I pubblicisti con attività regolare negli ultimi tre anni potranno diventare professionisti: novità valida fino al 2016

Che fosse momento di rivoluzioni e novità clamorose lo si era capito già da ieri sera dopo la fumata bianca, la scelta del nuovo Papa, la “conferenza stampa” improvvisata ma schietta del cardinale Timothy Dolan e l’annuncio dell’incontro di sabato tra il nuovo Pontefice e il giornalisti accreditati in Vaticano per il Conclave (oggetto di un post che stavo progettando da stamattina), ma ciò che viene dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, riunito in questi giorni a Roma ha del rivoluzionario, per moltissimi pubblicisti che sono di fatto professionisti e che troveranno finalmente il riconoscimento del loro duro lavoro.

In sostanza, dall’1 gennaio 2014 fino al 31 dicembre 2016, i pubblicisti che svolgono attività giornalistica in via esclusiva, che siano in regola con il pagamento dei contributi Inpgi e che possano dimostrare di essere stati retribuiti nel periodo preso in esame (i tre anni precedenti alla data della domanda) potranno presentare la domanda di iscrizione al registro dei praticanti per poter poi sostenere l’esame professionale e diventare, come in effetti già sono, professionisti.

Per accedere all’esame occorrerà frequentare un corso di formazione (che immagino simile a quello che ogni praticante deve seguire prima di sostenere gli scritti e l’orale) e presentare una relazione illustrativa dell’attività svolta.

A quanto si apprende non ci saranno limiti di reddito, ma occorrerà solo certificare la corresponsione di un compenso e il versamento dei relativi contributi Inpgi.

Come giudicare questa svolta? Certamente, sono favorevole al riconoscimento del professionismo per i tanti pubblicisti che in effetti professionisti lo sono già ma che per motivi di reddito non riescono a raggiungere l’iscrizione al registro dei praticanti: l’Ordine, di fatto, certifica il loro duro lavoro, spesso fatto in esclusiva (e con compensi da fame, per i quali speriamo presto agirà l’equo compenso). Sono tuttavia perplesso sulla mancanza di un limite, anche basso, di reddito per presentare la domanda: va bene che i 15 mila euro lordi annui previsti finora per l’iscrizione al registro dei praticanti come freelance è alquanto alto, ma pensare che chi guadagna – che ne so? – 1000 euro l’anno (cioè meno di 100 al mese) di soli redditi giornalistici non può essere un professionista.  Anche perché con 1000 euro annui di reddito (se sarà professionista non potrà fare altri lavori) è ben al di sotto della soglia di povertà (ed anche con 5000 annui, in realtà).

Insomma, il principio mi trova d’accordo, è del resto quello che ho sempre auspicato nel corso del lungo dibattito che tra il 2011 e il 2012 si è sviluppato sulla riforma dell’Ordine dei Giornalisti, ma la sua realizzazione pratica (che comunque può essere ancora “aggiustata”, visto che entrerà in vigore nel 2014) mi fa porre alcune domande. Pratiche, in realtà.

Quanto più comunque questo nostro mestiere riuscirà a svincolarsi dal “peso”, eccessivo, dei pubblicisti, che nelle intenzioni del legislatore di cinquant’anni fa dovevano essere solo un piccolo gruppo di esperti che scrivevano solo poche e circoscritte cose e che oggi invece di fatto bloccano ogni tipo di riforma, sebbene non svolgano la professione in via esclusiva (per tacere dei tanti “dopolavoristi” e di chi si “diletta” a scrivere anche gratis perché tanto ha già un altro stipendio), tanto più potremo, secondo me, rimettere in carreggiata la nostra categoria.

Ovviamente, questo è un commento “a caldo”. Aspetto il dibattito che sicuramente si svolgerà su questo tema per aggiornare le mie valutazioni.

22 commenti

  • darren

    scusa la domanda imbranata… ma una volta diventato professionista cosa cambia? che vantaggi postrò avere dato che lavoro e continuerò a lavorare con p.iva?

  • Sostanzialmente nulla, ma se uno vuole fare il giornalista in via esclusiva è giusto che abbia il titolo professionale. Se invece uno vuole fare altro, ovviamente il titolo professionale è “impediente” poiché non è compatibile con alcuna altra professione. Personalmente, sono per la professionalizzazione della nostra categoria, com’era in origine la ratio della legge istitutiva dell’Ordine: chi scrive, deve essere professionista e non deve fare altri lavori.

    • Giusyb

      Caro Antonello, per la prima volta devo contraddirti: non è vero che non cambia nulla: nella sostanza, tra un professionista e un pubblicista c’era e dovrà tornare ad esserci una grandissima differenza! Oggi, il parametro dell’esclusività professionale (usato per distinguere i pubblicisti dai professionisti) è inattuale.
      E’ giusto che un giornalista de facto, a prescindere da quelle che sono (o saranno) le sue opportunità professionali (tra l’altro, i giornalisti professionisti possono partecipare ai concorsi pubblici, come quelli della RAI, per esempio e i pubblicisti no), abbia il diritto di sostenere l’esame d’abilitazione professionale. Così come sarebbe altrettanto auspicabile – per una questione di dignità professionale e per migliorare la qualità dell’informazione – che l’elenco dei pubblicisti, in futuro, accolga soltanto persone laureate e/o con un’esperienza di settore tale da giustificare e, insieme, legittimare il fatto che costoro producano informazione molto specializzata e non della cronaca.
      Che i giornalisti facciano il loro mestiere e i pubblicisti possano mettere al servizio dell’informazione la loro conoscenza disciplinare!
      Tutto ciò gioverebbe alla qualità del giornalismo, alla sua funzione di servizio, alla democrazia…
      Ciò significa che se un editore vorrà degli esperti, dovrà pagarli come tali. Lo stesso varrà per i giornalisti: non sarebbero più assimilati ai pubblicisti né messi alla stregua di dopo-lavoristi, oppure sottopagati, licenziati e mai assunti per colpa dei “dopolavoristi” gratuiti! Penalizzare il giornalista che non guadagna abbastanza, infatti, oggi è sleale e profondamente ingiusto: sono stati gli editori (con la complicità dei giornalisti/articolisti dilettanti) a deprezzare il nostro lavoro (al punto che un pezzo oggi vale 5 euro…)
      Naturalmente, il carattere dell’esclusività dovrà restare (per evitare strane commistioni, “conflitti d’interesse” e situazioni varie che sarebbe troppo lungo elencare qui).
      In quanto a me: sono felice di questa novità e spero di poter realizzare il mio desiderio di avviarmi al praticantato!
      Avevo letto la notizia sulla pagina di facebook di Enzo Iacopino e il mio cuore, davvero, ha sussultato dalla gioia!
      Ringrazio e abbraccio (per restare in quel clima di fratellanza che si è creato in queste ore) te, il presidente dell’ODG e tutti i colleghi che hanno lottato per raggiungere questi risultati. GRAZIE!!!
      Andremo avanti per questa strada, perché adesso sappiamo che, nonostante le nostre prospettive occupazionali siano scarse, almeno, abbiamo una speranza!
      🙂

      • Antonello Antonelli

        Io infatti mi riferivo alla sola situazione attuale dove essere professionista pare essere una penalizzazione più che un vantaggio. Per il resto sono pienamente d’accordo con te. Speriamo (ma ci conto poco) che il nuovo parlamento metta mano ad una profonda riforma dell’Ordine, come del resto si stava delineando l’anno scorso. Per ora siamo ancora anni luce lontani dall’interpretare la realtà vera del giornalismo italiano facendo funzionare (male) una legge del 1963!

      • troppotogo

        come i professionisti che avanzano di carriera con false lauree?
        Come quelli che ” o ti mangi questa minestra o ti butti dalla finestra”
        Come quelli che … “iniziamo con un periodo di prova e poi vediamo?

  • Riccardo

    NonE ci deve essere u reddito minimo, perchè io sono pubblicista da 5 anni, faccio bene, anzi benissimo, il mio lavoro. Lo faccio anche meglio di molti professionisti ma non è colpa mia se lo faccio quasi a gratis. La veritá è che esiste una sola categoria: quella dei “lavoratori”. Stop. Basta caste.

    • Antonello Antonelli

      D’accordo sul fatto che non ci sono distinzioni se non quelle di chi lavora e chi no, ma riflettevo in via del tutto teorica sul fatto che un giornalista che fa solo il giornalista e non guadagna il minimo della sussistenza, come fa a vivere? Ovviamente dovrà fare altre attività di natura non giornalistica, quindi verrebbe meno l’esclusività della professione, requisito essenziale per diventare professionista.

  • carlo vaccari

    Scusi ma come si fa a pretendere che un pubblicista non faccia un altro mestiere se ha un reddito di cinquemila euro annui ?

    • Antonello Antonelli

      Non lo pretendo infatti… ma se un pubblicista vuole diventare professionista deve solo svolgere attività giornalistica!

      • Annibale Paduano

        E’ una grossa stupidaggine, a mio parere. La difesa di un’altra casta.
        Se esistesse un compenso minimo, o una laurea obbligatoria… esisterebbe solo la valutazione di una qualità del lavoro, chiunque lo faccia.
        Sono pubblicista da diversi anni, sono costretto, se voglio continuare ad esserlo, a lavorare come un dannato in eterno. Faccio un altro lavoro, per forza, se no morirei di fame.
        Lei sta dicendo: muori di fame, così poi puoi dire di essere giornalista! (oppure comprati una raccomandazione). Perché così funziona.
        A mio parere se
        con un minimo di lavoro effettuato (come per i pubblicisti, ma ad aumentare) o un tot di anni di lavoro o entrambi si dovrebbe garantire l’accesso allo status di “professionista”,
        in quanto persona in grando di fare con professionalità un lavoro versus morto di fame che soffre come un cane per poter dire sì sono professionista non svolgo altro lavoro
        Basta caste, guardiamo con schiettezza alla qualità del lavoro e garantiamo pari diritti per pari lavoro!

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  • Deb.Pas.

    Condivido le perplessità di Antonello. In effetti è una grande rivoluzione, ma siamo sicuri che poi non diventi un boomerang? Alla fine il problema maggiore per un giornalista, non è tanto il riconoscimento di una carica, bensì di un compenso. Cioè si diventerebbe come contadini, che acquistano solo il titolo di baroni, ma restano raccoglitori di patate. Adesso la differenza tra professionisti e pubblicisti è sostanzialmente nel compenso. Per un collaboratore che scrive 20 pezzi a settimana, vedendoseli pagati 5 euro a cartella non converrà mai diventare professionista. Paradossalmente la capacità sono le medesime, talvolta i pubblicisti superano alcuni giovani professionisti. Magari alle spalle si hanno dieci anni di lavoro esclusivo per la stessa testata, querele alle spalle, ma sempre con compensi al limite della schiavitù. Dunque cosa serve che l’ordine permetta di diventare professionisti se non obbliga ad avere un salario minimo garantito? La legge dell’equo compenso è stata approvata, ma è stato stabilito quale sia? Cose ce ne facciamo di tanti giornalisti professionisti che non possono trovare un secondo lavoro perchè blindati dall’ordine? Sono decisamente esasperata che vengano emanati provvedimenti sempre più paradossali. E’ un po’ come la famosa frase di Maria Antonietta: «Non hanno il pane? Dategli le brioches». Ma diamine qui manca la farina!

    • Antonello Antonelli

      Hai colto il senso delle mie perplessità. Non si può andare avanti a colpi di “interpretazioni” di una legge vecchia 50 anni: o il Parlamento ci dà una nuova legge o saremo condannati all’estinzione o all’insignificanza.

  • paolo

    Se possibile vorrei due chiarimenti:
    1- svolgere “attività giornalistica in via esclusiva” vuol dire che se uno fa anche fotografia commerciale non può diventare professionista? In questo caso credo che quasi nessuno sia in regola.
    2- Io sono pubblicista dall’89 e da allora lavoro continuativamente per un quotidiano oltre a varie altre collaborazioni. Pago l’INPS invece dell’INPGI in quanto inquadrato come artigiano. Dov’è il problema?

    • Antonello Antonelli

      1 – Personalmente ritengo che l’attività giornalistica in via esclusiva debba essere considerata in assoluto, ma bisognerà leggere il regolamento che emetterà il Consiglio nazionale per vedere se non si utilizzi la formula dell’attività giornalistica “prevalente”. E comunque ci sono molti colleghi pubblicisti che fanno solo i giornalisti ed è a quelli che si rivolge questo provvedimento, che è almeno un riconoscimento formale di ciò che è di fatto.
      2 – Dal 1996 è un obbligo di legge versare i contributi delle attività giornalistiche all’Inpgi, se lei dunque lavora come giornalista ma ha un contratto diverso la usa testata è passabile di una salatissima multa. Il giornalista è tale se versa i contributi della sua attività alla propria cassa previdenziale, come appunto capita con tutte le professioni, questa la ratio della legge del 1996.

  • Marco

    Scusa, due domande, se puoi. Uffici stampa con contratti a progetto e contributi INPS sono esclusi? E il triennio si conta dalla domanda? Cioè se la presenti nel 2015 si conta dal 2012? Non c’é scadenza tassativa al 31.12.2013? Grazie.

  • Pierpaolo

    Ma chi non è iscritto all’ordine e lavora non versa all’Inpgi, giusto?

  • Non è vero che la differenza tra pubblicista e professionista sta solo nel compenso. Una differenza molto marcata è offerta dalle legge, a cominciare dalla Costituzione italiana che sancisce l’obbligo di sostenere l’esame di Stato per esercitare una professione. Per questo motivo, i cronisti debbono essere esclusivamente giornalisti professionisti. Ma vi è di più. L’ultimo Dpr sulla riforma delle professioni, adeguando la normativa italiana a quella europea, conferma l’obbligo dell’esame di stato per esercitare una professione. La decisione del Consiglio nazionale dei Giornalisti deve, dunque, considerarsi un adeguamento delle legge italiana alla normativa europea. Ricordare che si era arrivati a questo DPR senza una proposta di modifica della legge sulla professione giornalistica a causa di contrasti tra pubblicisti e professionisti?
    Il professionista, dunque, è chi esercita la professione a tempo pieno, trattando notizie “sensibili” (nera, bianca, etc). Il pubblicista (collaboratore) ha la sua dignità di esperto in un certo settore. I suoi sono autorevoli servizi di approfondimento così come vuole lo spirito della legge professionale.

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  • Moralismo nella professione del giornalista. Vorrei intervenire su alcune questioni sollevate da molti utenti che hanno scritto qui sulla sostanziale differenza dei giornalisti professionisti e pubblicisti. Sinceramente mi rammarico molto di alcune considerazioni ivi sollevate. La natura del giornalista professionista che sostiene un esame “deprecato” dalla presenza di un giornalista pubblicista che viene trattato quasi “a pari merito” del professionista. Ho inteso in queste frasi esplicite la delusione non in merito alla “vocazione per lo scrivere e per l’informazione” piuttosto per un ridotto ritorno economico. Vi rendete conto che anche qui si parla di un “giornalismo economico?”, alla fine tra giornalismo alla ricerca di “compenso” e politici in poltrona che marciano sulle sorti del povero gregge italiano che cosa differenzia sostanzialmente? Perché non equiparare a questo punto e definitivamente l’intelligenza dei tanti sia professionisti che pubblicisti? Si creano dissensi e divisioni. Non sono d’accordo assolutamente su questo schieramento di parte. Io sono una pubblicista e non potrei divenire professionista nemmeno volendolo perché “non sono laureata”. Ho frequentato la scuola magistrale con il vecchio ordinamento dei tre anni e informandomi di recente anche se volessi laurearmi non potrei e sapete perché? – perché le università dei tre anni di magistrale per un diploma valido con abilitazione non se ne fanno assolutamente nulla. Vogliono quattro anni di studi per il conseguimento del diploma – questo punto fa sorgere una domanda: “allora devo ritenermi un imbecille e senza speranza per vivere la passione della scrittura dove altra piaga – non esiste un albo per scrittori creativi! – l’Ordine dei giornalisti non ha un albo, un elenco che dia spazio ad autori creativi. L’unico modo per entrare nel mondo della scrittura è questo: scegliere la professione di essere giornalista accogliendone i pro e i contro ovviamente, le regole e le non solo, ma anche le critiche oltretutto. Cosa pensate che un pubblicista può arrivare a fine mese solo svolgendo questo lavoro? Impensabile. Vorrei che sparissero le caste, vorrei che sparissero queste mentalità suicide. Pur vero è che oggi si direbbe quasi che “tutti scrivono, ma bisogna vedere come si scrive” e ne convengo con voi, ma da qui a deprecare il lavoro degli esordienti, dei pubblicisti mi sembra a dir poco offensivo. Pubblicisti che possano occuparsi di giornalismo d’inchiesta, che possano occuparsi come i professionisti di temi particolari, … alla fine a mio parere serve solo una cosa: “TOGLIERSI DALLA TESTA CHE ALCUNI LAVORI SIANO O SERVANO SOLO PER VIVERE”, scherziamo?… Considerate dunque le morti negli ospedali per malasanità, non sono forse iscritti a un albo gli stessi medici che infliggono ai pazienti condanne di morte a loro insaputa?, non sono forse iscritti all’albo gli avvocati che però per amore dei soldi fanno uscire i veri criminali dalle carceri? La lista sarebbe lunga. Soldi, soldi, in una parola questo “dio” denaro che è diventato così fondamentale – e ci mancherebbe visto che è vero: si deve pur mangiare! – ma che ha soppresso il bene più grande insito nel cuore dell’uomo: la passione per quello che fa o che può fare, sul come meglio può realizzare la sua vita mettendola a servizio degli altri. E.. dopo tutte queste considerazioni penso abbiate capito a cosa voglia mirare davvero: non sono giudizi aspri. Si deve ritornare all’unica vera fonte! IL CUORE DELL’UOMO nella sua essenzialità. Ci crediamo ancora? Proprio noi che commentiamo cruenti fatti di cronaca contro la dignità della vita umana? A voi le risposte… personalmente, senza parole.

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