Nessuno ne parla, ma il decreto del Governo non esonera i giornalisti dall’assicurazione obbligatoria

Nella mia rassegna stampa odierna non poteva non saltarmi agli occhi l’apertura della prima pagina di “Italia Oggi”, che richiama uno dei provvedimenti previsti dal decreto di Ferragosto (di berlusconiana memoria), riconfermato dai successivi decreti, compreso l’ultimo del Governo Monti sulla riforma delle professioni: l’assicurazione obbligatoria.

Scrive il collega Marino Longoni:

 

Vi sembra normale un paese che costringe due milioni di professionisti a stipulare una polizza assicurativa contro la responsabilità civile per danni causati in modo colposo nell’esercizio della professione e fa decorrere questo obbligo dal 14 agosto? Che a due settimane da questa scadenza non ha ancora deciso chi debba assicurarsi, cosa debba essere assicurato, a quali condizioni, quali sanzioni debbano essere irrogate? Ma soprattutto cosa succede se la controparte, cioè la compagnia di assicurazione, non ha nessuna voglia di stipulare queste polizze o per farlo pone condizioni troppo onerose? Siamo veramente oltre il paradosso. Siamo al ridicolo!

 

Ovviamente sono d’accordo con il tono sconcertato del pezzo di “Italia Oggi”, ma quel che mi preoccupa è che anche nel corso dell’articolo, come pure negli approfondimenti che seguono a pagina 2 e 3, non si parla per nulla dei giornalisti, professione con tanto di albo, categoria quindi che, secondo l’articolo 5 del Decreto di Riforma sulle professioni, non è certo esentata dalla stipula di questa assicurazione sui “rischi professionali”.

Quel che è peggio è che nell’ultima stesura del decreto è sparito il riferimento alla possibilità che sia l’Ordine professionale a poter stipulare collettivamente una polizza assicurativa a tutela dei rischi, lasciando il professionista solo nella “giungla” delle assicurazioni, con pochissimo potere contrattuale (che invece sarebbe molto più ampio in caso di una polizza collettiva).

Si è parlato nei mesi scorsi di un’esenzione ad hoc per i giornalisti, viste le peculiarità della nostra professione, ma di tutto questo non c’è traccia nel decreto, che ha previsto norme particolari per avvocati, notai e professioni sanitarie, ma non per i giornalisti.

Poi si è adombrata la possibilità che fosse l’Ordine, attraverso una maggiorazione della quota annuale di iscrizione, a stipulare la polizza assicurativa: un’ipotesi, circolata informalmente nelle riunioni del Consiglio nazionale con i presidenti regionali degli Ordini.

Ma neppure questa strada è più percorribile, vista la lettera della legge, che non prevede polizze collettive.

Allora, che succederà il 13 agosto? Ormai non si attende più questa data come il D-day della riforma (ormai praticamente annacquata) dell’Ordine, ma potrebbe essere il giorno di un nuovo obbligo che graverà su tutti i giornalisti. Indifferentemente se pubblicisti o professionisti.

Che fare?

Per ora non posso che condividere quanto Marino Longoni scrive nel suo articolo:

 

Ormai l’unica via di fuga rimasta è quella dell’ennesima proroga, oppure della previsione di un periodo transitorio di almeno un anno durante il quale la mancata stipula del contratto di assicurazione non venga sanzionato. La professione con i problemi maggiori, quella dei medici, ha già ottenuto una proroga di un anno con un emendamento inserito nel corso della discussione del ddl sull’intramoenia (e speriamo che questo testo venga approvato in via definitiva entro il 14 agosto). Dati gli alti rischi e gli alti costi dei risarcimenti, i medici fanno infatti fatica a trovare una compagnia disponibile alla copertura assicurativa.

Per le altre professioni si brancola nel buio. Anche perché il parlamento sta ancora discutendo il dpr sulla riforma delle professioni che, all’articolo 5, contiene alcune precisazioni sull’obbligo di assicurazione previsto dal decreto legge 138 del 2011. Un testo improvvisato dal ministero della giustizia che, invece di aiutare a risolvere i problemi, non ha fatto altro che aggravarli. Per esempio lasciando in capo al singolo professionista (e non all’ordine di appartenenza, come originariamente previsto) l’onere della negoziazione. Con quale potere contrattuale nei confronti della compagnia di assicurazione, è facile immaginare.

A oggi i professionisti già assicurati sono non più del 10-15% del totale degli iscritti agli albi. E non è nemmeno detto che la loro polizza sia in linea con i requisiti che saranno previsti dal dpr sulla riforma delle professioni, che non è ancora pronto. I dubbi sono numerosi, anche perché ogni professione ha le sue specificità e alcune di queste hanno decine di specializzazioni ciascuna con rischi ed esigenze differenti. Come stabilire regole comuni su massimali, retroattività, ultrattività, danno assicurabile, costi, in una congerie così eterogenea di situazioni? E se c’era un anno di tempo, perché il ministero si è ridotto agli ultimi giorni, forse per il gusto sadico di vedere file di professionisti accampati fuori dalle agenzie di assicurazione la notte del 13 agosto?

 

Insomma, chi vivrà, vedrà… Tanto per cambiare!

3 commenti

  • GiusyB

    Tutto ciò sgomenta perché io non capisco: quali sarebbero i danni causati in modo colposo dall’esercizio della nostra professione (parola), oltre a quelli già previsti e puniti dalla legge?
    E contro chi li causeremmo?
    E come si regoleranno il diritto d’espressione e di fare informazione all’interno di questo meccanismo di mercato, una volta che un qualunque presunto danneggiato cominci ad accampare le sue pretese risarcitorie?
    E come potranno essere liberi dai condizionamenti – e sereni – il lavoro e la vita del giornalista che dovrà intraprendere il suo lavoro (ogni volta, tutti i giorni, sempre!) nella consapevolezza che ogni sua produzione giornalistica potrebbe dar luogo ad un probabile contenzioso?
    Cosa ne sarà di giornalisti autonomi, free-lance, ecc che non sono coperti dall’assicurazione dell’azienda editoriale?
    E chi ha un’attività discontinua e flessibile, dovrà pagare sempre (e ininterrottamente) le rate dell’assicurazione?
    Quale sarà (e dov’è…) la “tabella dei danni”?
    Dunque dovremmo attenderci che a determinare i rischi e i danni possibili derivanti dalla PUBBLICAZIONE e DIFFUSIONE di notizie giornalistiche, non siano più le leggi (dalla Costituzione ai codici) ma la libera contrattazione con gli assicuratori, i quali quantificheranno in termini economici e stabiliranno i nuovi confini del DIRITTO DI PAROLA, DEL DIRITTO DI INFORMARE E AD ESSERE INFORMATI?

    …l’ultima domanda riguarda il Ministro Severino e la sua competenza/consapevolezza della situazione: si tratta di un’espressione in romanesco comunque diffusa al livello nazionale…
    Per non fare illazioni, evito di scriverla. M’impongo pazienza e ponderatezza e aspetto il chiarimento del presidente Iacopino, i tuoi puntualissimi aggiornamenti e l’evolversi della situazione…
    Grazie Antonello.

  • Temo che le cose siano anche peggio. C’è proprio un equivoco di fondo, dettato dall’abbaglio di considerare il giornalista controparte tanto del cittadino quanto dell’editore. In realtà il giornalista non è controparte del primo, perchè agisce tramite l’editore che pubblica il giornale e non è controparte del secondo perchè la catena gerarchica con la quale è strutturato un giornale prevede una serie di controlli e responsabilità che esimono il giornalista che scrive da una responsabilità diretta verso lo stesso editore. Non a caso, in caso di condanna, i tre soggetti giornalista-direttore-editore vengono condannati in solido. Ciò è tanto vero e assorbente da essere valido anche nel caso del freelance: il quale comunque è il soggetto al quale il committente-editore chiede l’articolo, articolo che rientra quindi nel sistema di controllo a cascata nel quale è organizzata la redazione.
    Insomma l’articolista condivide le responsabilità con gli commissiona, passa, titola, controlla, licenzia e pubblica il pezzo.
    Il ciò sta appunto la peculiarità della nostra professione.
    Ben diverso è se il medico sbaglia la diagnosi e manda al creatore il paziente, se l’ingegnere sbaglia i calcoli e fa crollare il ponte, se l’avvocato sbaglia codicillo e fa perdere la causa al patrocinato.
    Insomma, un obbligo assicurativo a carico dei giornalisti, così concepito, contrasta con la ratio stessa che è alla base della norma istitutiva dell’obbligo medesimo.
    Tutto il resto è fuffa, smarrimento, pasticcio all’italiana, come giustamente sottolineava il collega. Un provvedimento che crea solo allarme prima ancora di essere legge.
    Come ho scritto altrove, non è di quest’obbligo assicurativo che hanno bisogno i giornalisti.
    Noi freelance, almeno, abbiamo bisogno di un’assicurazione opposta, che bilanci i rischi che ci assumiamo facendoli diventare parte integrante del mandato professionale ricevuto e scaricandone una parte degli oneri sull’editore e un’altra sulla categoria. L’ho detto qui, ma nessuno se n’è accorto: http://blog.stefanotesi.it/?p=1579.
    intanto però c’è già chi, in una diabolica miscela di imbecillità e di malafede, soffia sul fuoco e crea ansia tra i colleghi, forse sperando di lucrare qualche provvigiove su improbabili, in quanto ancora non stipulabili, polizze.
    Cave canem!

    • GiusyB

      Sì, ok, quel che dici è vero. Ma immaginiamo il caso di un free-lance sul quale l’editore e il direttore riescano a scaricare l’onere di risarcire il danno: in fondo, il giornalista è l’autore del testo…. l’omissione del controllo da parte del direttore, da un punto di vista economico, ma considerata più o meno grave, rispetto al comportamento doloso di chi ha redatto l’articolo?
      Il resto è un pasticcio non scritto che nulla cambierà probabilmente nello svolgimento del lavoro. Tuttavia, è la questione di un’assicurazione obbligatoria, individuale (cioè da stipulare a prescindere dai vari ed eventuali rapporti contrattuali con l’editore), che lascia perplessi…

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