La “ribollatura” a San Pantaleone: una tradizione antica che viene preservata dall’Accademia Italiana della Cucina

In molti forse non lo sanno, ma San Pantaleone, medico e martire del IV secolo e patrono della mia Miglianico, è da tempo immemorabile invocato in particolar modo dagli uomini per metterli a riparo dalla “défaillance” in campo sessuale e dai disturbi dell’apparato riproduttivo maschile: non era infrequente, prima degli anni Sessanta, imbattersi all’interno del santuario in ex voto dalla inequivocabile forma di sospensori a testimonianza di una grazia ricevuta in merito a questioni di fertilità maschile. Questa devozione popolare è legata ad una tradizione che si stava perdendo anche qui a Miglianico e che invece è stata recuperata e ora rinnovata dalla delegazione di Chieti dell’Accademia Italiana della Cucina, di cui faccio parte, che l’ha inserita nel contesto cultural-gastronomico delle attività istituzionali del sodalizio, che è uno dei pochi riconosciuto come “istituzione culturale della Repubblica italiana”: la cosiddetta “ribollatura”.

Il nome di questa tradizione è un termine scherzoso coniato dai miglianichesi, che essendo i “concittadini” del santo medico non avevano bisogno di chiedere alcuna speciale grazia, poiché garantiti a vita dal patrono: con “ribollatura” essi indicavano ai fedeli degli altri paesi la necessità di tornare a Miglianico per ottenere un nuovo “bollino” che li tenesse al riparo da certe “défaillance” per un anno intero. Infatti, fino a qualche lustro fa gli uomini dei paesi vicini al mio giungevano a gruppi, a partire dal 27 luglio, giorno della festa patronale di San Pantaleone, per chiedere la grazia di conservare in buona salute le “parti intime”. Una tradizione che ha attirato l’attenzione del mio giornale che anni fa mi commissionò un pezzo, messo in grande evidenza sulle pagine regionali estive de “Il Tempo”, che titolava in maniera scherzosa ma non troppo “L’anti-viagra viene da Miglianico” (lo si trova integralmente nella sezione “Giornalismo” del mio blog).

Da qualche anno, l’Accademia Italiana della Cucina di Chieti, guidata da Mimmo D’Alessio, ha voluto fortemente riprendere l’antica tradizione inserendola nel contesto delle attività culturali e gastronomiche della delegazione, istituendo una giornata “fuori programma”, nella settimana che precede il ferragosto (e che per tradizione è vicina alla festa di San Lorenzo che a Miglianico viene solennemente collegata a quella di San Pantaleone con riti particolari): la “cena degli sfigati di Ferragosto”, che riprende un’altra tradizione accademica di una conviviale tra coloro che rimanevano in città per le ferie estive e quindi venivano a buon diritto etichettati come “sfigati”.

Per unire le due cose, gli accademici, dopo una devota visita al santuario di San Pantaleone e la rituale “ribollatura” (che consiste nella preghiera davanti al santo di cui viene toccata devotamente la statua rigorosamente nelle “parti basse”), organizzano uno “sdijuno” (nome che in realtà indica quella abbondante colazione, tipica dell’Abruzzo, che interrompe il digiuno tra il venerdì santo e la domenica di Pasqua) sul belvedere del santuario di Miglianico, gustando le semplici tradizioni della festa (lupini, noccioline, peperoni ed uova con il pane, pane e olio, birra e gassosa) e infine si trasferiscono in uno dei ristoranti del paese (quasi a rotazione, tutti i ristoratori si sono messi a disposizione) per degustare le specialità che anticamente i pellegrini che giungevano a frotte da San Pantaleone mangiavano nelle case miglianichesi. Uno sforzo di recupero di piatti e di tradizioni culinarie, realizzato principalmente dall’accademico Maurizio Adezio, mio padrino di cresima e grande cultore e divulgatore di “miglianichesità”, che rende ragione dell’impegno dell’Accademia Italiana della Cucina nella conservazione e nel rinnovo dei gusti e delle pietanze del territorio.
Siccome ogni festa che si rispetti si conclude con il dolce, ecco che la “cena degli sfigati di Ferragosto” ha anche il suo dessert appositamente creato dal presidente nazionale della Confederazione dei Pasticceri Italiani, il miglianichese Federico Anzellotti, che ogni anno ne sperimenta una forma, mantenendo la sostanza degli ingredienti: è la “bolla”, delicato pan di spagna alle mandorle con crema leggera e passata di marasca, inventato da lui su indicazione degli accademici, pensando agli elementi del martirio di San Pantaleone.

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