Non è che i referendum sul nucleare portano sfiga?

Ovviamente la domanda del titolo è volutamente provocatoria e dissacrante, ma la coincidenza è davvero impressionante: per due volte in Italia si sono convocati i comizi elettorali per un referendum sulla materia nucleare e per due volte la consultazione è stata preceduta da una sciagura in una centrale. Successe nel 1986 a Cernobyl, succede quest’anno a Fukushima.

In realtà questo è un pretesto per parlare di come in Italia tutti i temi più seri ed impegnativi vengano immancabilmente affrontati o sull’onda dell’emozione o, peggio, con una evidente strumentalizzazione politica. Non ci sottraiamo neppure stavolta. Per un attimo, mi astraggo dalle considerazioni sulla scelta “nucleare sì / nucleare no” e mi concentro solo su come il dibattito sul referendum e sul tema dell’impiego dell’energia atomica abbia preso una china del tutto acritica, parlando alla “pancia” della popolazione e non al suo cervello.

Con esclusione delle prime giornate del disastro giapponese (che, ricordiamo, è stato estremo, imprevedibile, quasi irriproducibile), non si è sentita in tv o non si è letta sui giornali una approfondita intervista con gli esperti di nucleare: ingegneri, fisici, chimici. Solo crociate contro l’energia atomica, con il Governo, che ha voluto la legge per la ripresa degli impianti nucleari, che dapprima ha opposto una tenue resistenza e poi, visti gli immancabili sondaggi e valutato l’impatto di una tale posizione sulle prossime elezioni amministrative, ha mollato con un certo imbarazzo il progetto, lasciando solo poche voci isolate a ricordare la dipendenza energetica dell’Italia dalle fonti estere, la scarsa incidenza delle rinnovabili sul complesso del fabbisogno energetico nazionale e soprattutto la vicinanza geografica delle centrali nucleari dei Paesi confinanti.

Ecco, quest’ultimo argomento è quello che più mi fa riflettere: non sono certo un nuclearista, ma devo essere realista e la realtà ci segnala che un qualsiasi incidente in un reattore francese o svizzero porterebbe in brevissimo tempo le sue nefaste conseguenze anche in Italia (le radiazioni se ne infischiano dei confini, in questo sono “democratiche”). Quindi, visto che Francia e Svizzera non hanno intenzione di recedere dallo sfruttamento dell’energia atomica e visto che in caso di incidenti noi saremmo i primi a pagarne le conseguenze, non vedo il motivo per il quale dovremmo privarci dei benefici energetici del nucleare, ma solo subirne gli svantaggi.

Ma si può ragionare così in Italia? Non credo. Quando espongo questa mia tesi (che non è una convinzione, ma un ragionamento utilitaristico, puro e semplice), nel mio piccolo vengo fatto oggetto di ironie e di prese di distanza. Figuriamoci se una cosa del genere la si dicesse in un dibattito pubblico!

Perciò, anche stavolta credo che il nucleare abbia i giorni contati in Italia. Il referendum che si terrà verosimilmente a metà giugno sarà probabilmente molto partecipato e sarà una pietra tombale sulle velleità atomiche del nostro Paese, anche perché stavolta, a differenza di quanto accadde nel 1986, il testo del quesito referendario è diretto e senza scampo:

Volete voi che sia abrogato il decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, nel testo risultante per effetto di modificazioni ed integrazioni successive, recante Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria, limitatamente alle seguenti parti: art. 7, comma 1, lettera d: realizzazione nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia nucleare?.

 

Si tratta proprio di cancellare la parte della legge in cui esplicitamente si dava l’autorizzazione alla realizzazione di centrali nucleari.

Come la penso io? Certamente sarebbe bene che l’energia nucleare fosse universalmente bandita e il mondo si impegnasse, vista la progressiva diminuzione dei combustibili fossili per esaurimento naturale, ad una serio sostegno alla ricerca di fonti alternative, pulite e praticamente illimitate (un esempio lo abbiamo proprio qui dalla nostra università “G.d’Annunzio” e la sua centrale geotermica off shore). Ma ciò è possibile? La lobby dei petrolieri lo permetterebbe?

Quando si parla di politica e di scelte strategiche, occorre valutare tutti i dati e vagliare tutte le conseguenze: lo si fa in Italia? SI permette ai cittadini di avere un’idea precisa di quale sia la posta in gioco? Si dà spazio a tutte le istanze del dibattito? Purtroppo no. Allora, o questi temi non vanno sottoposti a referendum, poiché la decisione rischia di essere presa solo sull’onda dell’emozione o peggio sul “sentito dire”, o l’informazione deve assumere su di sé l’impegno, etico innanzitutto, responsabile in secondo luogo, di spiegare ogni aspetto della questione lasciando parlare tutte le posizioni in campo e semplificando – ma con estremo rigore – i termini della questione per permettere una scelta consapevole.

Utopia?

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