Pubblicisti in rivolta: mettiamo dei punti fermi e non alimentiamo allarmismi

Sta assumendo sempre più i contorni di una vera e propria rivolta, quella dei pubblicisti che temono per la scomparsa del loro elenco all’interno dell’albo tenuto dall’Ordine dei Giornalisti: è bastato che il Corriere della Sera dedicasse un articolo ai fermenti che percorrono la blogosfera, tra l’altro citando le mie ipotesi formulate in un post pre-natalizio, per scatenare il panico in rete e fuori rete. 

Da una parte è un segnale incoraggiante: finalmente una categoria che non ha mai parlato troppo volentieri dei propri problemi, finendo regolarmente per scadere in una faida silenziosa tra garantiti e non garantiti, si interroga su sé stessa, sul senso del proprio essere, sulle prospettive che ci sono per una professione, sempre ambita ma mai realmente conosciuta in tutti i suoi aspetti.

Dall’altra però pare essersi scoperchiato il vaso di Pandora, con interventi di ogni genere e di ogni tenore, spesso mal documentati o peggio inseguendo cliché e miti che da troppo tempo aleggiano attorno al giornalismo ed ai giornalisti, dimostrando così come una seria ridefinizione del percorso formativo che porta a diventare giornalisti e una più seria formazione continua (che il decreto di Ferragosto già prevede) sia ormai ineludibile.

Mettiamo allora i punti fermi in questo mare magnum:

1. Il “decreto di Ferragosto” (intendendosi per tale quello varato dal Governo Berlusconi il 13 agosto scorso, una delle tante manovre estive, identificato con il numero 138 e scaricabile qui) all’articolo 3, comma 5, prevede una serie di prescrizioni per tutti gli Ordini professionali da attuarsi entro un anno dall’entrata in vigore del decreto (ed ecco perché si parla del 13 agosto 2012 come D-Day): tra esse vi è l’esplicita previsione del mantenimento dell’esame di Stato come condizione per l’accesso a qualsivoglia Ordine. In caso di mancato adeguamento, l’Ordine inadempiente viene sciolto.

2. Le interpretazioni che sono state date a questo comma 5 sono quasi del tutto univoche (ne abbiamo discusso anche nel nostro Consiglio regionale dell’Ordine): se l’accesso all’Ordine è condizionato ad un esame di Stato, allora i pubblicisti sono automaticamente “fuori legge”, in quanto sono all’interno di un Ordine ma senza che la legge preveda esami per il loro ingresso (il colloquio che alcune regioni, compreso l’Abruzzo, hanno introdotto per i pubblicisti non è assimilabile ad un esame di Stato).

3. Messo di fronte a questo aut-aut, il Consiglio nazionale dell’Ordine dei Giornalisti sta elaborando alcune proposte, sulla scorta di pareri che via via si vanno acquisendo, per uscire da questa situazione e le ipotesi che circolano sono quelle che ho riportato nel mio post di qualche giorno fa. Non c’è dunque alcuna decisione già presa, né si può dare per pacifico il fatto che la scelta sarà quella di cassare tutto d’un botto i pubblicisti. Di questo problema ne discuterà l’intero Consiglio nazionale nella seduta già prevista del 18, 19 e 20 gennaio: in quella sede si potrà avere una visuale più chiara della situazione e della direzione che prenderà la categoria, almeno dal punto di vista dell’Ordine, cui compete, per legge, la tenuta dell’albo. Certamente, una decisione che vada nel senso dettato dal decreto di Ferragosto, confermato e corroborato dal cosiddetto “decreto Salva Italia” (quello cioè adottato dal Governo Monti prima di Natale), è assolutamente necessaria, altrimenti il 14 agosto 2012 l’Ordine dei Giornalisti sarà cancellato ope legis.

Che fare nel frattempo?

Sicuramente discutere e dibattere il problema, fare sentire ognuno la propria voce: è meraviglioso constatare che finalmente la categoria si animi, risvegliandosi quasi per magia dal suo torpore. Ma non va dato adito ad allarmismi eccessivi. Discussione anche accesa, ma niente appelli all’ultima crociata, soprattutto quando non ancora si sa nulla di certo sul futuro, ma ci affidiamo ancora ad ipotesi di scuola.

Credo – lo ripeto per l’ennesima volta – che vada affrontato il problema tutto intero: riformare del tutto la legge 69/1963, scritta quando esistevano sono giornali ed agenzie e la tv era ancora agli albori. Basta con l’accesso senza esame. Basta con giornalisti che possono teoricamente anche avere solo la licenza media. Basta con le iscrizioni fatte dipendere solo dalla quantità di articoli scritta e dal compenso minimo (che purtroppo si traduce per molti, accecati dal miraggio del “tesserino”, ad una spesa aggiuntiva per avallare ritenute d’acconto false, quindi commettendo un reato bello e buono: chiamiamo le cose così come stanno, visto che mi fa venire l’ulcera la protesta di chi ha pagato per avere l’iscrizione all’Ordine e rivendica diritti che lui ha acquisito con un reato).

Spazio alla formazione continua e, a questo punto, anche alla laurea in Giornalismo, purché non si riduca (questa è la mia più aspra critica agli attuali master sparsi in giro per l’Italia) ad una formazione solo teorica, completata da uno stage in cui gli universitari sostituiscono colleghi in ferie, svolgendo mansioni di supplenza giornalistica, e soprattutto purché non siano facoltà di élite, ma che possano costare come un normale percorso universitario (con tutti i benefici annessi e connessi, tipo borse di studio).

Ai pubblicisti già iscritti all’Ordine consiglio vivamente di pagare la quota annuale 2012: si ha molta più forza contrattuale quando si è in regola con quanto dovuto.

A chi sta per iscriversi all’Ordine come pubblicista: se completa l’iter entro il 13 agosto e si intende fare questo mestiere come esclusivo, fate in modo di iscrivervi e così potrete essere beneficiari magari di una possibilità di fare il praticantato in deroga (è un auspicio il mio, non una notizia certa, ma è ragionevole che il Consiglio nazionale dell’Ordine emani norme transitorie su questa materia).

A chi non riesce a completare i 24 mesi necessari per raggiungere l’iscrizione da pubblicista: continuate comunque a lavorare, non vi piegate mai a compromessi sui compensi (niente pagamenti in nero delle ritenute d’acconto ai vostri editori), e state alla finestra, vediamo che succede!

Quel che registro, come anche il buon Stefano Tesi che come sempre ha centrato il problema in un altro dei suoi illuminanti post sul suo blog, è il silenzio assordante che proviene dal sindacato unico: ancora una volta la Fnsi non sa cosa dire di fronte ad un problema che riguarda la maggior parte dei colleghi, peccato che essi non siano i soliti garantiti e contrattualizzati che i sindacalisti sono così bravi a difendere.

Ci sarebbero tante altre cose da dire, ma adesso me ne manca il tempo: devo scappare per lavoro, ma il mio impegno è e sarà quello di seguire con attenzione e passione questo problema, cercando di semplificare e sintetizzare quando si va dicendo in rete.

44 commenti

  • angy

    grazie del post, ma una domanda: una persona che mi è cara sta accumulando articoli per diventare pubblicista; se aboliscono l’ordine dei pubblicisti, che farà ? tu dici “continuate a lavorare”, ma scusami gli sarà ancora consentito dal punto di vista legale ?

    • Antonello Antonelli

      Il mio consiglio è continuate a lavorare finquando la situazione non si sarà chiarita. Allorquando tutto sarà chiaro, potremo sapere se i pubblicisti esisteranno ancora ed in quale misura!

  • Grazie Antonello per le tue informazioni e riflessioni che mi sono state utili per inquadrare il prossimo “che fare” (insieme a quelle di Stefano Tesi e Antonella Cardone.

  • Antonello Antonelli

    Grazie a tutti per i commenti… oggi è una giornata molto incasinata, l’ultima prima delle ferie. Da domani cercherò di rispondere a tutti, anche alle numerose richieste di amicizia su Facebook!

  • Ciao Antonello,
    grazie per avermi citato. Come sempre siamo in sintonia.
    Condivido assolutamente (e l’ho appena postato su FB) il suggerimento dato ai pubblicisti di pagare in ogni caso la quota odg per il 2012 (sono certo che è proprio la morosità dei soci e la difficoltà finanziaria dell’Ordine lo scopo a cui puntano la coppia Monti&Fornero per soffiare sul fuoco abolizionista e, da lì, su quello della confisca dell’Inpgi). La forza della categoria, o meglio della parte buona di essa, si dimostra anche tenendosi in regola e organizzando proteste articolate, approfondite e logiche, senza gli strepiti scomposti e superficiali che si leggono in giro.
    E occorre mettersi in testa che ciò che forse farà Monti andava fatto (e speriamo sia fatto da qui al 12/8) molto tempo fa: mettere mano all’elenco dei pubblicisti, alle norme che lo regolano e, in generale, a quelle sull’accesso alla professione, che sono la madre di tutti i problemi e del giornalistificio che ci sta strangolando, professionisti e pubblicisti.
    Ciao e auguri, S.

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  • Paola D.

    Una domanda: il teorico pubblicista con solo la terza media, quindi non laureato ma che fa questo lavoro da più di dieci anni e che, soprattutto, ha regolamente versato i contributi Inpgi, come si pensa di regolamentarlo?
    Grazie in anticipo per la risposta e gli eventuali chiarimenti.

    • Antonello Antonelli

      Non so… stiamo infatti aspettando le proposte e le decisioni del Consiglio nazionale dell’Ordine!

    • Roberto Roncallo

      Come il msg di Paola D. io sono un pubblicista in possesso solo della licenza media inferiore, con più di 60 anni, pensionato INPS ovviamente, pubblicista dal 1991, sottopagato e tassato a più non posso. Ricavi economici dai miei articoli, considerando spese trasporto e telefono, quasi in perdita.”Mazziato e cornuto” per dirla in maniera poco elegante! Intanto all’INPGI ho già richiesto la restituzione di tutti i miei contributi versati con grande sacrificio economico, in quanto alla pensione da pubblicista non ci arriverò mai. Sembra evidente che a questa età con ho certo intenzione di laurearmi ne tanto meno prendere parte ad un corso da giornalista con tanto di esami. Scusate lo sfogo ma qui a Genova siamo stufi di essere presi in giro!
      Roberto Roncallo

  • Jacopo

    Uno dei (pochi) articoli che spiega bene le cose e una volta tanto fa un po’ di chiarezza su un tema molto ingarbugliato. Credo che, da un lato, riformare le regole di accesso allo status di giornalista sia positivo. Dall’altro bisogna tener conto delle centinaia di migliaia di giornalisti pubblicisti che svolgono regolarmente la loro attività e che, soprattutto, pagano i contributi al relativo istituto di previdenza. Conosco persone che pur non svolgendo l’attività di giornalista, hanno preso la tessera da pubblicista e questa la trovo una profonda ingiustizia per chi – come me – vive solo di giornalismo. Credo che l’importante sia non farsi prendere dal panico, di leggere ed informarsi attentamente e condividere il più possibile le informazioni con amici, colleghi e conoscenti, in modo da avere gli strumenti necessari per affrontare nel migliore dei modi la situazione. In bocca al lupo a tutti

  • Credo che sarebbe opportuno, qualora decidano di “cancellare” tutti i pubblicisti, chiedere l’immeditato rimborso di tutti i contributi versati all’INPGI.

    • Antonello Antonelli

      Più che altro favorirne il transito all’Inps… Quello dei contributi Inpgi sarà, secondo me, uno degli elementi che faranno propendere la bilancia delle decisioni sul mantenimento, in qualche modo, dei pubblicisti.

  • Giusyb

    Sono una laureata in giornalismo. Scrivo da molti anni (e gli ultimi mi sono stati retribuiti). Non ho potuto accedere all’esame di stato perché non ho svolto il praticantato – non avendo trovato lavoro in una testata abbastanza grande e con un numero di dipendenti professionisti sufficienti – e nemmeno frequentato una scuola convenzionata con l’ordine o il solito master, destinato solo a chi può permetterselo economicamente. E quindi, malgrado le mie competenze e le mie attuali mansioni, sono costretta a rassegnarmi e ad accettare, realisticamente, l’iscrizione ai pubblicisti. Ma la mia domanda d’iscrizione all’Ordine è ferma da luglio… L’Ordine mi ha detto di non preoccuparmi ma io temo che mi abbiano già tagliata fuori: quale sarà il destino di giornalisti professionisti nella sostanza (in teoria ed in pratica) le Università e le redazioni formano ma che non possono accedere all’esame di stato?
    La riforma per l’accesso unico alla professione (che è quella che dovrebbe consentire ai laureati in giornalismo l’accesso diretto all’esame), vi ricordo, è bloccata in Parlamento dal 2008…
    Come pensa il Governo di risolvere un problema che è invece strutturale, che crea delle discriminazioni e delle disparità interne, che nega l’accesso alla professione a dottori in giornalismo che non passino per determinati canali (master o 18 mesi di praticantato), nonostante gli innumerevoli esami e tutti gli stages nelle redazioni – svolti sempre al limite dello sfruttamento delle persone, senza che tale periodo sia considerato come praticantato -, con un Ordine che accetta laureati (oggi non più quelli con la licenza media per fortuna) in tutt’altre discipline, che dovrebbero imparare a fare i giornalisti in 18 mesi (contro 5 anni di università) ed un corso di 45 ore?
    Affermare che ci si deve adeguare alle norme europee è molto facile nella forma. Soprattutto se tale decisione viene presa in modo semplicistico e sommario, evitando in questo modo di risolvere annosi problemi strutturali che riguardano l’Italia. Per quel che mi riguarda, appartengo già ad una classe di giornalisti fantasma: non ho ancora il tesserino ma mi pagano per il mio lavoro. Sono una giornalista nella sostanza ma non nella forma ed ho davvero paura per quello che potrà essere il mio destino, se non avrò più il diritto di svolgere la professione per la quale sono formata e alla quale mi sono dedicata da tempo.
    Anch’io sono per una regolamentazione che riqualifichi la professione giornalistica ma non al prezzo della cancellazione di una categoria che regge il sistema dell’informazione italiano ormai.

    • Antonello Antonelli

      Un’annotazione: sono consigliere dell’Ordine dell’Abruzzo e mi riesce difficile comprendere come un Consiglio regionale dell’Ordine possa tenere bloccata una domanda di iscrizione all’elenco dei pubblicisti (elenco, non albo, l’albo è unico, diviso in due elenchi) da luglio. Infatti il lavoro del Consiglio dell’Ordine, nel caso dei pubblicisti, è solo quello di verificare la regolarità e la congruità della documentazione e decidere senza valutazioni di merito.

      • Giusyb

        Perdoni la semplificazione frettolosa per cui ho parlato impropriamente di “Ordine” al posto di “Albo” dei pubblicisti.
        Ho ricontattato l’Ordine dei Giornalisti del Lazio ma, ancora una volta, mi è stato detto di aspettare. Nel sito web dell’Ordine della mia Regione sono espressamente indicati i tempi e le modalità per l’iscrizione nell’elenco dei pubblicisti (“La data della prova sarà comunicata all’aspirante, tramite posta elettronica o via telefono, dopo circa 30/45 giorni dalla data di presentazione della domanda con un preavviso di almeno 72 ore”): dunque potrei ritenermi rassicurata dalla risposta ricevuta al telefono, se non altro perché mi è stato spiegato che, in caso di rigetto della domanda d’iscrizione, l’aspirante pubblicista viene avvertito. D’altra parte, per giustificare tutto questo ritardo, ho anche supposto che i 45 giorni indicati inizino a decorrere dal momento in cui il Consiglio prende visione della domanda (e non dalla data indicata sulla ricevuta di versamento dei 200 euro che mi è stata rilasciata, quella che indica il giorno in cui l’aspirante pubblicista ha presentato la documentazione e pagato le spese per istruire la pratica), anche se il senso della frase che ho citato sopra, in realtà è un altro, poiché parla di “presentazione” della della domanda e non della presa in visione di questa da parte del Consiglio.
        Un’altra cosa che non capisco riguarda l’esito del colloquio/esame: se – come lei mi indica – al Consiglio spetta il solo compito di “verificare la regolarità e la congruità della documentazione e decidere senza valutazioni di merito”, è possibile che il Presidente dell’Ordine regionale (davanti al quale si sostiene il colloquio/esame), possa decidere in merito al rifiuto della domanda d’iscrizione – nonostante l’approvazione del Consiglio – e negare in tal modo il diritto all’iscrizione del candidato, nonostante il parere positivo del Consiglio? Un colloquio che non è un vero “esame” dà la possibilità al candidato/aspirante pubblicista di sostenerlo nuovamente, in caso di esito negativo?

        La ringrazio per il suo aiuto e soprattutto per la precisione e la puntualità delle sue risposte.

        • Giusyb

          Il Consiglio dell’Ordine del Lazio, con delibera del 19 ottobre 2005, ha istituito un colloquio per verificare le conoscenze giuridiche e culturali di tutti gli aspiranti pubblicisti: questo dovrebbe suggerire forse che la verifica della congruità e della regolarità della documentazione presentata non sia più un requisito sufficiente per l’iscrizione nell’elenco dei pubblicisti?
          Quel giorno in cui ho consegnato materialmente la documentazione, all’addetto che l’ha materialmente presa tra le mani, ho chiesto a chi spettasse il compito della verifica preliminare e l’impiegato preposto al ricevimento della documentazione mi ha detto che tale compito spettava a lui. Dunque ha controllato l’insieme dei documenti presentati (tra ricevute di pagamento e fotocopie degli articoli), verificato e confermato che tutto fosse in ordine e che avrei dovuto soltanto attendere la convocazione per l’esame. Mi aveva anche indicato, per approssimazione, entro quanto tempo sarei stata ricontattata (richiamandosi a quei 45 giorni suddetti). Infine, mi ha consigliato di studiare dai miei vecchi libri universitari le “materie” sulle quali sosterrò il colloquio

          • Antonello Antonelli

            L’introduzione del colloquio (che anche noi in Abruzzo abbiamo previsto, solo su temi di deontologia però) è un tentativo di qualificare i pubblicisti per i quali la legge, in effetti, non prevede esami o prove particolari. A rigor di legge, lei non potrà mai essere “bocciata”, ossia non è possibile che le venga rifiutata l’iscrizione all’elenco pubblicisti per una “insufficienza” nel colloquio, al massimo – come facciamo noi in Abruzzo – invitata a ripresentarsi il mese successivo per verificare le conoscenze di base.
            Non so quali siano le domande che le saranno fatte dal Consiglio del Lazio, tuttavia per i miei colleghi abruzzesi avevo preparato un rapido “bignamino” delle principali nozioni di deontologia da conoscere per il superamento del colloquio qui in Abruzzo. Lo trova qui: http://www.5euronetti.it/2011/04/14/compendio-di-deontologia/

  • Gentile Antonello, capitavo per caso sul suo sito e mi è sorto spontaneo un dubbio: io vivo in Inghilterra, e in questo Paese per essere un giornalista basta scrivere su un giornale.
    Non esistono esami di Stato, albi, praticantati e altri strumenti di sevizie verso i giovani giornalisti. Si presuppone che se uno è capace scrive, che si sia laureato in giornalismo, storia contemporanea o astrofisica. Se non è capace, non scrive. Se scrive cose false, nessuno lo assume più.

    Ora, pur comprendendo l’apprensione dei miei colleghi italiani (i pubblicisti), non riesco proprio a capire perché ci si ostini a difendere l’esistenza stessa di un Ordine dei giornalisti.

    Con i miei migliori saluti
    Umberto

    P.S. Mi potrebbe anche indicare dove la Costituzione prescrive che i giornalisti debbano essere iscritti a un ordine? Grazie.

    • Antonello Antonelli

      In linea teorica ha del tutto ragione, del resto la situazione anglosassone è certamente esemplare (ma non proprio cristallina), ma in Italia la Costituzione (articolo 33 comma 5) prescrive l’esame di Stato per le professioni regolamentate e i giornalisti sono tra queste (in base alla legge 69/63).

      • umberto

        Anche in linea pratica non tutte le professioni sono regolate da ordini (esiste un ordine dei linguisti? dei panettieri?). Ma questo è un problema puramente formale, nulla impedirebbe che si cancelli di fatto il senso dell’esame e dell’ordine abolendo praticantati, numeri chuisi all’ingresso, cursus di vario genere da seguire per entrare nell’ordine o simili. Per esame gli facciamo scrivere un articolo, se sanno scrivere senza fare errori d’ortografia tanto basta. Il mercato e la professionalità determineranno il resto, non gli ordini.

        • Antonello Antonelli

          Per fare questo occorre semplicemente che il Parlamento (quindi non l’Ordine) abroghi o modifichi profondamente la legge che ha istituito l’Ordine dei Giornalisti ed ha regolamentato la professione giornalistica in Italia. Le cose vanno fatte con ordine: quindi se Camera e Senato intendono modificare l’accesso alla professione rendendolo più vicino o simile in tutto al modello inglese sono liberissimi, ma non tocca a noi farlo. Al massimo proporlo!

          • Umberto

            Ha assolutamente ragione, sarebbe un ottimo segnale vedere questa spinta venire proprio dall’Ordine. Possiamo aspettarcelo da lei e dai suoi colleghi dell’ordine dell’Abruzzo?

      • Max

        Si, se non fosse che i pubblicisti sono considerati una categoria professionale “atipica” come sancito dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 256 del 2 aprile 1971, che definisce la differenza tra giornalista pubblicista e giornalista professionista. E’ certamente un anomalia tutta italiana che dimostra come il ns sistema sia cmq infinitamente meno cristallino del sistema anglosassone.

  • Massimo

    Ho la terza media, sono uno dei collaboratori di punta di uno storico quotidiano locale e mi occupo di cronaca, politica e sport. In due anni ho pubblicato 22 articoli in prima pagina e prodotto costantemente circa 30 pezzi al mese fra cui interviste con personaggi di caratura nazionale. La mia testata è soddisfatta e per il terzo anno mi ha rinnovato il contratto. Ma secondo te uno che ha la terza media è per forza un asino e un incapace? Tempo fa avevo fatto un articolo su un ricercatore con un passato alla Virginia Tech che faceva il tassista per vivere. Pare che oggi il mondo va così. Per il resto grazie per il post e le riflessioni che aiutano certamente a fare luce su questa situazione ingarbugliata e creano comunque ottime occasioni di confronto. Con stima.

    • Antonello Antonelli

      Assolutamente non voglio dire che chi ha la terza media è un ignorante ed indegno di essere iscritto all’Ordine, ma poiché il decreto di Ferragosto prescrive una formazione continua anche per i giornalisti (finalmente!), sarebbe bene che ciò fosse l’occasione per migliorare le conoscenze (per lo più deontologiche) della categoria!

      • Massimo

        Le conoscenze deontologiche sono una cosa, il titolo di studio un altro. Se io dico a mia nonna, che è una contadina con le scarpe grosse e il cervello fino, di studiare il codice deontologico sono certo che in una settimana lo sa a memoria. Poi deve trovare le notizie e arrivarci prima degli altri e questo non dipende dalla laurea ma da attitudini e capacità personali. Se queste qualità ci sono bene altrimenti è evidente che il giornalismo non è la strada giusta.

  • Barbara

    Sono laureata, pubblicista dal 2004. Non ho mai fatto altro lavoro che questo. Ho contributi versati sia all’INPGI1 che all’INPGI2. Ma ho dei buchi, anni in cui ho lavorato al nero.
    Pur avendo lavorato in redazione per 16 mesi, e poi per altri 12 con una sostituzione di maternità, non ho avuto un contratto da praticante perché il praticante era il figlio dell’editore e non c’era posto per altri.

    Oggi lavoro con i blog, che non sono neppure testate giornalistiche registrate, seppur pagata e con regolare contratto. L’Ordine mi impone di pagare i contributi perché il mio è “lavoro giornalistico”, ma poi pare che quando si tratta di riconoscermi come professionista, per magia contano solo le testate registrate.

    Sono pronta ad incatenarmi all’Ordine del Lazio. Dico sul serio. Non mi farò togliere tesserino e contributi INPGI senza combattere.

    • Antonello Antonelli

      Lei infatti è nel novero di quelli che, secondo me, deve ottenere d’ufficio, tramite una norma transitoria, l’iscrizione al registro dei praticanti! Ma non sono io a poter prendere questa decisione!

  • Gioele

    Ho solo un dubbio.. se il consiglio si riunirà solo a fine gennaio.. nel mentre cosa si dirà agli editori che dovranno rinnovare contratti in scadenza e che non sapranno come inquadrare i giornalisti pubblicisti?

    • Max

      Siamo a gennaio e gli editori hanno già rinnovato i contratti. Se passa l’abolizione dei pubblicisti o trovano un escamotage all’italiana o sono rovinati. Io non credo che potentissimi editori si facciano infinocchiare così facilmente.

    • Max

      Semplice: rinnovano i contratti sulla base dell’attuale normativa. Se passa l’abolizione dei pubblicisti o trovano un escamotage all’italiana o sono rovinati. Io non credo che potentissimi editori si facciano infinocchiare così facilmente.

  • Carlo

    Concordo in tutto e per tutto con Umberto e il modello inglese. Va avanti chi è bravo e ha le palle, al di la del titolo di studio. Se un giornale ti assume scrivi altrimenti fai altro. E’ così semplice…… che in Italia non sarà mai applicato.

  • Carlo

    Concordo in tutto e per tutto con Umberto e il modello inglese. Dovrebbe andare avanti chi è bravo e ha le palle, al di la del titolo di studio. Se un giornale o un azienda ti assume per scrivere bene, altrimenti fai altro. La meritocrazia è l’unica strada il resto sembra solo un modo per tutelare poltrone e garantirsi un introito (tessere) senza fare praticamente nulla ma contribuendo invece a blindare sempre più una professione, spesso meglio interpretata da blogger indipendenti (che informano a costo zero) piuttosto che da autorevoli firme di importanti testate lautamente pagati. O no?

  • marina caterina

    Gentile Antonello, mi chiedevo l’effetto dell’abolizione dell’albo dei pubblicisti alla luce della legge 150/2000 (quella che stabilisce che a svolgere le mansioni di ufficio stampa negli enti pubblici debba essere un giornalista iscritto all’albo e che così fu formulata sotto pressione dell’Odg). Di fatto queste mansioni sono svolte fondamentalmente da pubblicisti. Come si può realisticamente pensare che i 15.000 professionisti solamente possano reggere tutto il sistema dell’informazione: giornali, testate web, uffici stampa ecc. ecc.? Se penso alla mia città non vedo proprio chi potrebbe sostituire tutta la “manovalanza pubblicista”… Cordialmente, Marina

    • Antonello Antonelli

      Vero. Infatti la mia proposta è quella di far transitare i pubblicisti che fanno solo attività giornalistica (e gli addetti stampa sono ovviamente tra questi) nel registro dei praticanti per poi sostenere l’esame professionale!

      • Massimo

        Il gruppo per il quale lavoro ha fra le proprie file circa 350 collaboratori. Il 90 % lo fa come secondo lavoro. Come fa il giornale a cavarsela eliminando 320 giornalisti? Mi viene da ridere solo a pensarci. Cmq staremo a vedere.

  • max

    Concordo in tutto e per tutto con Umberto e il modello inglese. Dovrebbe andare avanti chi è bravo e ha gli attributi, al di la del titolo di studio e delle raccomandazioni. Se un giornale o un azienda ti assume per scrivere tanto meglio, vuol dire che ti sono riconosciute doti e abilità, altrimenti fai altro. Se fra un laureato e uno con la licenza elementare, io editore, scelgo di assumere il secondo, saranno fatti miei o no? La meritocrazia è l’unica strada il resto sembra solo un modo per tutelare poltrone e garantirsi un introito senza fare praticamente nulla ma contribuendo invece a blindare sempre più una professione, molto spesso meglio interpretata da blogger indipendenti (che informano a costo zero e in totale libertà) piuttosto che da autorevoli firme di importanti testate che si reggono sui contributi pubblici, evitando le logiche di mercato a cui tutti siamo sottoposti. Altro che liberalizzare taxi e farmacie. I problemi veri stanno altrove….

  • Giusyb

    @Massimo, non intendevo dare dell’asino ai non laureati o diplomati, ma solo sottolineare la discriminazione di fondo che esiste nel sistema italiano. In un altro Paese io sarei una giornalista quanto lo sei tu. In Italia invece sono una nullità e senza quella tessera non mi viene riconosciuto un minimo di dignità professionale. La mia esperienza giornalistica è lunga e precede i miei titoli di studio. Ma ciò che intendevo comunicare col mio post di ieri è una semplice e drammatica constatazione: la mia laurea specialistica in giornalismo non vale nulla e ancor meno vale il mio lavoro. Uno dei risvolti più tragici della realtà che oggi si prospetta potrebbe essere l’esercizio abusivo della MIA professione: quella che svolgo da tutta la vita, quella ho imparato a svolgere a costo di molti sacrifici e passando attraverso tante situazioni difficili al limite dello sfruttamento. Io spero che questa cancellazione della categoria dei pubblicisti non avvenga senza lasciare a voi giornalisti pubblicisti alcuna possibilità. Qualunque cambiamento in questo senso, a rigor di logica, dovrebbe passare attraverso la modifica della legge istitutiva dell’Ordine (la famigerata 69/63). Un Ordine che, se fosse eliminato (essendo un’anomalia soltanto italiana) rafforzerebbe anche i principi espressi nella nostra Costituzione, ed in particolare l’art.4, dov’è scritto che ogni cittadino ha il dovere di svolgere secondo le proprie possibilità e la propria *scelta* un’attività che concorra al progresso della società. Io ho scelto di fare la giornalista ma in questo paese mi viene impedito di esserlo. Eppure, suppongo, la differenza tra me e te (con tutto il rispetto per il talento e le capacità di voi giornalisti sportivi che siete da sempre una delle migliori pagine del giornalismo italiano) dovrebbe consistere solo in quel numero sul tesserino. Se fossi arrivata in ritardo per iscrivermi all’albo perderei il diritto di essere ciò che sono da sempre, e dovrei cancellare di colpo 16 anni di vita adattandomi a svolgere un’altra professione.

    • max

      Scusami se sono diretto: avere una laurea non è necessariamente motivo di una giusta e meritevole collocazione sul mercato, qualunque essa sia. Certo può aiutare ma poi nella vita (e nel lavoro) ci vogliono le palle. E oggi, io che non ho studiato, son felice di avere 26 anni di contributi versati (ho 43 anni) di cui 16 come quadro aziendale. La laurea mi avrebbe solo fatto perdere tempo prezioso e molti soldi, visto come è finito il mondo del lavoro. Poi, nonostante la mia misera terza media faccio anche il giornalista, principalmente per passione. In ultimo credo che questa storia dell’abolizione dell’albo dei pubblicisti non passerà perchè i giornali hanno bisogno di gente che scrive a basso prezzo e quindi credo che troveranno una soluzione. Io non mi preoccupo più di tanto: se vogliono farmi scrivere bene, altrimenti mi divertirò con altro. Mi dispiace ma questa è la nostra bella italietta. E da un paese che assomiglia ad uno stivale non è che ci si può aspettare molto :-))

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  • Giuseppe Stella

    Sono un giornalista-pubblicista di 67 anni, iscritto all’Ordine dal 1997, ma in precedenza ho sempre collaborato con giornali e riviste culturali sin da quando di anni ne avevo 17. La mia professione principale per circa 40 anni è stata quella di insegnante di scuole medie e superiori ora in pensione, ma la mia passione è stata, ed è tuttora, quella di scrivere, anche senza retribuzione. Ho fondato giornali di provincia e nazionali di tipo onlus, assumendo la carica di direttore responsabile; attualmente sono editore, in qualità di presidente di un’associazione culturale, e direttore responsabile di un periodico cartaceo e di 2 supplementi on-line, che per statuto non hanno finalità di lucro.
    In base alla paventata cancellazione dell’albo dei pubblicisti, che mi auguro non si realizzi, potrò ancora svolgere gli incarichi detti?

  • Rosi

    Sono una laureata in Lettere, giornalista pubblicista dal 1998, collaboro con testate e giornali, verso regolarmente i contributi all’Inpgi 2. I miei redditi sono scesi negli ultimi anni, a causa della crisi del settore e della maternità. Non sono riuscita a frequentare il master post-lauream che dà accesso alla professione per motivi personali (avevo superato il test ed ero arrivata ai primi posti). A me sembra assurdo che un titolo venga “tolto” a chi lo ha già conseguito e paghi la tessera e i contributi da anni. Al massimo le nuove norme valgono per il futuro se viene abolita la figura del giornalista pubblicista.Vi risulta che i maestri elementari con il semplice diploma siano stati licenziati o costretti a laurearsi? Vabbè qua siamo in Italia e tutto può succedere. Ma noi pubblicisti potremmo sempre agire per vie legali ed interessare avvocati e quant’altro. Non mi sembra così semplice “togliere” un titolo anche se non abilitante a chi lo ha già conseguito. Rosi

  • Salve,
    sono il capo uffucio stampa di un Comune di 56 mila abitanti, pubblicista ( iscritto da 32 anni) e da 23 anni svolgo esclusivamente questa attività, come se fossi un professionista. Mi chiedo. Cosa succederà il 12 agosto del 2012 se dovesse scomparire l’elenco dei pubblicisti ? Dovrei cambiare mansione e occuparmi d’altro?Mi apparirebbe logico accedere di diritto agli esami di idoneità per professionista visto il lunghissimo e non riconosciuto praticantato ? Cosa ne pensi?
    Grazie e Cordialità. Marco Sammito

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