“La Bolla”: il dolce di San Pantaleone ideato dall’Accademia Italiana della Cucina

L’Accademia Italiana della Cucina di Chieti, oltre a recuperare l’antica tradizione miglianichese della “Ribollatura”, nell’annuale “Conviviale degli Sfigati di Ferragosto” ha voluto identificare l’occasione con un dolce speciale, chiamato “La Bolla”, che è stato registrato formalmente e presentato ufficialmente anche sulla rivista “Civiltà della Tavola”, organo dell’Accademia in tutto il mondo. Sono stato invitato, quale “storico” della mia Miglianico a riassumere il senso di questa denominazione e di questa creazione artistica dolciaria. Questa è la trascrizione del mio intervento.

Ci sono numerose suggestioni che si fondono nella creazione di questo dolce dalla pomposa denominazione “Bolla di San Pantaleone”, che oggi presentiamo, dopo quasi un decennio di sperimentazioni che hanno segnato tutte le “Conviviali degli sfigati di Ferragosto” della delegazione di Chieti dell’Accademia Italiana della Cucina, nella sua forma definitiva, che sarà messa in commercio a partire dalla prossima festa della Venuta di San Pantaleone, l’ultima domenica di ottobre, dal presidente della Confederazione dei Pasticceri Italiani, il miglianichese Federico Anzellotti, che ha avuto la pazienza e la capacità di seguire le nostre indicazioni accademiche nel corso di questi anni.

La forma innanzitutto. Essa si richiama alle origini delle “bolle”, che sono un documento ufficiale bizantino, il più solenne degli atti emanati dall’Imperatore d’Oriente a partire dal VI secolo d.C., che erano contrassegnati da una filettatura d’oro e da un piccolo globo (fouské, in greco, bulla in latino) che richiamava la bulla aurea che i giovani romani fino alla pubertà portavano al collo. L’influenza bizantina sulla sede papale di Roma, che fu formalmente soggetta all’Impero Romano d’Oriente fino all’arrivo dei Franchi, nel IX secolo, ha fatto sì che anche il pontefice utilizzasse questa forma di documento e di sigillatura per i propri documenti. Dall’iniziale e scomoda forma a globo si è passato ad un tondo schiacciato d’oro e piombo. Solo a partire dal XIV secolo appare la ceralacca rossa, colore che viene richiamato nel dolce che presentiamo, ma in quel caso non si trattava più di bolle pontificie ma di brevi apostolici, che si distinguevano proprio per questo particolare nella sigillatura.

Detto della forma e specificato il possibile equivoco sul colore, passiamo appunto a motivare questo rosso, dato sia dalla bagna in alkermes e ratafia, sia dalle amarene all’interno del dolce: il rosso è il colore liturgico che la Chiesa prescrive di adottare nelle celebrazioni dei martiri, oltre che nell’abbigliamento dei cardinali, perché è legato al colore del sangue che i martiri hanno effuso per la loro testimonianza (“martouria” in greco) a Cristo, come San Pantaleone, e che i cardinali promettono di effondere per la difesa della Chiesa, al momento della loro consacrazione (o meglio “creazione”, perché il cardinalato non è un grado del sacerdozio, ma solo un titolo onorifico).

Infine, abbiamo la croce greca, ossia a bracci uguali, in cioccolato che sigilla la “bolla”, che si richiama alla cultura di riferimento di San Pantaleone, che era nativo di Nicomedia, allora cuore dell’Impero Romano d’Oriente, in seguito all’introduzione della tetrarchia da parte dell’imperatore Diocleziano sul finire del III secolo.

Il nome bolla ha anche un altro riferimento, più legato alla tradizione miglianichese: esso si richiama alla cosiddetta “ribollatura”, che abbiamo rinnovato nel santuario di San Pantaleone all’inizio della nostra serata. In molti forse non lo sanno, ma San Pantaleone, medico, è da tempo immemorabile invocato in particolar modo dagli uomini per metterli a riparo dalla “défaillance” in campo sessuale e dai disturbi dell’apparato riproduttivo maschile: non era infrequente, prima degli anni Sessanta, imbattersi all’interno del santuario in ex voto dalla inequivocabile forma di sospensori a testimonianza di una grazia ricevuta in merito a questioni di fertilità maschile. Il nome di questa tradizione è un termine scherzoso coniato dai miglianichesi, che essendo i “concittadini” del santo medico non avevano bisogno di chiedere alcuna speciale grazia, poiché garantiti a vita dal patrono: con “ribollatura” essi indicavano ai fedeli degli altri paesi la necessità di tornare a Miglianico per ottenere un nuovo “bollino” che li tenesse al riparo da certe “défaillance” per un anno intero. Infatti, fino a qualche lustro fa gli uomini dei paesi vicini al mio giungevano a gruppi, a partire dal 27 luglio, giorno della festa patronale di San Pantaleone, per chiedere la grazia di conservare in buona salute le “parti intime”. Quindi questo dolce rappresenta per voi che non siete di Miglianico, il “bollino” che vi vale per un anno. L’anno prossimo ve ne toccherà un altro.

Ora veniamo finalmente a svelare la ricetta definitiva della bolla, che il nostro Federico Anzellotti ci ha rivelato ieri al termine della positiva provatura del dolce che mangerete tra poco: per 50 bolle, fatte di pan di spagna alle mandorle, occorrono 1 kg di uova, 250 grammi di tuorli, 600 grammi di farina 00, 200 grammi di mandorle bianche tritate, 400 grammi di zucchero. Il ripieno di ogni bolla è fatto di 40 grammi di crema pasticcera alleggerita allo zabaione e 5 grammi di amarene; la “bagna” è di 20 grammi ed è realizzata con alkermes e ratafia. Infine la decorazione è costituita da fili di cioccolato fondente 85% fino di aroma.

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