Una giornata in azienda agricola tra profumi di mosto e di olio: la Cantina Dora Sarchese ad Ortona

Nella mia carriera ormai ventennale di giornalista mi è capitato spesso di essere stato invitato a degustare prodotti tipici del mio territorio o a visitare aziende agricole che sono uno degli orgogli del mio Abruzzo e da ogni incontro traggo sempre la convinzione che il vero oro della mia terra, come anche della maggior parte dell’Italia, è racchiuso in questi speciali scrigni fatti di amore, genuinità, tradizione e qualità, che tenacemente tengono alta la bandiera del buon vivere italiano.

Oggi, giorno di San Martino, approfittando dell’iniziativa del “Movimento Turismo del Vino”, ho potuto, insieme ad altri colleghi, tornare a fare una visitina all’azienda agricola Dora Sarchese di Ortona, una delle più tenaci nel difendere la bandiera dell’abruzzesità e nel diffondere la cultura del buon bere e del buon mangiare.

Fondata dal troppo prematuramente scomparso Domenico D’Auria, l’azienda prende il nome dalla moglie di quest’ultimo, la signora Dora che ancora tiene la barra dritta nella conduzione di quella che originariamente era una cantina, dai vini rinomati, ma che si è trasformata nel tempo in un più grande complesso, che affianca ora anche la produzione di olio, confetture, sott’oli, frutta sciroppata, tutto assolutamente realizzato secondo i dettami della tradizione abruzzese, custodita da Nicola D’Auria, figlio del fondatore, ed accademico della cucina.

Nella giornata di oggi, oltre alla celebrazione del vino novello e soprattutto allo stappo delle prime bottiglie di Lapis, il rosato “di punta” della cantina Dora Sarchese, dalle straordinarie essenze fruttate e da un sapore rotondo e avvolgente, il protagonista è stato l’olio (visto che da poco si è conclusa la raccolta di olive 2013, pesantemente condizionata dal tempo, troppo caldo, degli ultimi mesi): nei locali sotterranei dell’azienda agricola, il prof. Leonardo Seghetti, docente di Morfologia e e Fisiologia Vegetale presso l’Università di Teramo, ha intrattenuto piacevolmente un nutrito ed attento uditorio con una lezione sulle proprietà dell’olio e sulle caratteristiche da osservare per sceglierne uno di qualità.

Novanta straordinari minuti, nei quali con esempi pratici e degustazioni “al buio”, il prof. Seghetti ha demolito diversi luoghi comuni sull’olio (specie relativamente al colore, che non conta nulla nella determinazione della qualità, e al sapore, che non deve essere mai dolce e sapido, ma meglio amaro e piccante) e ha insistito sulla necessità assoluta di imparare a leggere le etichette per scoprire da subito le insidie della comunicazione commerciale (da aborrire la “miscela di oli comunitari” o l’indicazione “olio raffinato”).

Particolarmente efficace la metafora riassuntiva della sua lezione, che plasticamente ha descritto un vizio tipico dell’uomo contemporaneo: “Quando andate a cambiare l’olio al motore della vostra auto, chiedete quello migliore senza badare a spese perché sapete che la qualità determinerà minori problemi e come mai per il motore della nostra vita vi accontentate di un olio a buon mercato?”.

Senza contare la folgorazione finale: un olio può durare al massimo 18 mesi, poi non è più buono, quindi è inutile mettere da parte quello nuovo per consumare quello vecchio. L’olio va consumato tutto, entro un anno! (Corollario: per assurdo, la data di scadenza degli oli venduti al supermercato non la stabilisce il produttore, ma il confezionatore, per cui le date di scadenza sono anche troppo ritardate rispetto al reale scadimento del prodotto).

Al termine della lezione, si è passati dalla teoria alla pratica e, grazie alle sapienti mani della signora Dora, si è sciorinata davanti a noi una serie di piatti tradizionali accompagnati dal buon olio nuovo e innaffiati dall’immancabile Lapis: dall’antipasto (anzi, alla maniera abruzzese, “lu sdijune”, cioè il piatto che rompe il digiuno) con formaggio e pere guarnite da melograno e noci, alla polentina con salsicce e funghi, dalla crema di zucca alla pancetta e funghi alle tagliatelle al sugo di “papera muta” (bonaria e contadina presa in giro delle donne), fino all’oca silente con le “foje” tipiche abruzzesi per chiudere con l’immancabile “pizza doce”, della tradizione locale. Il tutto accompagnato dalle annotazioni del prof. Seghetti, e di Mimmo D’Alessio, delegato regionale e membro della giunta nazionale dell’Accademia Italiana della Cucina.

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