La riforma dell’Ordine dei Giornalisti alla stretta finale e affiorano le tensioni: dimissioni in vista per il segretario nazionale Ghirra?

Era inevitabile. Una riforma di grande ampiezza, che se non cambia in profondità i meccanismi interni alla categoria certo ne ridisegna alcuni nodi essenziali, non poteva non passare indenne dal dibattito interno al Consiglio nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, dove si agitano diverse anime, spesso contrastanti, tra i “conservatori” e i “progressisti”, tra coloro che temono di perdere rendite di posizione dalle nuove norme ancora sul tappeto (che, giova ricordarlo, sono ancora in discussione con il Ministero della Giustizia, ma il tempo a disposizione sta terminando, inesorabilmente) e coloro che intuiscono le potenzialità (e le occasioni) del percorso avviato.

Ultima in ordine di tempo, la formazione permanente, oggetto della discussione della seduta del Consiglio nazionale di maggio, ha fatto storcere più di una bocca e ci si prepara ad un serrato confronto, il 6 giugno prossimo, tra l’Ordine nazionale e gli Ordini regionali, che – pare – presenteranno diversi rilievi allo schema discusso due settimane fa (e che io ho anticipato “in diretta” nel mio blog).

In questo già incandescente clima, le divisioni interne al Consiglio nazionale (che non sono ovviamente un male, il dibattito è sempre foriero di democrazia e confronto sano) si fanno più profonde e i conciliaboli si moltiplicano in vista della riunione di giugno, forse l’ultima in grado di avere margini per qualche modifica prima delle decisioni definitive che saranno sancite dal Ministero della Giustizia.

Mai avrei pensato, però, che qualcuno utilizzasse il mio blog per rivelare un retroscena particolarmente interessante di questi momenti convulsi: mi è stata fatta pervenire una lunga lettera del segretario nazionale dell’Ordine, Giancarlo Ghirra, che ventila addirittura le dimissioni dal suo incarico.

La lettera, che è in realtà una mail indirizzata ad una cinquantina di colleghi del Consiglio nazionale, viene scritta, secondo quanto viene riportato in apertura, dopo una riunione a Roma di un non meglio specificato “gruppo di colleghe e colleghi” e si scaglia in via preliminare contro “maestri e maestrini” che non sono ben identificabili, almeno da chi, come me, è avulso dalla realtà “correntizia” all’interno della categoria.

Il segretario Ghirra spiega che è stato invitato caldamente ad assumere questo importante incarico nonostante i suoi progetti professionali fossero altri e che la sua accettazione è avvenuta per “l’entusiasmo di un gruppo coeso e solidale”. La lettera poi prosegue ricordando i risultati ottenuti nei due anni trascorsi in Consiglio nazionale, tra cui “chiusura dei viaggi all’estero, ridimensionamento delle spese per i gruppi di lavoro, ulteriore rigore nei master, sanzioni a personaggi di spicco del giornalismo” (cose assolutamente essenziali, nell’ottica del risparmio e della sobrietà).

Poi finalmente il riferimento alla riforma dell’Ordine e alle discussioni sulla nuova formazione professionale (che personalmente mi sta tantissimo a cuore) e qui l’intoppo: Ghirra parla delle consultazioni necessarie con i Consigli regionali dell’Ordine e dell’apertura alla discussione con Fnsi, Inpgi e Casagit e afferma che questo confronto viene “svilito”.

Perché questo giudizio duro? A causa, pare di interventi che intendono rovesciare tutti ciò che finora lodevolmente si è fatto, criticando aspramente la proposta presentata in Consiglio nazionale e puntando a “rifare tutto” (cosa che sarebbe quanto più possibile deleteria per la categoria, visto che i tempi per la riforma sono ormai strettissimi, a meno che non vogliamo farci imporre tutta l’agenda riformatrice dal Ministero della Giustizia, che l’ha disegnata in generale verso tutti gli Ordini, senza tenere conto delle peculiarità di ciascuna professione).

Dopo questa giusta “tirata” contro chi vorrebbe rivoltare tutto, ecco la “notizia”: Giancarlo Ghirra mette a disposizione il suo mandato di segretario pur senza annunciare le sue dimissioni formalmente. Anzi, il segretario chiede di più: che sia individuato un nuovo nome per la sua carica, e sarà ben felice di votarlo.

Questo il senso del testo. Sono rimasto titubante diverse ore prima di decidere di pubblicarlo. Si tratta, senza dubbio, di una ghiotta anticipazione, che costituisce, di fatto, una notizia e il compito dei giornalisti è quello di dare le notizie, qualsiasi esse siano, dopo aver verificato l’affidabilità della fonte (cosa che ho fatto con tutto lo scrupolo necessario).

Mi sono chiesto però che interesse abbia chi mi ha fatto avere la lettera e quale “convenienza” ci sia nel renderla pubblica, dandola in pasto al popolo del web (con il corollario – lusinghiero – della considerazione, alta a quanto pare, sulla capacità di penetrazione del mio blog sul mondo del giornalismo italiano): una valutazione che spesso mi sfugge, essendo io – giova ripeterlo – poco avvezzo alle trame e agli intrighi, e che invece è necessaria.

Tuttavia, alcuni passaggi della lettera di Ghirra sono importanti, illuminando su alcune scelte di grande profilo compiute negli ultimi anni (e alle quali lo stesso segretario ha partecipato attivamente, non ultimo alla Carta di Firenze, di cui lui è stato lodevolmente un convinto assertore, nonostante le differenze di vedute con il presidente, Enzo Iacopino, differenze che sono chiaramente sottolineate nella lettera), e spero che la sua divulgazione faccia riflettere il Consiglio nazionale sulla necessità di andare avanti sulla strada della riforma, che è l’unica possibile per ridare slancio ad una categoria che negli ultimi decenni è stata sempre più precarizzata, di fronte ad un mercato del lavoro sempre più ristretto.

La riforma così come è stata disegnata, frutto di inevitabili compromessi, non è certo la panacea di tutti i mali, ma è un buon inizio, che spero possa avere sviluppi con la capacità di tutta la categoria di proseguire nella sua necessaria modernizzazione, che non può non affrontare il problema che icasticamente e molto efficacemente il collega Stefano Tesi sul suo blog riassume con la frase “tutti giornalisti, nessun giornalista”.

Occorre restituire senso al percorso professionale del giornalismo, restringendone, con la necessaria severità, gli accessi, senza pensare – come purtroppo troppo spesso si fa – al “peso” delle quote annuali che inevitabilmente diminuirebbero. Facciamo, in piccolo, ciò che chiediamo al Governo dei tecnici: una “spendig review” che faccia scendere drasticamente le uscite inutili (una a caso: abbiamo proprio bisogno di un Consiglio nazionale di 150 membri? Lo so, è l’effetto della legge-brontosauro del 1963), anche nella direzione indicata da Ghirra nella sua lettera.

Coraggio, ci vuole coraggio! Io sono sempre ottimista sulle capacità degli uomini di lavorare per il bene collettivo. Sono un illuso? ΟΣ ΒΙΟΣΕΙ, ΟΦΘΕΤΑΙ, come scrivevo sempre ai tempi del liceo (peccato che non ci siano i caratteri greci minuscoli in questo WordPress!).

Una nota a margine, tuttavia, la dedicherei in chiusura alla logica delle correnti all’interno della categoria. Mi pare di aver capito che la lettera di Ghirra sia dovuta principalmente non a contrasti relativi al contenuto della riforma, ma a conseguenze di un voto sui presidenti delle commissioni permanenti all’interno del Consiglio nazionale, ossia su una questione squisitamente “politica”. Niente guerra su alti principi o su modi differenti di concepire le riforme, ma su poltrone, poltroncine e strapuntini, nella migliore delle tradizioni italiche. A volte, penso di essere alquanto “donchisciottesco”, non avendo avuto finora mai alcuno “scazzo” di natura “poltronistica” né al sindacato, dove sono stato eletto dal 2007 al 2010, né all’Ordine regionale, dove siedo come semplice consigliere dal 2010, eletto, tra l’altro, con una “lista” (sebbene non si possa correttamente parlare di liste per l’elezione del Consiglio dell’Ordine) unitaria. Io sono votato all’ecumenismo, come molti mi rimproverano, e non sopporto che il bene comune (in questo caso della categoria) sia messo dietro agli interessi particolari.

E sul concetto di bene comune, io rimango fermo alla definizione mirabile del Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa:

Il bene comune non consiste nella semplice somma dei beni particolari di ciascun soggetto del corpo sociale. Essendo di tutti e di ciascuno è e rimane comune, perché indivisibile e perché soltanto insieme è possibile raggiungerlo, accrescerlo e custodirlo, anche in vista del futuro.

11 commenti

  • Saverio Paffumi

    Carissimo,

    ma una telefonata a Ghirra per una semplice verifica e per un chiarimento di prima mano non si poteva fare? Soprattutto dato che hai subodorato qualcosa di manovriero, nel passaggio di carte… Comunque sei sempre in tempo. Un saluto

    • Antonello Antonelli

      Caro Saverio,
      non avendo il suo numero di telefono (pur avendolo cercato tra le persone che potevano averlo), gli ho scritto nell’unico modo che conoscevo: Facebook. Gli ho scritto alcune ore prima di pubblicare il post sperando riuscisse a leggerlo prima della mia decisione… Se puoi, me lo fai avere via mail? Grazie!

  • Vincenzo Nastasi

    Nel ringraziarla per la competenza e la rapidità con la quale fornisce informazioni sul mondo del giornalismo, da aspirante pubblicista al 12 mese, ahimé, di collaborazioni stabili e retribuite, volevo chiederle se ci sono novità sulla fattibilità della famigerata “norma ponte” che consentirebbe l’iscrizione a chi ha già iniziato il percorso di collaborazioni con la vecchia normativa.
    Il presidente dell’Ordine la propose mesi fa e, a una mia segnalazione tramite mail, rispose di “non fasciarsi la testa prima del tempo”.
    Da quel momento però non se ne è più parlato!

  • Post estremamente interessante, perchè dimostra che la vera causa del tramonto della professione giornalistica sono i giornalisti stessi e l’architettura istituzionale che attorno ad essi ruota, dando vita a interstizi e nicchie nelle quali parrocchie e parrocchiette trovano ragione di vita e, pertanto, interesse a sopravvivere a dispetto, e spesso a scapito, della categoria tutta. Sarà telepatia ma proprio oggi, pur del tutto all’oscuro del nascente caso-Ghirra, mi chiedevo che (sotto)sviluppi stesse prendendo il progetto di riforma ora che il tempo “stringe la borsa”. Ecco, ora ho la netta sensazione che, anzichè la borsa, ci stringerà il collo. Strangolandoci.
    Detto questo, grazie per la citazione.
    Di questo passo, altro che todos caballos, finitremo todos soldados, cioè a piedi!

  • GiusyB

    Franco Abruzzo ha pubblicato il testo integrale della lettera:
    http://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=9231

    • Antonello Antonelli

      Avevo visto, grazie della segnalazione. Io ovviamente ce l’avevo, ma ho preferito non pubblicarla testualmente, in quanto si trattava di una mail a carattere privato (e non, come scrive Franco Abruzzo, destinata a tutti i consiglieri nazionali) con espressioni tipiche di una comunicazione ad “amici”: a me interessava la “sostanza” della lettera, non la sua “forma”, che spesso può anche trarre in inganno.

      • ida

        In effetti , caro Antonello, mi chiedevo da dove mai avesse tratto le conclusioni avvilenti del suo articolo , che dalla lettera riservata di Giancarlo Ghirra, non erano assolutamente desumibili. Mi riferisco alla questione del regolamento di conti per una presidenza di commissione mancata , episodio che stando a lei sarebbe all’origine di uno scontro all’interno del gruppo dei 50 destinatari della mail del Segretario Ghirra. Se questo e’ quanto le ha chiosato la manina che le ha girato la mail di Ghirra (magari le poteva fornire anche il suo numero di cellulare ;-))c’e’ da chiedersi quali fossero le sue reali intenzioni. Lei Antonello se l’e’ chiesto? svilire un dibattito sgradito ? gettare discredito su una componente abituata ad ascoltare e confrontarsi pubblicamente invece che dedicarsi alla denigrazione degli avversari?
        La verita’ e che la lettera privata del Segretario Ghirra arriva al culmine di un confronto serrato, impegnativo e sofferto su una serie di questioni riguardanti la Riforma della professione che a nostro avviso non puo’ uscire dal solco tracciato dalla Costituzione e dalle prerogative di autonomia contenute in alcuni articoli della legge del 63. Le faccio solo un paio di esempi:
        1)chi dovra’ occuparsi della disciplina professionale dopo la riforma? Perche’ non limitare il rischio di appaltare ad altri la vigilanza e il sanzionamento dei colleghi che violano la deontologia professionale? Siamo ancora in tempo a coinvolgere costituzionalisti illustri in grado di evidenziare le prerogative e i doveri irrinunciabili di chi fa informazione? Possiamo finalmente rivendicare la nostra specificita’ rispetto all’ordine dei commercialisti o dei notai? Con tutto il rispetto per chi fa attivita’ economiche. Non e’ certo il nostro caso.

        2) le modalita’ con cui l’Ordine del dopo riforma dovra’ occuparsi della Formazione e dell’aggiornamento permanente. Ci si sta interrogando se come sostengono alcuni, l’Ordine debba assumere interamente l’onere di gestire la formazione, magari creando uno strumento come la Fondazione (strumento che per definizione non permette un controllo economico da parte di un’assemblea degli eletti o dei soci , ma che risponde solo a un C.d.A e alla verifica di un revisore dei conti ) per reperire risorse economiche utili a fare formazione gratuita. Oppure non sia preferibile (questa e’ la mia opinione) lasciare all’Ordine il suo ruolo “terzo” di garante certificatore della qualita’ della formazione offerta da altri istituti (universita’, master , istituzioni, ordini regionali etc..) , ottimizzando le sue prerogative di orientamento, monitoraggio, vigilanza.
        Questo e’ il livello del dibattito scaturito nella nostra componente “Libera l’Informazione”, fin dall’inizio dell’anno. E su questo ci stiamo confrontando vivacemente al nostro interno, perche’ questa e’ la democrazia.
        Altre interpretazioni sono frutto di discutibili e poco trasparenti operazioni di disturbo da cui la invito, data la serieta’ del suo blog, a diffidare.

        un saluto cordiale
        Ida Baldi
        Consigliere nazionale dell’Ordine, coordinamento “Libera l’Informazione”

        • GiusyB

          Gentile Ida, in questo momento d’incertezza e di eventi ancora in evoluzione, non credo sia giusto abbandonarsi a illazioni o fare un processo alle intenzioni dei colleghi. Il nostro gentilissimo e puntuale Antonello Antonelli ha segnalato la vicenda di Ghirra dopo esserne stato indirettamente coinvolto. Personalmente, ho indicato un link solo e soltanto perché il testo della lettera ormai era divenuto pubblico (io stessa l’ho trovato su Facebook) e perché ho pensato che, pubblicandolo anche qui, avremmo potuto creare un’ottima opportunità di dibattito, nonché coinvolgere i diretti interessati: gli unici capaci di descriverci con chiarezza e precisione la sostanza dei fatti.
          Aggiungo infine che, da laureata in Giornalismo ed iscritta nell’elenco dei pubblicisti a causa del mancato accesso al praticantato, la questione della qualità della formazione mi sta molto a cuore e molti dei punti espressi dal programma di “Libera Informazione” (http://www.digiovanpaolo.it/archivio/pdf/libera_l_informazione.pdf) mi trovano d’accordo. Attualmente, in Italia, le lauree magistrali in giornalismo non sono riconosciute al pari di master e scuole E come ebbe modo di spiegare Antonelli in un’intervista di qualche mese fa, ciò dipende dal fatto che nel nostro paese non esista una “Facoltà di Giornalismo”, come invece accade per le altre professioni che, come la nostra, sono regolamentate da un ordine professionale. Inoltre, master e scuole hanno costi inaccessibili per molti aspiranti giornalisti; spesso se ne mette in dubbio la qualità; si stanno trasformando in fabbriche di giornalisti professionalizzati, ma disoccupati a causa della crisi.
          Per quel che mi riguarda, formandomi, prima “sul campo” e poi attraverso il mio percorso di studi (con giornalisti della RAI, di Repubblica, del Sole24Ore, ecc), non ritengo d’esser stato preparata meno (o peggio) dei laureati dei master. I corsi universitari di giornalismo offrono stage aziendali che non sono equiparati al praticantato, così come i titoli di laurea non sono riconosciuti. Se invece ciò accadesse (dopo le opportune verifiche di qualità dei contenuti) credo che si scioglierebbe uno dei nodi cruciali dell’accesso alla professione e si contribuirebbe, in parte, a risolvere il problema economico legato alla formazione e all’aggiornamento. Una formazione che potrebbe essere affidata a colleghi che si trovino in condizioni economiche non ottimali. E in ultimo:le commissioni di vigilanza dovrebbero operare tenendo sempre presente il principio dell’autonomia professionale e delle rappresentanze.

  • Gianluca

    Gent.mo Dott. Antonelli, mi ricollego al post precedente scritto da Vincenzo Nastasi: che novità ci sono sul cosiddetto “periodo ponte”? Quale sarà la sorte di coloro che entro il prossimo agosto non avranno terminato il biennio?? Quali sono i rumors e le proposte relamente fatte e che presumibilmente verranno adottate? La ringrazio sin da ora per la risposta.

    • Allora, siamo in attesa della formalizzazione del cosiddetto “periodo-ponte” da parte del Consiglio nazionale dell’Ordine. Tuttavia, se il Ministero della Giustizia, come sembra, allungherà di sei mesi il termine dell’applicazione della riforma delle professioni, allora si avranno altri 180 giorni di tempo per iscriversi con il vecchio metodo. Se continua a seguire il mio blog, comunque, potrà conoscere l’evoluzione della situazione.

      • Gianluca A.

        La ringrazio davvero. Io potrei terminare ad agosto ma mi mancano ancora vari articoli e allora mi preme sapere se posso aspettare anche oltre agosto senza dubbi e problemi vari. La ringrazio davvero per il supporto e le informazioni utlissime che ci fornisce!

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