Il ruolo del poeta secondo Paride Di Federico: profeta e ierofante. Il mio intervento alla edizione speciale del “Premio” a lui intitolato

Ieri sera presso il piazzale antistante la “Casa delle Monache” in via Sud, il mitico “Codacchio”, si è tenuta l’edizione speciale del “Premio Paride Di Federico”, che è stato dedicato, in mancanza delle poesie pervenute per il concorso, a causa del Coronavirus, al ricordo delle 11 edizioni finora svolte, con la sfilata di tutti i vincitori e la lettura delle poesie più significative di tutti gli anni.

Il “regalo” poetico di quest’anno sono stati due testi inediti di Paride, scritti nell’autunno-inverno 2005-2006, che riflettevano sul ruolo del poeta e sulla poesia come musica e come ogni anno, sono stato invitato ad introdurre la serata commentando queste due liriche inedite.

Innanzitutto ecco i due testi:

Poeta

 

Poeta,

immortal profeta,

non ostentare

la tua bravura,

non è in te stesso

che posa il merito,

ti scelse il cielo

e ti fornì natura.

Ispirazione,

divina razione,

assaggio mortale

d’eterno banchetto.

La gusti d’un tratto

tu solo, o prescelto,

ti svela la via,

fanne poesia.

Fantasia,

ragionata follia,

voglia crescente

di fronteggiare la mente.

Razionalità,

necessaria realtà.

Stile,

lama sottile.

Poeta,

immortal profeta,

ti scelse il cielo

ti fornì natura.

Questo è il tuo ruolo,

illuminato ierofante,

sorreggi il mondo coi versi,

ispirato gigante.

 

12 novembre 2005. Miglianico

 

Cerco poesia

 

Cerco poesia

che sia musica.

Spontanea, immediata,

mutevolmente

forte o delicata.

Cerco poesia

che come musica

sia dominatrice

e preda

del suo contesto.

Cerco poesia

che abbia in sé

musica e testo.

 

8 febbraio 2006. Miglianico

Questo il mio intervento di commento:

Aprire questa edizione speciale del Premio Paride Di Federico con questi due testi inediti del nostro giovane concittadino che da 12 anni onoriamo attraverso la forma più alta della sua arte, la poesia, ha un preciso significato, sia per noi che siamo qui a ricordarlo attraverso le poesie che si sono classificate nei primi posti di tutte le 11 edizioni che ci hanno preceduto, sia per coloro che parteciperanno alle prossime edizioni o anche coloro che non avranno mai il coraggio di presentare all’esame di una giuria un proprio scritto ma che coltivano nel segreto della propria intimità un afflato poetico.

Paride sembra voler riflettere su sé stesso, sulla sua condizione di poeta, perché egli aveva chiara la percezione di essere un poeta, quindi conosceva il fascino e il dramma di esserlo. Per questo, a mio avviso, in capo alla prima poesia cita, in parte, un famoso aforisma di Percy Bysshe Shelley: “I poeti sono gli ierofanti di un’ispirazione non accettata, né compresa; gli specchi delle gigantesche ombre che il futuro proietta sul presente”.

Un tratto che riecheggia anche nella parte finale della sua composizione, dove torna il termine, per la maggior parte dei comuni mortali del tutto esotico, quindi strano e incomprensibile, ierofante. Permettetemi di spiegarlo, questo termine, con una piccola digressione storico-etnografica, perché è il termine centrale della poesia di Paride, come anche dell’aforisma di Shelley, è un termine che illumina il senso stesso dell’essere poeta. Lo ierofante era in Attica, cioè in quella regione che aveva Atene come capoluogo, il sacerdote dei cosiddetti Misteri Eleusini, riti religiosi misterici che si celebravano ogni anno nel santuario di Demetra nell’antica città greca di Eleusi. Sono il più famoso dei riti religiosi segreti dell’antica Grecia, alla cui base vi era un antico culto agrario, e ci sono alcune prove che derivavano dalle pratiche religiose del periodo miceneo, quindi di una fase antichissima della storia greca. I misteri rappresentavano il mito del ratto di Persefone, strappata alla madre Demetra dal re degli Inferi, Ade, in un ciclo di tre fasi, la “discesa” (la perdita), la “ricerca” e l'”ascesa”, dove il tema principale era la “ricerca” di Persefone e il suo ricongiungimento con la madre. Il rito era diviso in due parti: la prima, “piccoli misteri”, era una specie di purificazione che si svolgeva in primavera, la seconda, “grandi misteri”, era un momento consacratorio e si svolgeva in autunno. Letteralmente, ierofante, significa «colui che dispiega le cose sacre», in quanto capo supremo degli iniziati che partecipavano ai Misteri. Lo Ierofante rappresentava in un certo senso il Demiurgo ed era l’unico interprete delle dottrine e dei segreti più esoterici.

Il poeta quindi, secondo Paride, è illuminato ierofante, che sorregge il mondo coi versi, / ispirato gigante. Ossia è colui che spiega il mondo con i suoi versi e lo fa dall’alto della sua ispirazione. L’altro termine che usa Paride, molto più familiare per noi, è profeta, anche se nella nostra cultura questo termine ha perso molto del suo significato originale nella lingua greca, dove significa “colui che parla davanti” e anche “colui che parla per, al posto di”, sia nel senso di parlare “pubblicamente” (davanti ad ascoltatori), sia parlare al posto, in nome (di Dio), sia in quello di parlare “prima” (anticipatamente sul futuro). Sia ierofante, sia profeta condividono la radice del verbo greco φημι, ossia “parlare”, ma in un modo molto più arcaico del classico λεγω da cui proviene il nostro λογος, concetto filosofico e anche cristiano.

Il poeta dunque parla. Parla apertamente, parla davanti a tutti e parla soprattutto anticipando: nella sua ispirazione, che possiamo denominare anche “sensibilità”, ma non possiamo ridurla solo ad essa, parla di ciò che vede con gli occhi del suo spirito e spesso vede prima e meglio degli altri. Ma proprio per questo non viene per lo più compreso, perché “sta troppo avanti” e quindi non può essere seguito dagli altri, che mantengono sulle cose una conoscenza superficiale: sembra quasi riecheggiato qui il “mito della Caverna” di Platone, in cui chi ha coscienza e conoscenza alla fine diviene vittima della cecità degli altri. Per questo la poesia è detta da Paride assaggio mortale / d’eterno banchetto.

Il poeta ha una responsabilità, la sente bruciare dentro di sé: non è solo il desiderio di mettere su carta, di esprimere a parole ciò che ha dentro, ma anche avvisare il mondo che c’è un altro modo di vedere le cose che il mondo non riesce a vedere. Per questo la Fantasia è detta ragionata follia, / voglia crescente / di fronteggiare la mente.

Tuttavia Paride sa che per trasmettere il messaggio non può affidarsi solo alla fantasia, altrimenti il mondo non capirebbe. Quindi, prosegue: Razionalità, / necessaria realtà. / Stile, / lama sottile. La razionalità è necessaria per farsi capire, lo stile per farsi apprezzare, ma esso è una lama sottile che può tagliare, sezionare, distruggere una poesia: come ho già detto negli anni scorsi, spesso la nostra tentazione, specie a scuola, è di smembrare una poesia, descriverne la metrica, le figure retoriche, i richiami, ma di non comprenderla appieno nella sua unicità, nella sua ispirazione, nella sua unità.

Per questo, secondo me, mesi dopo la prima poesia, Paride completa quasi un dittico con la seconda poesia che presentiamo stasera. Cosa può unire ispirazione e comprensione, accessibilità del messaggio e bellezza, anzi armonia, della forma? La musica, che da sempre è stata centrale in tutte le azioni poetiche e religiose ed aveva, anche nei Misteri Eleusini di cui abbiamo parlato prima, un posto centrale. La metrica che studiamo a scuola è musica, la poesia fino al primo Medioevo era destinata invariabilmente ad essere musicata, i grandi generi letterari dell’antichità erano inscindibilmente uniti alla musica, fino alla sua perfezione che fu il teatro greco. Paride dunque cerca, come ogni poeta che vuole farsi comprendere, poesia come musica. Essa è Spontanea, immediata, / mutevolmente / forte o delicata. La poesia ha in sé, come chiosa lui stesso, musica e testo.

Nulla è più chiaro di quanto ha espresso Paride sulla natura del poeta e sulle capacità della poesia. Per questo continuiamo ad onorare lui e attraverso il suo ricordo onorare la poesia, far sì che essa possa continuare a risuonare nelle nostre orecchie e nei nostri cuori. Per questo nacque il Premio Paride Di Federico, che non è solo un ricordo commosso e sentito di una comunità per uno dei suoi figli migliori prematuramente scomparso, ma è soprattutto invito agli adulti e ancor più ai ragazzi di far risuonare prima nei loro cuori e poi nelle orecchie di tutti l’ispirazione che si ha dentro. Tirare fuori, e-ducere in latino, quindi educare: questo è il senso profondo di questo Premio. Educare all’ascolto di sé, educare all’ascolto del punto di vista dell’altro, educare all’espressione del sé, educare alla scrittura del sé: solo così, conoscendo profondamente sé stessi e riuscendo a vincere la naturale ritrosia a “tirarlo fuori”, si può crescere, si può maturare, si può prendere il proprio posto nel mondo senza lasciare ad altri, che spesso pensano solo a manipolarci, imponendoci le loro visioni, il parlare al nostro posto.

La poesia è la forma più alta di tolleranza, di democrazia, di libertà. Non a caso tutte le dittature hanno avuto sempre paura di una sola cosa: il libro, cioè l’espressione di sé. Se coltiviamo la poesia, coltiveremo anche la cittadinanza.

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