Una riflessione (rubata) a margine dell’approvazione della Carta di Firenze

Ho ripreso anche con troppo zelo il mio ritmo quotidiano di lavoro, che non prevede molte pause per la riflessione, anche se mi sono imposto di rielaborare la due-giorni di Firenze, che è stata piena di sensazioni e di contenuti.

Però questo pomeriggio un caro collega lombardo-sardo-piemontese (sarebbe lungo ricostruire le sue peripezie in giro per il nord Italia), con cui ho condiviso il lavoro fiorentino, Giulio Volontè, ha postato su Facebook, nel gruppo dei precari abruzzesi, Cinqueuronetti, una riflessione che mi sento di condividere parola per parola. 

Per questo, con la sua “alta” autorizzazione, la propongo anche qui sul mio sito, dopo che è apparsa anche sul portale di Cinqueuronetti:

 

Prima di tutto, credo che sia necessario chiarire una cosa: non basta saper scrivere bene in italiano per fare i giornalisti. La forma è importante, certo, ma i contenuti sono indispensabili.

E’ inutile fare i saccenti ed usare virtuosismi letterari ed un lessico eccessivamente ricercato o specialistico. Un giornalista scrive perché tutti capiscano, oggi ancora più di ieri, visto che molti cittadini italiani sono di etnie differenti e, magari, non hanno piena dimestichezza con la lingua italiana. Lavoriamo anche per loro, o no? E’ nostro compito favorire la diffusione delle notizie, delle informazioni e, di conseguenza, anche l’integrazione o no?

I giornalisti sono dei professionisti dell’informazione. Non possono non conoscere la differenza che corre tra Ordine e Sindacato e le norme che regolano la professione.

Il giornalismo è una professione. In quanto tale la si esercita – in linea di massima – quando si viene pagati.
Non siete d’accordo? Allora dobbiamo decidere se il giornalismo è una professione, un hobby oppure una missione per la quale si deve fare voto di povertà.

Fare il giornalista non è un diritto. Quindi smettiamola di giustificare il fatto che per ottenere il “tesserino” (che poi sarebbe l’iscrizione all’Ordine ma ormai sembra essere l’equivalente della tessera del tifoso) mettiamo in essere comportamenti spesso illegali. (A Firenze più di una persona si è dichiarata sfruttata dall’editore perché per ottenere il “tesserino” scriveva gratis e si pagava da sola i contributi… no comment)

Fare il giornalista significa riportare i fatti, scrivere notizie, fare inchieste. Le opinioni le possono esprimere tutti. Il “tesserino” non vi trasforma automaticamente in Biagi o Montanelli, le opinioni di un giornalista valgono come quelle degli altri esseri umani.

Un giornalista deve disporre di un sentimento essenziale: il rispetto per se e per gli altri. Senza la necessaria onestà intellettuale non si può fare dignitosamente il giornalista. Ovviamente si può fare in modo poco dignitoso, lo sappiamo bene, ma questa è un’altra storia.

Ovviamente, il fatto che uno abbia il “tesserino” non certifica il possesso di queste qualità. Tante persone non lo hanno ma dispongono di una schiena più dritta di tanti “tesserati”.

Se la nostra schiena non è abbastanza dritta per far rispettare la nostra dignità più che i cani da guardia della democrazia potremmo essere i cani da compagnia di qualche potente.

E per concludere: Il “tesserino” non è un feticcio portatore di diritti ma un un macigno che ci deve ricordare in ogni momento i nostri doveri.

 

Grazie a Giulio per la sua riflessione. Firenze è stato un momento importantissimo di riflessione e confronto, che non può e non deve rimanere circoscritto nell’ambito del mero testo della “Carta”. Devo dire che si è creato un dibattito molto aperto, franco e costruttivo, che dimostra come l’argomento non solo è sentito, ma anche bisognoso di approfondimento e di aggiornamento.

Del resto, come ha detto Enzo Iacopino, presidente dell’Ordine dei Giornalisti, “Firenze è un punto di non ritorno”.

Io e Giulio Volontè alla due giorni di Firenze

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