Il saluto a Nicolino Cucullo, il “sindaco” per antonomasia!

Ho appreso ieri notte con stupore e tristezza della morte dell’ex sindaco di Chieti, Nicola Cucullo. Ne sto leggendo ora i ricordi sui giornali e non posso non aggiungere il mio.

Sono “nato e cresciuto” giornalisticamente durante il suo lungo mandato da primo cittadino, abbiamo avuto molte discussioni (mi chiamava “comunista” e “chierichetto rosso” quando non “scrivevo bene”, mi prendeva in giro nel periodo in cui avevo la ragazza di Canicattì, lui che era solito dire sempre “E che mica siamo a Canicattì?” per indicare gli estremi confini della civiltà), gli ho fatto decine di interviste (soprattutto nel mitico studio a palazzo d’Achille in cui spesso lui era in pigiama e pantofole), ci siamo punzecchiati spesso (quando al telefono mi metteva in viva voce diceva agli astanti: “Questo è un giornalista comunista”; ed io: “Guardi, sindaco, che in viva voce sento anch’io”; e lui: “Lo so”), ma credo, al netto di piccole e grandi sbavature che non potevo non segnalare e raccontare sul giornale, sia stato un grande sindaco ed abbia restituito a Chieti la dignità di essere una città importante e carica di storia. Finora non ho mai conosciuto nessun politico così aperto e disponibile come questo “orgoglioso missino” (a volte diceva anche “fascista”) che creava davvero ponti, anche se a volte li demoliva con il piede di porco… 🙂 Terrò sempre come ricordo le quattro pagine di comunicato stampa che intitolò (bontà sua) “Lettera aperta al giornalista Antonello Antonelli”, in cui rispondeva punto per punto, con il suo stile particolarissimo fatto di grassetti, corsivi, sottolineati, ad un mio articolo politico uscito in apertura di pagina su “Il Tempo”: era il periodo della sfiducia che gli decretarono i centristi tra il 1999 e il 2000, io mi occupavo da poco della politica cittadina (che poi divenne la mia passione) e nel confronto-scontro dialettico con Cucullo (seguirono infatti giorni e giorni di discussioni tra articoli e controcomunicati) ho avuto modo di affinare la mia scrittura giornalistica, imparando stile diplomatico, durezza sostanziale, capacità di leggere (e scrivere) tra le righe, coraggio delle mie idee e delle mie posizioni. Quest’ultima cosa soprattutto “Nicolino” (io non l’ho mai chiamato così, neppure nei miei articoli) apprezzava: per lui non esistevano nemici, ma solo avversari onorevoli che erano chiari e convinti delle proprie idee. Le banderuole e i quaquaraquà non facevano per lui, li scansava e non li considerava. Addio, grande sindaco! Arrivederci nell’aldilà, nel quale tu credevi molto, anche se non hai mai tanto amato i preti… e men che meno i vescovi! Qui ci sarebbe da scrivere un altro capitolo intero, ma è meglio che mi fermo!

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