Il “Puzzonetto” di San Sebastiano nella rivista accademica: un pezzo di ricerca gastronomica abruzzese

Nel numero di marzo (appena uscito) di “Civiltà della Tavola”, la rivista dell’Accademia Italiana della Cucina, che è a disposizione di tutti in PDF gratuito e libero all’indirizzo https://www.accademiaitalianadellacucina.it/it/riviste, è apparso un mio articolo (il secondo da quando sono accademico), stavolta su una delle tradizioni gastronomiche più antiche del territorio teatino, il “Puzzonetto” di San Sebastiano ad Ortona, che con la delegazione di Chieti dell’Accademia abbiamo studiato e riscoperto il 21 gennaio scorso in una conviviale presso lo storico ristorante “Al vecchio teatro”. 

Grazie alla relazione del vicedelegato Paolo Albanese, abbiamo potuto seguire la storia di questa tradizione che segna da secoli la marineria ortonese e che ho riportato nella rivista, segnandone tutte le fasi.

Questo il testo dell’articolo, uscito alle pagine 26 e 27 del numero 324 di “Civiltà della Tavola”:

 

Territorio – turismo – folklore

Il “puzzonetto” di San Sebastiano ad Ortona

Antonello Antonelli

Accademico di Chieti

San Sebastiano non è soltanto patrono di vigili urbani, atleti, arcieri e tappezzieri, invocato come difensore dalle malattie più terribili, in primis la peste (cedendo solo negli ultimi cinque secoli a San Rocco il patrocinio su questo morbo che tanta paura seminò in Europa nel corso di due millenni), ma ad Ortona, rinomato porto dell’Adriatico, al centro della provincia di Chieti, è anche celebrato dall’intera marineria che riprende il lavoro dopo le festività natalizie e i rigori del pieno inverno proprio nel giorno della sua memoria liturgica. Lo fa con una miscela di sacro e profano, che si conclude inevitabilmente a tavola dove si consuma un piatto tipico della tradizione ortonese, lu puzzinètte (italianizzato, il “puzzonetto”), che esprime in sé il potere della gastronomia di fondere e amalgamare armonicamente elementi di diversa provenienza celebrando la sapienza popolare e le necessità contingenti di una stagione non certo abbondante di frutti della terra e del mare, come l’inverno.

Ma la tradizione inizia prima del calare della sera, nella piazza della cattedrale di Ortona, dove, dopo la messa pomeridiana, celebrata dall’arcivescovo sulla tomba dell’apostolo Tommaso, e la processione con la statua di San Sebastiano, viene allestito uno spettacolo pirotecnico eccezionale fatto di spari, girandole e stelle multicolori, ma sopratutto quello che è il “pezzo forte” della parata pirica, il cosiddetto “Vaporetto di san Sebastiano”, che viene messo a punto proprio dalla marineria ortonese. Si tratta di una barchetta di cartapesta sospinta da un razzo che naviga su un filo di ferro che unisce due punti della piazza; se il tragitto di andata e ritorno avviene senza incidenti, tutti gli intervenuti gioiscono perché è segno di buon auspicio per le attività marinare, contadine ed economiche che stanno per riprendere dopo la pausa forzata per il Natale e il gran freddo di gennaio.

Un gran botto chiude lo spettacolo pirotecnico e finalmente tutti possono sedersi a tavola per onorare la tradizione del “puzzonetto”, il piatto forte della serata. A questi banchetti conviviali, nel periodo precedente la Prima Guerra Mondiale, partecipavano gli artigiani ortonesi (sarti, calzolai, falegnami, muratori, quella “classe media” di onesti lavoratori della cittadina), con la sola esclusione della classe contadina, tutta dedita alla lavorazione dei campi. Dopo la Grande Guerra i “cafoni” ortonesi (così venivano chiamati dagli artigiani) si organizzarono e diedero origine ad una nuova formula di “puzzinètte”, basando la cena di San Sebastiano su broccoli neri (“vruocchili niri”) prodotti dalle loro terre, stoccafisso e patate (“stoccafisse e patane”), sagne e fagioli (“fasciuole”), pizza di granoturco (“grandigne”) cotta sotto “al coppo”, peperoni fritti e arrosto (“pispagnuole”), frutta secca. Piatti certamente non adatti a stomaci delicati, anzi, assai pesanti soprattutto di sera, quando venivano consumati, però gustosissimi.

A realizzarli, sapienti mani di massaie allenate da secoli di devozione e di tradizione trasmessa di madre in figlia: in un tegame di coccio, si dispone lo stoccafisso tagliato a pezzi e condito a crudo con olio, aglio, prezzemolo e peperone secco dolce tritato, e lì lo si unisce a broccoli di rape tagliati a pezzi conditi nella medesima maniera e un po’ di sale. La cottura avviene a fuoco lento per circa un’ora e mezza e prevede l’aggiunta di olio, vino e acqua. Al termine, una commistione così saporita di terra e di mare viene completata dalla presentazione nel piatto insieme all’altrettanto tradizionale “pizza di grandigna”, realizzata con farina di granoturco e ciccioli di suino, priva di lievitazione e cotta “al coppo”, un grosso coperchio concavo di ferro, ricoperto di carboni ardenti, che sfrutta il calore del camino. Anche questo accompagnamento costituisce un piatto povero della tradizione contadina, che anticamente rappresentava l’ideale sostituto del pane e veniva servito con pasti semplici e genuini e che oggi invece, paradossalmente, è recupero quasi letterario che adorna piatti elaborati e costosi, anche se manca sempre più spesso l’elemento del “coppo”, a causa della carenza di camini nei ristoranti, che perciò eseguono la cottura della “pizza di granoturco” in una semplice padella rovente su un comune fornello. Mala tempora currunt, ma San Sebastiano protegge ancora dall’alto la sua marineria che lo celebra con devozione ogni anno!

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