Unci Abruzzo: almeno si è ricostituito!

Torno, ora con più calma dopo la diretta via Twitter, sul “congressino”, anzi meglio, sulla riunione di ricostituzione della sezione abruzzese dell’Unione Nazionale dei Cronisti Italiani (Unci), svoltasi questa mattina a Pescara nella sede del Consiglio Regionale.

Primo dato, abbastanza scontato, purtroppo: eravamo pochi, superavamo appena la diecina. Vero è che l’Unci ha nello statuto una limitazione precisa: è un gruppo di specializzazione circoscritto agli iscritti al sindacato (e già qui si fa una prima forte scrematura, purtroppo… colpa forse della poca autorevolezza dell’Assostampa Abruzzo negli ultimi dieci anni?) e riservato ai soli “professionali” (il che riduce maggiormente la platea di riferimento).

Secondo dato, un po’ meno scontato, ma ugualmente triste: l’assenza del sindacato, di cui pure l’Unci è un’espressione. Fatto salvo il segretario del SIndacato Giornalisti Abruzzesi (Sga, ex Assostampa Abruzzo), giunto in ritardo e presente per lo più per motivi… “istituzionali”, nessun altro componente professionale del direttivo era presente, neppure per un senso di ospitalità nei confronti di un presidente nazionale che, bene o male, ha fatto la storia dei cronisti italiani.

In queste condizioni, era difficile parlare di “congresso” e infatti saggiamente si è optato per celebrare le assise ufficiali dopo Pasqua, al termine di una mini-campagna di adesione e dopo il congresso nazionale di Viareggio, al quale dovevamo inviare tre rappresentanti. Alla fine, la riunione a questo serviva. Ma va bene così, soprattutto se, grazie anche ad un’attenta preparazione pre-riunione, la terna proposta ed approvata è molto equilibrata: in primis, lo storico rappresentante Unci Abruzzo, in secundis una collega già presente nel Consiglio nazionale della FNSI e molto attiva nella difesa dei precari e – sorpresa – in tertiis un precario. Il passato (e la tradizione), il presente e il futuro: meglio non si poteva scegliere, secondo me.

Passando ai contenuti, anche se scarni, qualche buono spunto c’è per una riflessione e un dibattito.

Il presidente del Consiglio regionale si è detto “lieto che i giornalisti collaborino, visto che è un lavoro caratterizzato da una estrema precarizzazione”: una pia intenzione, finora, visto che la categoria è quella meno solidale in assoluto, specie verso i precari, i quali solo ora, grazie all’esperimento di “Cinqueuronetti“, stanno prendendo coscienza della necessità di fare fronte comune.

Il presidente dell’Ordine dei Giornalisti d’Abruzzo ha citato le intimidazioni inaccettabili che si perpetrano a danno dei giornalisti (un riferimento alle perquisizioni giudiziarie, tra l’altro illegali), anche se in regione non ancora ci sono casi del genere (per fortuna!). Un collega, però, ha postato sul mio Twitter una reazione immediata: “Come mai in Abruzzo no? Perché non si cita qualche inchiesta che ha anticipato qualche scandalo? Da quanto tempo un cronista non anticipa qualche scandalo nella nostra regione?”.

Il segretario Sga, non smentendosi mai, ha parlato della crisi e della precarizzazione precisando come sempre che il sindacato non ha strumenti per opporsi e ha citato, quasi inconsciamente, i “colleghi a cinque euro netti a pezzo”. Ma un sindacato che alza la voce su ingiustizie palesi e trattamenti vergognosi, pur se non può far nulla, si fa sentire vicino ai suoi iscritti e avvicina  potenziali iscritti. Devo forse pensare che non si vuole proprio quest’ultima cosa?

Il presidente nazionale Unci si è soffermato su un dato incontrovertibile: al giorno d’oggi il giornalista si è impigrito e vuole il pezzo già “precotto” e così quelle che erano le “fonti di informazione”, tra cui l’ufficio stampa, si sono adeguate e si stanno attrezzando per fornire pezzi già bell’e pronti, che inducono i colleghi ad accettare acriticamente la comunicazione senza verifiche ed approfondimenti. Ossia la morte del giornalismo. Ma è forse un caso che oggi i contratti più “sicuri” sono quelli da addetto stampa, mentre i contratti giornalistici sono una pura chimera?

In conclusione, ancora una volta chi non è stato presente ha perso un’occasione per dare un segno importante: che cioè si è ancora preoccupati della sorte di questa professione. La latitanza consolida le rendite già acquisite. La partecipazione genera dibattito, riflessione, cambiamento!

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