I piccoli ospedali territoriali? Una scelta mica tanto scellerata…

Sicuramente l’esperienza è la prima fonte di riflessione e solo sperimentando alcune realtà ci si può formare una opinione completa di scelte e di idee fatte per la collettività: grazie all’infortunio di cui sono stato vittima e che mi costringe all’immobilità per qualche tempo, ieri ho potuto “toccare con mano” cosa ha comportato il piano, invero ispirato dai vari Governi centrali da troppo tempo, che ha portato progressivamente alla chiusura o al drastico ridimensionamento dei piccoli ospedali di territorio, una presenza che in particolare in Abruzzo ha sempre destato populistiche proteste in quanto presunto simbolo dello spreco imperante ai tempi della troppo vituperata Prima Repubblica.

In Abruzzo, e segnatamente in provincia di Chieti, la presenza di strutture ospedaliere in effetti appare, ad un occhio lontano dal territorio, esagerata: Chieti, Ortona, Guardiagrele, Casoli, Atessa, Lanciano, Vasto, Gissi, per un totale di circa 400 mila cittadini (a cui però vanno aggiunti tutti coloro che gravitano su Chieti e sono delle province di Pescara e L’Aquila, tutta la Val Pescara per capirci). Qual è stata la principale direttrice degli interventi di risanamento adottati finora? Tagliare, chiudere, risparmiare.

Ma è stato vero risparmio? Umano ed economico?

Ieri per un day hospital di preparazione chirurgica ho dovuto compiere, da solo, in sedia a rotelle, una gimkana tra livelli e ambulatori, affrontando, con una buona dose di pazienza, file chilometriche. Accanto a me pazienti, interni all’ospedale ed esterni, che provenivano da aree territoriali un tempo servite dai piccoli ospedali di territorio, oltre che da Chieti. Il pensiero è stato immediato: vero è che con la chiusura di strutture troppo vicine (Chieti-Guardiagrele sono 30 km, Guardiagrele-Casoli 16 km, Ortona-Chieti 30 km e via discorrendo) apparentemente abbiamo cancellato un assurdo, ma questo assurdo non è poi così assurdo se lo si considera dal punto di vista del paziente. Se i 40 prelievi fatti in 55 minuti circa (ossia dal momento in cui sono entrato nell’affollata e antigienica sala di attesa, con spifferi d’aria gelida da ogni parte, gente raffreddata, bimbi piccoli in carrozzella, fino al momento del mio prelievo) fossero stati distribuiti nelle strutture territoriali prima esistenti, quanto prima avrei completato l’iter di day hospital, restituito alla fruibilità pubblica la sedia a rotelle presa all’ingresso, permesso ai medici una valutazione più calma ed attenta dei singoli casi, liberato tempo per altri consulti specialistici?

Il risparmio non è solo quello dei bilanci, specie nel settore dei servizi alla persona, ma di questo, nelle ragionerie generali degli Stati e dell’Unione Europea in particolare, non si tiene affatto conto.

La mia è solo una sommessa riflessione, ma moniti più puntuali, che vanno in questa direzione, sono stati già lanciati diverse volte, da ultimo dal presidente della Corte dei Conti, Raffaele Squitieri (cliccando qui si può leggere la sintesi della sua relazione all’inaugurazione dell’anno giudiziario 2016).

Questa è la spending review che vogliamo? Personalmente no. Vero è che gli ospedali di territorio sono stati costruiti e poi fatti vivere in tempi di “vacche grasse” con numerosi sprechi irrazionali, ma il principio era giusto: una Sanità vicina al cittadino, che desse risposte su misura nel minor tempo possibile. Oggi in tempi di risparmio a tutti i costi, ciò che conta è l’iperspecializzazione, che uccide la trattazione dei singoli casi medici come unicum, così come invece dovrebbe essere. Detto per inciso, anche a scuola vorrebbero ridurre tutto alla iperspecializzazione: forse per renderci capaci di fare e irrimediabilmente incapaci di pensare?

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