Il “caso” degli emendamenti Fnsi alla Carta di Firenze: un altro esempio della lontananza del sindacato unico

In realtà qualche timore lo nutrivo già nel corso della convegno sulla Carta di Firenze che ho moderato a L’Aquila in occasione del Premio Polidoro: erano troppo insistenti le richieste, fatte a bassa voce mentre intervenivano Enzo Iacopino e Fabrizio Morviducci, di avere uno spazio di replica per alcune espressioni utilizzate durante il dibattito, che pareva dovessero mettere in imbarazzo la Fnsi. Le richieste erano del rappresentante territoriale del sindacato unico dei giornalisti e il comportamento del Consiglio Nazionale della Fnsi ieri, quando ha esaminato il testo della Carta di Firenze, non ha fatto che confermare la mia impressione di un documento deontologico che dava “un certo fastidio” al mondo sindacale.

Forse perché il sindacato unico si sente “scavalcato” (si diceva un tempo “a sinistra”) dall’Ordine dei Giornalisti? Forse perché la Fnsi ha compreso che è lontana anni luce dai problemi di quella che ormai è la stragrande maggioranza della categoria, quei precari che vengono debitamente lontano dai direttivi e dalle stanze decisionali (provocando, a cascata, l’allontanamento degli stessi precari dal sindacato, del tutto privo di appeal nei confronti dei colleghi non contrattualizzati)?

Quale che sia la spiegazione, il Consiglio Nazionale della Fnsi, esaminando la Carta di Firenze, ha proposto, del tutto irritualmente, degli emendamenti alla stessa: il primo (cito dalla sintesi che ne ha fatto Fabrizio Morviducci su Facebook)  è sull’apertura del procedimento da parte degli ordini regionali (osserva giustamente Fabrizio che ciò viene già previsto dalla legge istitutiva dell’Ordine e l’articolo 4 della stessa Carta); il secondo vuole togliere un riferimento alla legge 150 sugli uffici stampa; il terzo, quello corposo, vuole depotenziare la Carta che prevede la punibilità della catena di comando.

In via preliminare si può osservare come una carta deontologica sia di esclusiva competenza del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti e quindi la Fnsi non avrebbe comunque avuto la potestà di emendare al Carta di Firenze con valore correttivo, ma la contestazione più corposa è quella rappresentata dal fatto che dei rappresentanti del sindacato hanno fatto parte della commissione che ha contribuito alla stesura definitiva del documento fiorentino che, giova ricordarlo, è stato approvato da una maggioranza amplissima di ben 400 precari dell’informazione (gli stessi che il sindacato ormai non rappresenta più o forse non ha mai rappresentato né probabilmente mai voluto rappresentare). Quindi proporre emendamenti (tra l’altro presentati unanimemente dalla Giunta Esecutiva) ha rappresentato una sconfessione del lavoro dei suoi stessi rappresentanti.

Quali i motivi di questo comportamento? Ufficialmente non ve ne sono. Secondo i commenti che stanno apparendo in rete, la motivazione va ricercata nella difficile composizione delle diverse “anime” che si agitano all’interno del sindacato. Insomma, ragioni non proprio vicine alle esigenze dei precari.

Tuttavia, la discussione, già lunare di per sé, è stata troncata di netto dal presidente nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, Enzo Iacopino, che ha diffuso una nota precisa e senza possibilità di interpretazioni, rispondendo al collega Andrea Leoni, consigliere nazionale Fnsi:

 

Caro Andrea,
ringrazio per la correttezza della ricostruzione relativa al preannuncio fattomi da Roberto Natale (sostanziale smentita di tante chiacchiere su un mio consenso al contenuto degli emendamenti, lettimi per telefono, rapidamente, la sera precedente la riunione della Fnsi).
Considero “dirimente” e conclusiva l’idea che la Fnsi possa stabilire quali siano gli obblighi dei Consigli regionali dell’Ordine.
A Firenze, la Carta è nata dal basso su un testo messo a punto, fino alle 4 del mattino dell’ultimo giorno, da una commissione congiunta, nella quale la Fnsi era rappresentata da una delegazione ufficiale, che ringrazio ancora per il contributo positivo, offerto senza far di calcolo.
Per quel che mi riguarda (e ho chiesto di diffondere pubblicamente questa mia posizione), la Carta resta quella approvata a Firenze, unico documento nato dai protagonisti-vittime delle porcherie possibili grazie a troppe complicità di colleghi. La Carta di Firenze è la testimonianza della sofferenza vera di chi fa da sfruttato questo mestiere e non delle esigenze di equilibri che per anni hanno praticamente lasciato liberi gli editori di fare strame dei diritti di migliaia di colleghi.
Mi addolora apprendere che la Carta ha rischiato di “disgregare la maggioranza federale”. Mi addolora ma, non volermene, non mi sorprende neanche un po’: i colleghi sono alla disperazione e c’è, ancora, chi si preoccupa di un qualche vantaggio personale o di gruppo.
Sono orgoglioso di presiedere un Consiglio nazionale, quello dell’Ordine, ricco di varie anime, ma che non ha avuto neanche un attimo di esitazione nell’approvare quella Carta.
Il resto, come diceva qualcuno, è noia: trasmette una sgradevole sensazione (che mi pare abbia colto anche tu) per nulla attenuata dal clima prenatalizio.
Auguri a te e ai colleghi: ne abbiamo bisogno tutti.
Enzo Iacopino

 

Inutile dire che ancora una volta il presidente Iacopino ha colto nel segno! Le cose certo non le manda a dire… chiaro e diretto, come nel suo stile.

La Carta di Firenze è una conquista ormai ineludibile. Non può essere ovviamente la panacea di tutti i mali, ma un valido punto di partenza per il riconoscimento di uno status che ormai è largamente maggioritario nel mondo dell’informazione nazionale. La seconda tappa? Certamente la legge sull’equo compenso, che ci attendiamo per la primavera prossima al massimo. E poi l’auspicata riforma dell’Ordine, con nuove norme per l’accesso alla professione, più vicine alla situazione reale del giornalismo in Italia.

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