L’equo compenso, già legge, non trova ancora spazio sulla Gazzetta Ufficiale. E Iacopino lo richiama a Mario Monti

Mi era sfuggito a causa di due settimane di intenso lavoro che mi hanno tenuto lontano dal mio blog e mi sono molto sorpreso quando il presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, Enzo Iacopino, questa mattina, introducendo l’attesissima conferenza stampa di fine anno del presidente del Consiglio dei Ministri dimissionario, Mario Monti, ha accennato a questa cosa che, con un breve giro d’orizzonte sulle raccolte di norme e leggi, mi appare incostituzionale: la legge sull’equo compenso giornalistico, varata dopo non poche difficoltà il 4 dicembre scorso, non è stata ancora pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale.

Ciò significa che essa non è ancora in vigore.

Tra l’altro, non prevedendosi specificatamente in maniera diversa nel corpo del testo della legge, l’equo compenso entrerà in vigore 15 giorni dopo la sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. Perché questa dilazione?

Sui tempi di pubblicazione della legge non si può transigere: il ministro della Giustizia, che nel nostro ordinamento è il “Guardasigilli”, è tenuto a pubblicare la legge immediatamente, in forza del dettato del terzo comma dell’art. 73 della Costituzione che infatti prescrive che “le leggi sono pubblicate subito dopo la promulgazione”. Né il “subito dopo” si può interpretare a piacere, visto che esiste una sentenza della Corte Costituzionale (la n. 163 del 1963) che precisa: “nello stabilire che le leggi sono pubblicate subito dopo la promulgazione, (la Costituzione) pone un obbligo preciso al Governo, cui pertanto rimane inibita ogni discrezionalità nella scelta del tempo per l’adempimento della potestà relativa, che deve essere limitato a quello strettamente necessario per le operazioni materiali richieste”.

Ebbene, 19 giorni sono il “tempo strettamente necessario”? Cosa sta succedendo nel frattempo? È possibile che le forze che hanno strenuamente combattuto contro l’equo compenso siano così pervicaci (e potenti) da rallentare un processo che la Costituzione guida in maniera così limpida e precisa? E poi, per guadagnare cosa? Qualche giorno in più per “aggiustare” i contratti, come temeva la Fnsi in una nota diffusa qualche giorno fa (e che il mio lavoro asfissiante non mi ha permesso di commentare, anche se lo hanno fatto altri colleghi più valenti)?

Domande che troveranno risposta forse solo tra qualche settimana, quando si vedranno gli effetti dell’equo compenso sulla vita concreta dei colleghi precari, collaboratori, freelance.

Intanto, un grazie immenso al presidente Iacopino per aver nuovamente messo al centro dell’attenzione il mondo dei precari dell’informazione e di averlo fatto in un’occasione attesissima, in cui tutta la stampa era ad orecchie tese, quindi tutti hanno potuto intendere, in primis i colleghi direttori e in secundis gli editori. Grazie anche per aver ricordato il coraggio di Gaetano Gorgoni e di Amalia De Simone, due colleghi, in maniera diversa, “eroici”, che non dovrebbero essere lasciati soli.

Saccheggio la bacheca Facebook del presidente Iacopino per riportare tutta la sua, importante, introduzione:

 

È facile immaginare, signor Presidente, che lei non si sottrarrà al dovere di fare chiarezza sulla situazione che il nostro Paese sta attraversando. Qualcosa mi fa pensare che saranno in molti, non solo qui, ad interrogarsi e a interrogarla sul suo futuro politico e personale.
Non le chiederò che cosa ha fatto e che cosa farà e neanche con chi: immagino vorranno occuparsene i colleghi. Non credo, signor Presidente, sarebbe giusto fare qui quanto con qualche sorpresa ho letto stamane, bilanci e in altra sede annunci. Questo è il luogo perfetto perché qui c’è tutta la stampa italiana e una significativa rappresentanza di quella estera e da qui la guarda in diretta un numero elevatissimo di italiani.
Sono ben consapevole che le attese sono queste, ma ho un dovere che voglio onorare: dare voce qui, oggi, a chi non la ha quasi mai.
Così le farò due nomi: Gaetano Gorgoni e Amalia De Simone.
Il primo era il direttore di una tv in Puglia. Ha stretto i denti, ignorando a lungo i suoi sentimenti. Poi non ha resistito e ha denunciato la vergogna alla quale assisteva. I colleghi che lavoravano per la sua emittente venivano retribuiti con mancette, 300 euro circa per un intero mese di lavoro, da un editore che continuava a percepire soldi pubblici. Il 27.09, in diretta, ha annunciato le sue dimissioni e ha rivelato quel che accadeva, andando incontro a un destino precario.
Noi non abbiamo bisogno di gesti eroici come questo, signor presidente. Desideriamo avere la possibilità di onorare quel dovere che la Costituzione ci affida. È nostro dovere, ripeto dovere, fornire ai cittadini una informazione completa. Si può farlo quando si viene retribuiti con due o tre euro per articolo? Non si può signor presidente. Non c’è tempo per quei controlli che sono doverosi, non c’è tempo per garantire quella qualità alla quale i cittadini hanno diritto.
Ora abbiamo una legge, quella che noi chiamiamo dell’equo compenso. È stata approvata il 6 dicembre.
C’è voluta una legge nel 2012 per stabilire che la schiavitù non è consentita. Schiavitù perché retribuire con due euro chi scrive un articolo è prova di schiavitù.
Abbiamo tanto lavorato per ottenere questa legge, con un impegno che ha visto mobilitarsi accanto all’Odg, nella sede del quale quella proposta nacque, lo ricorda bene il vice presidente Enrico Paissan, la Fnsi qui rappresentata dal segretario Franco Siddi, l’Asp e il suo presidente Alessandra Sardoni. Ci siamo confrontati con i colleghi della stampa estera che sono qui con noi con il loro presidente, Tobias Piller.
Non ce l’avremmo fatta se non avessimo lavorato tutti insieme. Anche con gli Ordini regionali. Penso all’aiuto e all’impegno, non compreso da tutti, del presidente dell’Odg del Lazio, Bruno Tucci. Non so se è politicamente corretto, ma sarebbe ingiusto non ricordare l’apporto costante e prezioso del presidente della Fnsi, Roberto Natale.
È tollerabile che a distanza di tanti giorni dalla sua approvazione quella legge così attesa non sia stata ancora pubblicata dalla Gazzetta ufficiale? Non lo è, signor Presidente. Che cosa sta accadendo, chi o che cosa non lo consente? È indicativo il fatto che non un giornale, non uno, abbia dato notizia dell’approvazione di quella legge?
Sappiamo qual è la situazione politica. Ma anni e anni di schiavitù di migliaia di giornalisti meritano un’attenzione che confido da lei non mancherà.
L’attuazione pratica di questa legge in parte dipende da lei, dalla nomina di una commissione chiamata a stabilire parametri che siano equi, che non tengano conto solo dei bilanci, mortificando la vita dei giornalisti e i diritti dei cittadini.

Amalia De Simone ci porta ad affrontare un altro argomento, le pene per la diffamazione. Ha scritto un articolo, c’era un errore, lo ha segnalato prontamente, con il rigore che la contraddistingue, trasmettendo la richiesta della rettifica che è stata pubblicata con ritardo non per sua scelta. L’azienda è stata condannata anche per il titolo a 70.000 euro di risarcimento. Ne chiede 52 mila ad Amalia de Simone: l’equivalente di quattro anni interi di lavoro.
Si uccide anche così la libertà di stampa ed è un attentato continuo, sistematico, pianificato, l’ultimo in ordine di tempo fatto in questi giorni nel Veneto.
Amalia dirige in Campania radio Siani, un nome, quello di Giancarlo, trucidato il 23 settembre 1985 dalla camorra, che suona anche oggi come monito e vergogna per il mondo della informazione, testimonianza di uno sfruttamento che ha radici antiche. Quanti sono quelli che come Siani vedono la loro passione per la verità sfruttata da troppi? Migliaia, signor Presidente. Meritano una risposta, meritano di essere rispettati da vivi, non onorati da morti. La democrazia in questo Paese ha bisogno di loro, di quelli che sono gli ultimi ma senza i quali tanta verità rimarrebbe sommersa. Di quelli che sono gli ultimi, trattati da ultimi, con compensi da miseria ma che rischiano la loro vita per servire la verità. Mai come oggi c’è stata in Italia una aggressione così forte nei confronti dei giornalisti. Il rapporto Ossigeno per l’informazione fa emergere che nel 2012 sono 307 i giornalisti che sono stati minacciati dalle mafie. l’ultima di loro ier l’altro, in Lombardia.
Tra le tante cose che Siani ci ha lasciato c’è questa frase:
“Se sei realmente libero nei pensieri, nel cuore e se possiedi l’animo del saggio potrai cadere anche infinite volte nel percorso della tua vita, ma non sarai mai in ginocchio, resterai sempre in piedi”.
Sono loro gli “ultimi” a non volere leggi speciali. Neanche sulla diffamazione.
Siamo felici per il fatto che il Presidente della Repubblica con la sua saggezza sia riuscito a trovare una soluzione di equità. Ma il nostro mondo non è fatto solo di star e le soluzioni personali, doverose davanti a sentenze scarsamente comprensibili, nulla tolgono alla necessità, all’urgenza di affrontare il problema generale. Non rendersene conto, non agire equivale al mettere la polvere sotto il tappeto. La politica dia risposte, non si limiti ad applaudire il Capo dello Stato dopo averlo costretto ad esercitare un delicato ruolo di supplenza.
Chi tra noi sbaglia deve esser chiamato a risponderne. Ci sono le sanzioni disciplinari che arrivano fino alla radiazione. Ma c’è anche da capire qual è il bene primario da tutelare. Il ripristino della rispettabilità lesa o la possibilità, con i risarcimenti, di costruirsi le ville al mare a spese dei giornali e dei giornalisti? Penso che non possano esserci dubbi. Quel problema si risolve con una rettifica adeguata che ristabilisca la verità. Quello è il bene primario, la verità. Abbiamo provato a fornire documenti, a spiegarlo. Ma in tanti si sono messi le mani non solo sulle orecchie senza che ciò provocasse alcuno scandalo.
So quali tempi stiamo vivendo. Consideri questo mio secondo punto un pro memoria non solo per lei, ma per chiunque dovrà occuparsi della cosa pubblica. Quella della diffamazione è una emergenza, ancor prima che per nomi noti, per i mille e mille sfruttati ogni giorno come schiavi. Il ricatto che le querele e perfino le minacce di querele determinano sui più giovani rappresenta un danno non quantificabile per la libertà di stampa, cioè per i diritti dei cittadini ad avere quelle informazioni che sono loro necessarie per scegliere in maniera consapevole. La politica vuole assumersi questa responsabilità? Lo ho fatto con quella legge fortunatamente abortita in Senato che testimoniava la volontà di tenere l’informazione sotto ricatto. Continui pure a farlo: i cittadini valuteranno il comportamento di chi in una campagna elettorale nella quale è facile prevedere ci saranno molti colpi sotto la cintura tende a mettere, anche così, un bavaglio all’informazione, un limite ai loro diritti.
È bello registrare che la celebrazione della Costituzione incanta una percentuale di italiani più alta di quella che ha partecipato utilmente alla consultazione elettorale in Sicilia.
Sarebbe bellissimo vedere che la Costituzione viene attuata.
Lei, signor Presidente, ha detto qualche giorno fa: “Non c’è Paese che possa decidere il suo destino da solo”. E’ vero, ma è altrettanto vero che non c’è cittadino che possa operare scelte consapevoli senza una informazione libera da ogni ricatto, rispettosa delle verità e delle persone, pacata e responsabile.

 

Peccato però che la risposta del premier Monti sia stata evasiva e rapida: ma si sa, altre erano le priorità del primo ministro uscente!

2 commenti

  • Se davvero la dilazione della pubblicazioine è il frutto, come si adombra, di qualche forza trasversale che fa capo al mondo editoriale (cosa cosa su cui non sarei così certo, diffido più di taluni elementi del governo), sarebbe la dimostrazione che, della vicenda, gli editori hanno capito ancora meno dei giornalisti. Cosa, per ottusità, oggettivamente quasi impossibile. Come la stolta massa infatti crede, il beneficio che verrà dall’equo compenso non sarà affatto un berlusconiano “più soldi per tutti”, ma viceversa un’ottima scusa per il sistema, incluso il nostro, di far fuori una miriade di mezze figure impresentabili e di “congelare” i compensi su un’equità puramente virtuale il cui ammontare, visto come è previsto sia fissato, sarà comunque ben lontano da soglie realmente remunerative e professionali. La strada da percorrere per tariffazioni più sertie sarebbe ben altra e non passa dalla pur lodevole vittoria “morale” dell’equo compenso. Ecco perchè ho sempre più la sensazione che si faccia tanto rumore per poco. E che la “straordinaria mobilitazione” da tatni evocata altro non sia stata che una dissimulata campagna acquisti o tesseramento la cui concreta debolezza non tarderà a mostrarsi.

  • Francesco Blasi

    Il discorso del Presidente rivela una assoluta consapevolezza del problema.

    La storia di questi giorni insegna che l’editoria è tra i poteri forti in quanto scarsamente contrasata nella sua irresistibile ascesa. Sarebbe bastato, anni addietro, vietare per legge il finto lavoro giornalistico autonomo con la previsione di sanzioni salatissime.

    E invece la Fnsi sottoscrisse, negli anni Novanta, un “accordo sul lavoro autonomo” che grida ancora alla vergogna.

    Facciano piuttosto ricorso, ora, contro la trasformazione delle collaborazioni coordinate e continuative in partite Iva: la legge non può consentire la trasformazione coattiva di un rapporto di lavoro di fatto subordinato in impresa individuale. E quale impresa? Con un solo committente? Ma per favore…

    Mi permetto di consigliare una misura attuabile da subito e a costo zero al nostro interno: il cambio di nome della Commissione nazionale per il lavoro autonomo in “Commissione nazionale per l’accesso al contratto”.

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