Giovedì 13 giugno: finalmente una nuova data per la riunione della commissione per l’equo compenso

Il Governo è nella pienezza dei poteri da un mesetto e finalmente si può tornare a tessere le fila della complicata matassa dell’equo compenso: sebbene la definizione del “minimo” compenso sarebbe dovuta arrivare, secondo il cronoprogramma dettato dalla legge 233/2012, entro il 18 aprile, la commissione deputata a tale incombenza è stata riunita solo una volta dall’ex sottosegretario all’Editoria, Paolo Peluffo, ed oggi è il nuovo titolare della delega, il mio conterraneo Giovanni Legnini ad averla convocata per il 13 giugno.

Stavolta gli editori non hanno scuse: in allegato alla convocazione c’è l’invito ad “indicare congiuntamente il loro rappresentante unitario”. Quindi niente nove rappresentanti come avevano chiesto, finalmente anche il diritto viene fatto intendere a chi non vuole intenderlo (visto che chiaramente la legge parla di un rappresentante per categoria e l’ufficio legislativo di Palazzo Chigi lo ha ribadito più di due mesi fa).

Fine delle manovre dilatorie, visto che sempre l’ufficio legislativo della Presidenza del Consiglio ha chiarito che non c’è bisogno della presenza di tutti i commissari per procedere nei lavori della commissione.

Si riparte, speriamo speditamente, pur se ovviamente – come detto e ridetto più volte – la legge sull’equo compenso e la sua quantificazione costituisce una valida base su cui innestare altri provvedimenti necessari: in primo luogo perché secondo il testo legislativo la commissione incaricata di verificare gli inadempienti resta in carica solo tre anni e non è previsto alcun rinnovo tacito, in secondo luogo perché rimangono fuori dal perimetro dell’applicazione tutte quelle testate (e sono molte) che non usufruiscono dei contributi pubblici e quindi non sono tenute al rispetto dell’equo compenso.

Tutte le leggi hanno difetti e sono perfettibili, ma è meglio che ci siano invece che non esserci: esse, e ancor di più l’equo compenso, dovrebbero essere la base, il riferimento, il faro per permettere a tutti di lottare per i propri diritti. Ecco quel che manca: la voglia, da parte di tutti, di lottare per migliorare le proprie condizioni di lavoro, affermando che scrivere per un euro ad articolo non è lavoro. Ma si sa che la presa di coscienza è un processo molto lungo: l’equo compenso è un primo passo, vediamo se gli altri passi verranno compiuti!

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