Silenziosamente, come nel suo stile, se n’è andato Peppino Vincolato, uno dei miei maestri di giornalismo

Prima di andare a letto, ieri sera, mi è arrivata, inattesa e ferale, la notizia della morte di Peppino Vincolato: non lo vedevo da molti mesi, l’ultima volta l’ero andato a visitare in ospedale e mi aveva fatto impressione trovare fragile e incerto l’uomo imponente, sereno e affettuoso che ricordavo; tuttavia, era sempre lui: prodigo di cortesie, di attenzioni, capace di sviare il discorso su di sé per sapere della mia vita e delle mie attività, ancora una volta felice (lui) che avessi cambiato il mio mestiere per abbracciarne uno più sicuro, nonostante il mio primo mestiere, il mio primo amore, fosse stato anche lui ad insegnarmelo!

Sì, perché Peppino Vincolato è stato, insieme a Giampiero Perrotti, il mio vero maestro di giornalismo: un tandem eccezionale, rigoroso, attento, premuroso, che non si è mai tenuto per sé i “segreti del mestiere”, ma pazientemente me li hanno trasmessi, insieme all’entusiasmo per un lavoro straordinario e di grande impatto sociale.

In particolare Peppino era molto attento al ruolo che il giornalista aveva in una piccola città di provincia come Chieti e lui era molto schivo (in pubblico, perché in privato era un gustoso conversatore e capace di grande affetto) anche per preservare l’immagine stessa del cronista che deve essere imparziale e netto, rigoroso ed attentissimo. Era così schivo che per questo piccolo ricordo ho dovuto saccheggiare l’unica fotografia che avevo che lo ritraeva (lui è l’ultimo a destra, con la barba e gli occhiali scuri), insieme a quella squadra fantastica che era la redazione de “Il Tempo” di Chieti che io ho frequentato assiduamente a partire dal 1993 e in cui ho imparato tutto del giornalismo.

Ho conosciuto meglio Peppino a partire dall’estate del 1995, quando da studente universitario poco avvezzo ad andare in spiaggia, passavo i mesi di luglio ed agosto in redazione, sostituivo coloro che andavano in ferie e stavo praticamente tutto il giorno con lui, dalle 11.30, momento in cui apriva la redazione, fino alle 19.00, quando dovevo affrettarmi per tornare al Terminal Bus da dove partiva l’ultimo autobus per tornare a casa a Miglianico. Ma soprattutto era il momento del pranzo quello in cui ho potuto conoscere davvero Peppino: mi prendeva con sé e mi portava o a “Nino” per un veloce piatto di pasta o a volte a casa, dove la sua adorata moglie, Matilde, ci preparava qualcosa al volo. E chi dimenticherà gli spaghetti al super-dente (quasi crudi) che lui amava? Lui mi insegnò a fare il “succhetto estivo”, sbucciando una pesca succosa e tagliandola a pezzi, inserendoli poi in una caraffa di vino rosato ben fresco. Pranzi che non erano mai veloci, in cui continuavamo a parlare della città e degli articoli che dovevamo scrivere, della situazione politica generale in Abruzzo, dell’economia regionale. Difficilmente parlava di sé e della sua vita: ho potuto sapere, centellinando ogni volta ciò che raccontava di sfuggita, della sua esperienza in Parlamento al seguito del senatore Bompiani (e lui fu tra i più felici del fatto che nel 2001 io praticamente ebbi la stessa esperienza, al seguito stavolta del senatore Zappacosta), degli anni romani e del Sottosegretariato alle Poste, della sua famiglia a cui teneva tantissimo; e fui onorato quando mi chiese di poter aiutare con il latino l’adorata nipote Giulia, a cui facevo qualche lezione, controllavo qualche versione, nelle pause che il giornale ci concedeva (dalle 14.00 alle 15.30, rigorosamente). Quando poi aveva le “corte” o le ferie non dimenticava mai di lasciarmi i suoi buoni pasto (“tanto io non li uso”) con i quali riuscivo a mangiare un buon piatto di pasta, un panino e un caffè e non pesavo sul budget risicato che aveva allora un collaboratore esterno (oggi il budget sarebbe ancora più misero).

Parlare di Peppino Vincolato, per me, è parlare della mia “prima vita”, quella che ho amato intensamente, quella del giornalismo, e sapere che lui è ora in Cielo strappa dalla mia esperienza, per consegnarla all’eternità, un grande pezzo della mia vita. Ogni strappo è doloroso, ma produce frutto. Quanto avrei voluto risentire la sua voce calma e profonda, quanto risentire l’odore inconfondibile del Toscanello che aveva sempre tra le labbra (per lo più spento!) e quanto rivedere il suo ufficio pieno zeppo di carte fino all’inverosimile, nel quale però si muoveva da perfetto conoscitore delle sue cose.
A – Dio, Peppino! Con la fede, spero di poterti rivedere nel Paradiso, magari ti porto un po’ di “succhetto estivo” così ce lo beviamo assieme come ai vecchi tempi!

 

P.S. del 13 marzo. Il grande Tonino Zetto, che era ai tempi del giornale il nostro fornitore di strumentazione tecnologica, un mitico “romanaccio de Roma” simpatico e gioviale, mi ha fatto avere questa fotografia straordinaria di Peppino, proprio immerso nella sua stanza della redazione tra le sue carte. Lo ricordo così, come se fosse allora. Grazie tante a Tonino!

Un commento

  • Giampiero Perrotti

    Bellissimo e commosso ricordo il tuo, caro Antonello, dell’indimenticabile Peppino. Ieri, o l’altro eri?, ti ho ammirato al TG3 Abruzzo nell’esercizio delle tue funzioni di docente altamente tecnologico. Non ci ho capito un bel niente, ma il fatto è che io sono fermo ai segnali di fumo. Avrei voluto complimentarmi a voce con te, ma sei telefonicamente irraggiungibile. Lo so che hai eretto una insupoerabile cortina per proteggerti dall’assalto delle aspiranti fidanzate, ma ai tuoi vecchi amici indica qual’è il “passaggio segreto”. A presto

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