Il ministro Fornero “perplesso” ma senza un parere negativo sull’equo compenso: è arrivato il comunicato sulla telefonata

Alla fine una presa di posizione scritta (anche se dubito che si possa chiamare ufficiale, in quanto non resa di fronte agli organi competenti) su quanto il ministro del Lavoro Elsa Fornero ha comunicato via telefono al presidente dell’Ordine dei Giornalisti, Enzo Iacopino, venerdì scorso.

Stamattina, infatti, è stato diffuso questo comunicato stampa dal Ministero:

 

Il Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, Elsa Fornero, ha ribadito al presidente dell’Ordine dei giornalisti Enzo Iacopino, nel corso di una conversazione telefonica, le sue forti perplessità circa il ddl sull’equo compenso. Ha peraltro precisato di non aver mai espresso alcun parere negativo in Commissione Lavoro al Senato.
Le perplessità del Ministro sono legate al fatto che l’articolo 1 comma 23 della legge di riforma del mercato del lavoro fissa regole precise circa i giovani precari, regole valide anche per chi lavora nel mondo editoriale.
Il Presidente Iacopino, dal canto suo, ha illustrato al Ministro le ragioni che impongono una sanzione specifica a quegli editori che non rispettano le norme, compensando con pochi euro il lavoro dei giornalisti. Il Presidente dell’ODG ha ribadito la disponibilità a individuare soluzioni in sede di Commissione tecnica nel confronto con Parlamento e Fieg.

 

Bene, il ministro ha messo le carte in tavola: per lei la legge di riforma del mercato del lavoro contiene già le misure per i “giovani precari” che possono essere estese anche ai giornalisti. Solo che la legge citata dalla Fornero riguarda, per l’appunto, i “giovani” precari, mentre tra di noi i precari hanno superato, in alcuni casi anche di molto, l’età della gioventù e si trovano in quella età “di mezzo” che si configura come una “generazione perduta”, la quale, anche a detta del presidente del Consiglio, Mario Monti, in una recente intervista a “Sette” del Corriere della Sera, è ormai irrecuperabile (bella notizia per i miei coetanei e dintorni… se anche il Capo del Governo rinuncia ad occuparsi di noi, siamo destinati alla morte economica e sociale).

Ordunque per il ministro non c’è bisogno di sanzioni per gli editori che sottopagano i collaboratori e precarizzano il lavoro: se questo non è un parere negativo all’equo compenso poco ci manca. Questioni di lana caprina, di nominalismo, di equilibrismo democristiano (nel senso deleterio del termine).

A questo punto, attendo di capire il destino del disegno di legge sull’equo compenso dall’incontro di domani con i senatori della Commissione Lavoro a Roma: spero che sia utile sacrificarsi in giacca e cravatta a 35 gradi (previsti per le 14.30, ora di inizio dell’incontro)… Almeno per capire se occorre metterci “una pietra sopra” e mettersi – per così dire – “Il cuore in pace”.

Non possiamo metterci il cuore in pace: l’equo compenso è una norma di elementare civiltà giuridica, che però è divenuta essenziale solo perché la nostra categoria, nelle sue articolazioni, non ha avuto la schiena così dritta da rifiutarsi di lavorare per compensi da fame o addirittura gratis, solo “per visibilità”. Qui si annida il vero cancro della questione, estirpato il quale non servirebbe neppure una legge sull’equo compenso. Ma pensare di poter cancellare in breve tempo un esercito di tartinari, dopolavoristi, fighetti da tesserino in tasca e chi più ne ha più ne metta, è pura utopia. Quindi, ben venga l’equo compenso, che costringerebbe, almeno quelle testate che aspirano a ricevere i finanziamenti pubblici, a diventare più attenti alle retribuzioni.

Un giornalista libero è un giornalista che non deve elemosinare. In ogni senso.

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