Perché ho sempre votato per gli organismi di categoria e perché lo farò anche stavolta

Stimolato dal sempre riflessivo intervento di Stefano Tesi sul suo blog, significativamente e “montanellianamente” intitolato “Turiamoci il naso e votiamo per l’Inpgi”, mi sono domandato il perché io ho sempre votato in ogni tipo di elezioni per il rinnovo degli organismi di categoria, anche quando, come mi capitò proprio nel caso delle elezioni Inpgi della scorsa tornata, non avevo un grande “senso di appartenenza”. 

Innanzitutto sono cresciuto, grazie agli insegnamenti della mia maestra delle elementari, la indimenticabile Maria Di Giorgio, con il culto della democrazia e dello Stato come organizzazione che è fatta da tutti i cittadini, senza i quali non avrebbe senso, e grazie poi alla formazione davvero fondamentale della mia professoressa di Storia e Filosofia del liceo, l’apparentemente arcigna, e sicuramente severa, Eloisa Sabatini, che mi ha inculcato il senso della partecipazione come supremo dovere del cittadino.

Poi c’è stata (e c’è) la mia esperienza maturata in Azione Cattolica, in cui la partecipazione ed il confronto di idee e punti di vista è fondamentale per il buon andamento dell’associazione: in quella “palestra” di democrazia (attraverso i Consigli di articolazione, quelli parrocchiali, quelli diocesani e via via salendo fino al nazionale), tra l’altro, ho potuto vincere la mia innata timidezza e ritrosia nell’espormi (che ogni tanto però riaffiora qua e là, anche se in pochi credono che esista ancora).

Con queste basi non è difficile sentire ogni “chiamata alle urne” come una precisa responsabilità di “dire la propria” e di interessarsi di quanto viene proposto per poi prendere una decisione riflettuta e ponderata.

Ma nel campo della mia amata professione c’è una ragione in più: quella di contribuire a cambiare da dentro, mettendosi in gioco, le regole di un apparato che troppo spesso appare chiuso e sclerotizzato: non è accettabile limitarsi a criticare dall’esterno, anche ferocemente, comportamenti corporativi, chiusure ai giovani e ai precari, mancanza di innovazione, senza “sporcarsi le mani” (termine caro a don Lorenzo Milani e a don Tonino Bello) e lavorare per mutare la situazione.

Dapprima questo “sporcarsi le mani” era sentito come una necessità di capire uomini e programmi e per questo ho partecipato con l’informazione e il confronto, anche virtuale, alle varie tornate elettorali di sindacato, Ordine e Inpgi; poi, quando mi sono sentito sufficientemente pronto anche a fare una mia proposta o a collaborare con colleghi che mi hanno coinvolto positivamente in un progetto, sono sceso in lizza direttamente, chiedendo la fiducia di chi mi lavorava a fianco.

Al di là del fatto che nelle imminenti elezioni dell’Inpgi (si comincia a votare a mezzogiorno di oggi a livello telematico e poi  nel week-end saranno aperte le urne “fisiche”, tutte le informazioni si possono trovare cliccando qui) sono candidato e quindi “parte in causa”, ritengo che tutte le motivazioni che finora mi hanno spinto a votare sempre e comunque possano essere valide anche per tutti i colleghi che mi leggeranno.

Personalmente, ho trovato un gruppo che ho sentito vicino alla mia esperienza ed un progetto nel quale credo profondamente: il che significa che, eletto o non eletto, io continuerò a sostenere queste tesi, convinto che siano quelle che possano cambiare “dal di dentro” la situazione nella nostra categoria.

Per questo, non credo di contraddirmi se propongo sul mio blog le facce e le proposte di chi mi ha accompagnato in questa “avventura”.

 

 

 

Questi siamo noi e le nostre proposte e questi sono i nostri impegni:

 

 

Alla fine di tutto questo lungo periodo, ritengo che davvero abbiamo fatto tutti un buon lavoro, è stata un’esperienza bellissima e devo dire che l’aver contattato tanti colleghi, fisicamente o virtualmente, è stata una grande ricchezza. Poi ho conosciuto (chi virtualmente, chi fisicamente a Firenze) i miei “compagni di cordata” e pure questa è stata una ricchezza enorme, umana e professionale.

Non posso chiedere di più. Posso solo dire “grazie”.

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