L’impossibile anelito alla perfezione e la lezione di Chiara Francini

Si fa un gran parlare – e a ragione – sui social del monologo di Chiara Francini a Sanremo. A parte il fatto che un intervento così vero, così tormentato e così attuale è stato fatto passare dopo l’1.30, quando oltre la metà dei telespettatori era già nel mondo dei sogni (mentre monologhi meno spontanei e più costruiti sono stati mandati in onda in piena serata), mi dispiace notare come solo la prima parte – pur importantissima – è stata oggetto di sottolineature e commenti: giusto osservare come la maternità (e la vita di coppia in generale) non possa e non debba essere l’unico metro di giudizio della vita di una donna (ma la società, ossia tutti noi, nessuno escluso, anche sottilmente e a volte senza rifletterci troppo, in automatico, questo pensa).
Tuttavia, da insegnante, vorrei spostare l’attenzione sulla seconda parte del monologo di Chiara: quell’anelito ad una impossibile perfezione, che però la società stessa pretende da tutto e da tutti e che rovina la vita di moltissimi, sin dai banchi di scuola, anche a causa di famiglie che “pompano” eccessivamente i ragazzi.
E quel delicato, fuggevole, accenno al fatto che il genitore vuole che il figlio abbia sempre la strada spianata, con meno problemi possibile? Chiara Francini lo ha segnalato polemicamente e ha fatto stra-bene, perché è questo che rovina i ragazzi. I problemi fanno parte della vita, le sconfitte sono parte dei successi, le difficoltà temprano e permettono di crescere.
Quanti adulti ugualmente tormentati si rovinano la vita sul confronto con gli altri, sulla necessità di essere sempre perfetti, sull’avere quello che hanno gli amici, le amiche, i coetanei, i colleghi, i conoscenti pur se loro stessi non lo considerano una cosa fatta per loro, ma hanno ugualmente la necessità di misurare la loro vita sui presunti successi degli altri?
Un bel pugno allo stomaco, quello di Chiara Francini, ad una società che per tutta risposta la fa parlare, sì, ma all’1.40… perché dire qualcosa di significativo è dire qualcosa che fa male, ma solo quel che fa male ci fa crescere.

“Così nel mio parlar voglio esser aspro
com’è ne li atti questa bella petra,
la quale ognora impetra
maggior durezza e più natura cruda,
e veste sua persona d’un dïaspro”

Padre Dante lo aveva già detto e il suo proposito lo ha portato sino alla fine, regalandoci il più grande capolavoro della storia della letteratura mondiale, che ci sferza e ci richiama alla responsabilità da oltre 700 anni. Anche lui tentiamo disperatamente di “ridurlo” a macchietta, focalizzandoci solo su alcuni dati biografici, solo su alcuni brani decisamente meravigliosi, ma riduttivi della sua grande produzione e del suo duro messaggio.
La crescita è una dura fatica, che non finisce mai… e lo dico da chi crede davvero che non ancora finisce di crescere!

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