La “censura preventiva”: una nuova trovata di un avvocato abruzzese

Egregi Signori,
scrivo in nome e per conto del Sig. ***** ****, nato a ***** **** il 08/07/1980 per significare quanto segue.
A seguito di perquisizione effettuata la notte scorsa dai Carabinieri di Pescara, il mio Assistito è stato indagato per detenzione di sostanza stupefacente.
Le operazioni si sono svolte presso il locale di cui è titolare, denominato Bar ****** in ******* a Pescara.
Con la presente, nel caso in cui la notizia sia giunta presso la Vostra redazione ed abbiate intenzione di pubblicarla, Vi diffido formalmente dal pubblicare il nome e i dati identificativi del mio Cliente nonché l’insegna del locale presso il quale sono avvenuti i fatti.
Diversamente, sarò costretto a rivolgermi all’Autorità Giudiziaria per la tutela dei diritti dell’indagato, compreso il risarcimento dei danni.
Distinti saluti.

 

Questa è l’incredibile missiva, firmata da un avvocato pescarese, indirizzata al direttore di Prima Da Noi, primo quotidiano on line d’Abruzzo, Alessandro Biancardi, già condannato in maniera del tutto assurda ed illogica per non aver dato corso alla richiesta di cancellazione dall’archivio informatico di alcuni articoli di cronaca, che tra l’altro non raccontavano nulla di falso.

Le considerazioni sono facili da svolgere, ma cliccando qui si può leggere l’ampio ed articolato commento di Alessandro, che è tra i giornalisti più bersagliati dalle richieste di risarcimento per il semplice motivo che fa il suo lavoro e lo fa bene.

La cosa (poco) divertente di tutta la vicenda è che sulla scrivania di nessuna redazione era arrivata la notizia di quella perquisizione, neppure il solito comunicato del Comando Provinciale dei Carabinieri, che non lesina informazioni alle testate: quindi, involontariamente, l’avvocato ha fornito lui stesso la notizia al giornalista, salvo poi “diffidarlo” dal pubblicarla.

Siamo matti? E il diritto di cronaca? Possibile che soccomba di fronte a richieste di risarcimento danni per diffamazione francamente assurde? E quand’anche il giornalista riuscisse assolto, chi gli restituisce i soldi spesi per il giudizio, i giorni di angoscia, la frustrazione di essere coinvolto in un processo solo per aver fatto il proprio mestiere? È o non è la querela per diffamazione una potente arma deterrente di fronte ai tanti giornalisti precari senza tutele e con compensi minimi, alla soglia della decenza? Questa è l’informazione che vogliamo?

Ecco perché la lotta portata avanti dai coordinamenti dei precari in tutta Italia per un equo compenso non è solo mera rivendicazione salariale, ma battaglia per una informazione davvero libera e trasparente. Chi è sotto il ricatto economico non può in alcun modo essere sereno nel momento in cui scrive.

Tante parole, da molti anni profuse a piene mani, tante pacche sulle spalle, ma il risultato? Dove si dovrebbe dare un segnale, forte e chiaro, cioè dalla commissione governativa sull’equo compenso, tutto tace. Ed è un silenzio che fa male, tremendamente male, perché ci fa sentire soli ed impotenti.

3 commenti

  • Una vicenda leggendaria su cui sto preparando un commento, ovviamente citando la fonte!
    A proposito, mi compiaccio del tuo intenso ritorno all’attività blogghistica!
    Ciao, S.

  • Pingback: Il bavaglio alla stampa, o la pillola del giorno prima. | Alta fedeltà

  • Antonello Antonelli

    Caro Stefano, ti ringrazio del bentornato (dovuto, in verità, solo ad un periodo di forzato riposo a casa, ma in effetti mi mancava il bloggare) e soprattutto dell’aver voluto anche tu raccontare e diffondere questa storia. A quanto sembra, il presidente dell’Ordine, Iacopino, ha denunciato all’Ordine degli Avvocati il comportamento di questo legale, abbastanza maldestro (almeno per come ci ha dato una notizia senza volerlo). Vediamo cosa succederà in seguito!

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