durerà fino al 25 giugno.

Ormai, nel flusso della comunicazione ininterrotto e così ricco di media, per qualsiasi evento, organizzazione o amministrazione è fondamentale avere al fianco un ufficio stampa che possa far arrivare la notizia che si vuole veicolare direttamente sulle scrivanie (sempre più virtuali) dei giornalisti, tanto quelli locali quanto quelli nazionali, tanto quelli della stampa “tradizionale” quanto quelli dei “new media”. Certo, fare l’addetto stampa non è cosa da poco, non serve semplicemente “scrivere il comunicato” e “inviarlo a tutte le redazioni”: sarebbe meccanico ed alquanto riduttivo.

Il responsabile di ufficio stampa è innanzitutto un giornalista che conosce le esigenze dei propri colleghi (ed ecco perché nella schiera degli addetti stampa improvvisati si iscrivono tutti coloro – e sono purtroppo molti – che non hanno mai scritto una riga per alcun giornale o periodico o che non hanno mai fatto un servizio televisivo ma si firmano pomposamente “addetto stampa”) e sa dunque quali sono i tempi giusti (sia dal punto di vista dell’orario sia per quanto riguarda i giorni) per convocare una conferenza stampa, per inviare un comunicato stampa, conosce quali sono i materiali giusti da inserire in una cartella stampa, si rende disponibile al 100%  nell’ascoltare le esigenze dei colleghi, sa dosare le informazioni che fornisce e soprattutto sa come fare in modo che il “prodotto” che veicola (la notizia) sia pubblicato così come il committente (sia esso un privato o un’amministrazione pubblica) desidera.

Ma questo non è in contrasto con l’esigenza del giornalista di essere rispettoso della verità sostanziale dei fatti?

Ovviamente anche il giornalista che opera in un qualsiasi ufficio stampa deve rispettare i principi della professione giornalistica, osservando i limiti imposti dall’articolo 2 della legge professionale e dalle carte deontologiche (anche se curiosamente Ordine e Fnsi hanno realizzato una “Carta dei doveri del giornalista degli Uffici Stampa”, che si rivolge solo a coloro che operano nelle pubbliche amministrazioni), ma nel rispetto della verità sostanziale il bravo addetto stampa sa come mostrare la notizia che vuole veicolare nelle modalità migliori per il proprio committente.

In questo ormai siamo aiutati (e non poco) dalla pigrizia sempre più evidente dei giornalisti che, purtroppo (ma per la fortuna degli addetti stampa), nella stragrande maggioranza dei casi non si preoccupano di approfondire la notizia che viene veicolata dal comunicato stampa; al massimo ne controllano la forma, l’ortografia (e ormai neppure quella), e subito la “passano”. In questo, giornalisti di media tradizionali e giornalisti di new media sono tragicamente uguali (questo perché nella vulgata appare più facile per i colleghi dei new media riversare con copia-e-incolla immediato un comunicato). Ma quanti ancora verificano l’attendibilità della notizia o i suoi particolari? Quanti si smuovono dalle proprie scrivanie per andare a vedere dal vivo gli eventi che comunicati ben fatti descrivono come mirabolanti e super-partecipati?

Due rapidi esempi, tratti proprio dalle mie ultime due esperienze.

Primo esempio.

Riunione per veicolare bene la notizia della chiusura della campagna elettorale. Con certezza ci sarà un messaggio, o scritto o vocale, del presidente del Consiglio al candidato sindaco. Interessante dato, ma con poco appeal per la stampa. Certo, la presenza fisica del presidente sarebbe stata eccezionale, un videomessaggio al limite pure. Ma un messaggio al telefono o letto non smuoverebbe gli organi di stampa. Come fare per creare interesse su questa serata di chiusura? Escludo da subito l’annuncio (falso) dell’arrivo del Cavaliere, anche se mi era stato chiesto di lasciare intendere questo. Io, ovviamente, mi rifiuto.

Poi, il lampo di genio, il comunicato della visita del ministro per gli Affari Regionali, Raffaele Fitto, si arricchisce della notizia della “conferma che il presidente del Consiglio dei Ministri terrà un intervento per la chiusura della campagna elettorale“. Un intervento. Punto. Nessun’altra specificazione. “Intervento” è parola molto neutra, che abbraccia un’ampia gamma di possibilità: può indicare sia il messaggio, scritto o parlato, sia il videomessaggio, sia l’arrivo fisico del presidente del Consiglio.

Non devo aspettare che una mezz’oretta: già i primi siti sparano “Silvio Berlusconi arriverà per la chiusura della campagna elettorale”.

Poi, dopo un’ora, una telefonata che mi solleva: un collega, tra l’altro di un periodico on-line molto apprezzato, mi chiede “Ma che significa precisamente intervento?”. A lui spiego tutto.

Non ci sono altre telefonate. Il giorno dopo, anche i quotidiani cadono nell’errore della fretta: “Berlusconi oggi a Francavilla”. Come addetto stampa ho raggiunto il mio obiettivo: far parlare gli organi di informazione della serata finale della campagna elettorale. Ma come giornalista mi pongo mille domande: dov’è andata a finire la necessità di approfondimento, anzi, meno, la capacità di ragionare e dunque, di conseguenza, di non fermarsi alla superficie delle cose?

Secondo esempio.

Curo la comunicazione della Mostra del Fiore fino al giorno della sua inaugurazione. Grandi titoli di giornali, di siti, servizi tv. Tutto scorre per il meglio. Nel giorno dell’inaugurazione, incomprensioni tra gli uffici degli organizzatori mi costringono a non completare la mia opera di divulgazione, che passa in tutt’altre mani. Nei tre giorni della mostra, nonostante i titoloni e il presunto interesse, non arriva alle redazioni alcun comunicato ed improvvisamente cessa la copertura mediatica dell’evento. Possibile che il solo fatto di non avere a disposizione un pezzo (con foto) già bell’e pronto fa declassare un evento a “non meritevole di copertura giornalistica”? Dov’è andato a finire il giornalista che consuma la suola delle scarpe per accertarsi della realtà che racconta?

Domande che lascio alla riflessione e al dibattito. Con i ragazzi del corso abbiamo discusso molto e non ancora terminiamo. Se ne potrà discutere anche tra colleghi?

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