Domani gli Stati Generali dell’Informazione precaria, la settimana prossima le audizioni per l’equo compenso: un punto della situazione

Preso da faccende e da progetti che esulano il mondo del giornalismo, sono rimasto un po’ lontano da quanto sta accadendo attorno all’equo compenso e agli Stati Generali dell’Informazione precaria che dovrebbero aprirsi domani a Roma, presso la sede della Fnsi. Mi sto accorgendo che “da lontano” ci si accorge più facilmente delle sfumature e dei cambiamenti di atteggiamento, non foss’altro perché muta radicalmente l’interesse e la pressione per la partecipazione: è quello che registro in questi giorni di studio sui libri, quando distrattamente l’occhio va sulle notifiche di Facebook. Ebbene: sono diminuite, senza dubbio. Non quelle di tutti i giorni, ma quelle relative agli Stati Generali: pare che nessuno più desideri la mia partecipazione attiva, magari anche in lontananza.

Che succede?

Mi pare che abbia ragione il collega Stefano Tesi, coordinatore della “commissione ombra” che ho colpevolmente lasciato senza interventi e stimoli da oltre venti giorni (ma i colleghi di cordata sono stati informati del progetto che mi tiene lontano dalla nostra compagnia di “fantasmi urticanti” e benevolmente mi hanno concesso un “permesso premio” sulla fiducia): non è un appuntamento che brilla per organizzazione, visto che è senza moderatore, senza relatori, senza programma definito, senza modalità precise di partecipazione (come chiarisce sul suo blog il buon Tesi che parla, a ragione, di “appuntamento al buio”). Mi curerò di linkare anche sul mio blog i racconti dei colleghi, specie quelli della “commissione ombra”, su questo appuntamento di domani e dopodomani.

E l’equo compenso? Lunedì saranno ricevuti dalla commissione “ufficiale” sull’equo compenso i rappresentanti dei coordinamenti regionali dei precari: non tutti, ma una buona e nutrita rappresentanza che potranno ben chiarire ai commissari che non hanno chiara la situazione quella che è la realtà dei fatti. Speriamo che i racconti “smuovano” un po’ la coscienza (… ma bisognerebbe averne una…) di chi tali situazioni le conosce già ma se ne giova.

Nei giorni scorsi si è parlato di un “accordo fuori tavolo” tra Fieg e Fnsi, quasi a depotenziare il lavoro della commissioni: non sarebbe proprio un bel segnale e impedirebbe una più serena valutazione dell’equo compenso.

Ancor di più si è parlato di una presunta “soglia” di 500 euro mensili già stabilita informalmente come equo compenso: le fonti citate (e poi ricostruitre) sono in effetti degne di fede, ma speriamo si sbaglino (e il presidente dell’Ordine, Enzo Iacopino si è affrettato a smontare una tale ipotesi, meno male). Ammesso e non concesso che una tale baggianata sia stata pensata: con 500 euro (netti? Lordi? Per quanti pezzi? Per che tipo di lavoro? Con quale contratto?) come si può sopravvivere?

Insomma, pare che la discussione sia ancora in alto mare e pensare che la legge sull’equo compenso prescriveva due mesi per arrivare alla quantificazione del “minimo inderogabile” dopo (ovviamente) i 30 giorni di tempo per la nomina della commissione. Siamo invece a luglio inoltrato e non pare che si siano fatti passi in avanti.

Ma, alla fine, non sarebbe meglio per tutti (e per la chiarezza) ricomprendere nel contratto nazionale, che deve essere rinnovato, regole certe anche per il lavoro autonomo? Sarebbe l’uovo di Colombo, ma chi quel contratto lo tratta, la Fnsi, non ha probabilmente la minima idea di cosa significhi oggi vivere nella “galassia” degli autonomi (che contiene freelance, precari, dopolavoristi di ogni genere e chi più ne ha più ne metta), tant’è che essi non si iscrivono, se non in minima parte, al “sindacato unico”.

Vedremo. Intanto me ne torno sui libri, sempre più lontano (così pare) dal mondo del giornalismo.

3 commenti

  • Caro Antonello, per i numerosi rinnovi di contratti collettivi di lavoro giornalistico e per lontani miei trascorsi (da precario), il contratto giornalistico ha sempre previsto la figura del “collaboratore”, come esterno alla redazione. Il contratto, infatti, si applica ai giornalisti professionisti, vale a dire a coloro che hanno superato l’esame di Stato, come previsto dalla Costituzione. Tuttavia ci sono finestre di accesso anche per i pubblicisti. La principale è quella dell’art. 2 del contratto, titolato “Collaboratori fissi”. La norma dispone una serie di trattamenti contrattuali per coloro che forniscono alla testata un numero predefinito di articoli mensili. Maggiore è il numero degli articoli, maggiore e il compenso (che dipende anche dal rapporto tra collaboratore e giornale). Altra norma che ricordo è l’art. 12 (corrispondenti locali, regionali, nazionali). Costoro percepiscono una somma che aumenta in relazione al lavoro che svolgono nella sede di residenza, Altra norma che riguarda esplicitamente i “pubblicisti” è l’art. 36. In virtù di questa norma contrattuale possono lavorare solo nelle redazioni provinciali come collaboratori interni, retribuiti mensilmente. È chiaro che queste retribuzioni sono al limite della miseria perchè il contratto presume che si tratti di lavoratori che hanno altre attività e che il maggior lavoro è svolto dai giornalisti interni.
    A mio sommesso avviso, ciò che fa saltare tutti i giochi che possono concludersi con la sanatoria della situazione, è l’elevato numero di giornalisti. I pubblicisti sono un mare, recentemente ho letto sul sito dell’Ordine nazionale dei corsi “diventare giornalisti”, poi si fa cenno che si tratta di corsi per diventare pubblicisti: Cosa faranno? Dove andranno a lavorare? Alimenteranno la palude dei “precari”. Il discorso è semplice: è giornalista chi è capace di fare questo mestiere, ha fiuto nel trovare la notizia e la sa scrivere. Non è importante essere professionista o pubblicista, quanto di conoscere la professione e svolgerla bene. È chiaro che gli editori ci sguazzano: perchè mai dovrebbero pagare un equo compenso se basta battere le mani per richiamare una gran folla di “giornalisti” disposti a lavorare per pochi euro o, persino, gratuitamente, se per loro è importante fregiarsi del titolo “giornalista”. Che l’Ordine cominci a sfoltire gli elenchi e favorisca l’accesso alla professione ai capaci e meritevoli.

  • Caro Antonello,
    pur “distratto” dai libri non ti è sfuggita la lapalissiana, ma colpevolmente ignorata dai soliti noti, verità: spetterebbe a un contratto, e a chi lo “fa”, includere tutte le prestazioni giornalistiche, limitandosi la norma sull’equo compenso a fissare il minimo inderogabile. Ad oggi, pura utopia. Domani stati generali della nebbia, pardon, dell’informazione precaria. Lunedì riunione della commissione equo compenso all’interno della quale, Legnini dixit, a nessuno è chiara la nozione dell’oggetto. Beh, che dire…siamo messi bene!
    Un abbraccio cara ombra in permesso, S.

  • Cari Colleghi, sono con voi, non voglio sembrare il classico “Bastian contrario”, se dico che, fino a qualche anno fa, c’era un tariffario delle prestazioni dei giornalisti con la previsione dei compensi minimi e massimi. Prevedeva ogni tipo di attività, dalla retribuzione degli articoli alle prestazioni per conferenze stampa e attività di comunicazione. Ricordo che per noi giornalisti (allora ero interno), diventava facile preparare il “borderò” per gli articoli dei collaboratori. Ricordo anche che i pensionati che continuavano a lavorare (come collaboratori), in virtù del tariffario andavano incontro alla decurtazione della pensione se superavano un certo limite con riferimento, proprio alle tabelle professionali. Ricordo che hanno abrogato la decurtazione dopo l’eliminazione delle tabelle. Tant’è che colleghi pensionati (io ero ancora in servizio) festeggiarono l’abrogazione della decurtazione. Vi prego, informatevi.
    Mi sembra di rivivere il film di Nino Manfredi, soldato mandato a individuare un cannone che prima gli avevano ordinato di rimuovere. Quello che viene chiamato “equo compenso” era ciò che prima esisteva e poi è stato tolto, se non vado errato, su provvedimento di un’autorità statale (se ricordo bene un’autorità finanziaria) in nome della liberalizzazione delle tariffe. Queste dovevano essere consone al mercato. Ricordo anche gli uffici dell’Editore che si affrettarono di segnalare alla redazione l’abrogazione dei limiti minimi delle tariffe in nome della libera concorrenza. La Fnsi è certamente al corrente di questo, anche l’Ordine dovrebbe saperlo.

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